I libri

 

 

 

A cura di Giuseppe Prunai

 

 

Luca Luchini: “Silvio Gigli da Siena – Il mito della radio dal multiforme ingegno” –Edizioni Il Leccio in collaborazione con ChiantiBanca -  pp 334

Raramente, anche da parte degli addetti ai  lavori, vengono ricordati i protagonisti della radio moderna. Non  i teorici come il Marinetti del Manifesto futurista della radio, il Bertolt Brecht dell’utopia, il Carlo Emilio Gadda tra i fondatori del mitico Terzo Programma della radioRAI, ma anche chi ha poi messo in pratica, spesso rielaborandoli,   i loro insegnamenti. Il pirotecnico Marinetti teorizzò la figura del futuro radiocronista che doveva far vedere, con le parole, ciò che gli ascoltatori non potevano. Brecht immaginava una radio interattiva che, se interrogata dagli ascoltatori, rispondesse agli interlocutori, cosa che fu una realtà solo negli anni 60 con le trasmissioni “Chiamate Roma 3131” e “Radio anch’io”. Oggi è prassi normale. Gadda stabilì  le regole fondamentali del resto radiofonico.

Ma poi c’è stata una lunga teoria di operatori della radio che hanno messo in pratica questi insegnamenti, li hanno perfezionati, arricchiti, sfrondati, affinati. Hanno creato uno stile per fare radio e un modo di raccontare gli avvenimenti tuttora valido. Silvio Gigli (Siena, 10 agosto 1910 – Roma, 7 febbraio 1988) è stato uno di questi lavoratori che hanno tracciato i binari sui quali la radio marcia ancora.  Di  questi suocompagni di cordata cito alcuni nomi così come mi vengono alla memoria: Vittorio Veltroni, Nicolò Carosio, Amerigo Gomez, Pia Moretti, e quelli contemporanei come Arbore, Buoncompagni e Sergio Zavoli, al quale toccò l'ingrato compito di commemorare Gigli durante una cerimonia in Campidoglio. Il loro modo di lavorare, i loro insegnamenti  hanno consolidato lo stile della radio moderna, anche se ogni poco i dipendenti della Rai vedono paracadutarsi in testa un illustre sconosciuto che, colto da improvvisa  “sindrome di Guglielmo Marconi”, è convinto di avere inventato la radio. Tutti lo guardano nello stesso modo con cui si guarda chi afferma di essere Napoleone, continuano a lavorare come hanno sempre fatto e la radio va avanti. Immagino come avrà guardato Silvio Gigli questi sedicenti innovatori, questi affetti da “sindrome di Guglielmo Marconi”, lui che in gioventù aveva lavorato nell’amministrazione dell’Ospedale psichiatrico di Siena.

Perché il Silvio Gigli radiofonico (radiocronista, moderatore di dibattiti, programmista e regista, giornalista, commediografo e romanziere) viene dalla gavetta giovanile come filodrammatico e come collaboratore della cronaca senese di un quotidiano. In accordo con il primario dell’ospedale, mise su una filodrammatica di malati di mente e di altri dipendenti del manicomio mentre lui si ritagliava il ruolo di regista e di primo attore. A volte, anche di commediografo. Un’iniziativa, ancora oggi positivamente valutata come uno dei primi esperimenti di ludoterapia. La sua attività giovanile di filodrammatico fu di grande aiuto al Gigli programmista-regista. Conoscendo la diversità dei tempi del teatro e della radio, cominciò a rielaborare i testi delle commedie, a sfrondarli, a sopprimere tutto ciò che non era essenziale al racconto radiofonico. Nacque, insomma, la “riduzione radiofonica” di molti capolavori della letteratura e della commedia. Dopo la liberazione di Firenze, gli fu affidata la direzione di “Radio Firenze liberata” che fu una delle stazioni radio italiane più ascoltate dagli abitanti del Nord Italia perché era una delle più avanzate, immediatamente alle spalle della Linea Gotica dove il fronte si era cristallizzato. Come direttore della radio, dovette destreggiarsi in veri e propri equilibrismi per imporre ai politici del tempo una “par condicio” ante litteram. Molti anni dopo – racconta Luchini – il direttore generale della RAI, in occasione di una cerimonia, volle presentare Gigli al presidente della repubblica, Giovanni Gronchi. “Lo conosco benissimo – esclamò Gronchi -  nel ’45 mi cacciò due volte da Radio Firenze!” In una radio che andava avanti con pochissimi mezzi, con molto materiale americano di recupero, con pochi dipendenti (fra questi una giovanissima Bianca Toccafondi nelle vesti di dattilografa) il poliedrico Gigli era costretto a fare di tutto e sorprende la facilità con cui trasformava una qualsiasi idea in una trasmissione. Nel ’44 inventò a lanciò "Botta e risposta", il primo programma italiano di quiz a premi. Allora non c’erano i gettoni d’oro, né si vinceva un viaggio ai Caraibi o un’automobile. I premi erano un tubetto di dentifricio, una saponetta, un sapone da barba, un flacone di colonia. Ma i concorrenti ed il pubblico si appassionavano egualmente al gioco a quiz. Nacquero i primi personaggi: il Colonnello, il Cravattaio, la lavandaia ed altri, ognuno con una propria specializzazione: le operette, il ciclismo, la guerra 15-18. Negli anni successivi nacquero "Sorella radio", dedicata agli ammalati negli ospedali, e "Il Giringiro", una trasmissione in onda ogni sera a conclusione della tappa del Giro d’Italia. Gigli, con la sua squadra formata dal maestro Giovanni D’Anzi, Pietro Garinei, Sandro Giovannini e Isa Bellini, seguiva la carovana del Giro e, ogni sera, dalla piazza principale della località sede di tappa, mandava in onda il racconto della corsa in chiave burlesca ed eroicomica. L’équipe della trasmissione inventò addirittura un premio per l’ultimo arrivato, la Maglia Nera, che si contendevano Luigi Malabrocca e Sante Carollo, due umili passisti e portatori d’acqua condannati per contratto a fondo classifica. E si potrebbe continuare all’infinito ad elencare titoli di fortunate trasmissioni: Ingresso libero,  "Campanile d’oro", "Giochi senza frontiere", "L’ora del dilettante" che, dopo alcuni anni, divenne la "Corrida" condotta con successo e trasferita in TV da Corrado Mantoni. Difficile elencare tutte le fortunate trasmissioni ideate e condotte da Silvio Gigli, ma ci piace ricordarne una, “Non è mai troppo tardi” corso di istruzione  popolare per adulti analfabeti. Alla preparazione dei testi, partecipò il maestro Alberto Manzi che, qualche anno più tardi, condusse, anche lui con grande successo, l’omonima trasmissione televisiva. Impossibile elencare qui tutti i successi di Gigli che Luca Luchini, in questa monumentale biografia del Nostro, ha ricordato, scovando anche attività e programmi ormai dimenticati e dedicando un capitolo alla sua attività di talent scout che lo portò a lanciare nuovi personaggi dello spettacolo o ad indirizzarne altri verso attività per loro più congeniali. E’il caso di Alberto Sordi, aspirante cantante lirico. Gigli lo dissuase e gli suggerì di insistere verso la carriera di attore e per lui creò una trasmissione che fu la sua fortuna: “Le telefonate di Mario Pio”.  Anche il grande Federico Fellini deve molto a Gigli. Un giorno, il futuro regista confidò a Gigli di avere inviato alla Rai un racconto in cui narrava le vicende di due fidanzatini, ma non era stato preso in considerazione. Gigli rintracciò il testo, gli piacque e si accinse a metterlo in onda. Ma, mancava un’attrice adatta per la parte femminile. La scelta cadde su Giulietta Masina. Fellini ne fu entusiasta e non solo della Masina attrice.

Luca Luchini, (foto a destra) dirigente di banca in pensione, collaboratore di testa giornalistiche locali e nazionali, si è scoperto saggista storico con un occhio di riguardo alla storia senese, antica e moderna. In questa biografia, che non segue un iter strettamente cronologico ma è articolata per filoni di attività, non potevano mancare alcuni capitoli dedicati al Gigli contradaiolo, al tormentato rapporto tra Gigli e il Palio. Non tanto alle sue brillanti radiocronache della corsa, che puntualmente metteva in onda il 2 di luglio e il 16 di agosto, quanto alla sua attiva partecipazione alla vita della contrada e della città. E qui, Luchini riporta una serie di aneddoti. I senesi che, come chi scrive questa recensione,  hanno qualche decennio di troppo, ricordano di avergli visto scavalcare le transenne che trattengono il pubblico, schiaffeggiare il mossiere e ritirare la contrada, la sua amata Tartuca, dal Palio. Era il 1945. Animi ancora esacerbati dalla guerra appena conclusa? Può darsi. Ma c’è da dire che il 99,98 per cento dei senesi è piuttosto “fumino”, prende fuoco subito. E l’altro 0,2%  si accende in ritardo per lentezza di riflessi.

Ma del rapporto di Gigli con il Palio di Siena facciamo grazia ai lettori non senesi per occuparci del Gigli politico, inascoltato consigliere comunale di una lista civica e il Gigli mancato amministratore di enti locali. Nel ’58, avrebbe dovuto essere nominato presidente dell’ Ente provinciale del turismo, carica di notevole importanza in una città che vive di turismo. Ma la nomina gli fu scippata ad un personaggio legato a doppio filo alla DC e alla curia arcivescovile, che si definiva ”editore cattolico” ma che non aveva pubblicato altro se non qualche predica. A Gigli andò un premio di consolazione, la presidenza dell’Azienda autonoma di turismo dove svolse un ottimo lavoro, che portò la recupero di numerosi beni architettonici, alcuni dei quali mostravano ancora le ferite dei bombardamenti. Ma alla scadenza del mandato, l’incarico fu affidato ad un altro personaggio legato alla DC e alla curia. Quando sorse un movimento per inserirlo nella Deputazione del Monte dei Paschi, se non altro come garante dell’attenzione della banca alla città, gli fu preferito un altro politico democristiano. Quando si candidò per la direzione organizzativa dell’Accademia Musicale Chigiana (incarico adatto a chi, come lui, aveva passato una vita nel mondo dello spettacolo) gli fu preferito un altro, ovviamente con gli stessi legami.

“Nemo propheta in patria”, sembra concludere Luchini che così titola il capitolo dedicato a questi eventi. Ma il recensore, senese da più generazioni anche se vive altrove, va oltre questa spiegazione. Come tante piccole città, Siena è governata da una sorta di trilateral, dai poteri forti delle banche, della chiesa, dal  partito di maggioranza (allora la DC, una certa DC): è ovvio che la spartizione della torta non avvenga secondo i meriti. Inoltre, Siena non è mai stata generosa con i suoi figli che sono andati a far fortuna altrove. Infine, è (o lo è stata ai tempi di Gigli) una città abbastanza classista e, negli ambienti che contano, non  hanno mai perdonato che lui, figlio di un umile vetturino, abbia raggiunto le vette della notorietà.

Non resta che soffermarsi un momento sullo stile di scrittura del libro. Debbo confessare che quando ho letto che Luchini era un ex dirigente di  banca, mi sono accostato all’opera con riluttanza, temendo di trovarmi di fronte ad una sorta di doppia partita. Invece, la penna di Luchini è estremamente scorrevole, il suo stile è giornalistico. Direi di più: radiofonico che è quanto di più diretto, essenziale, telegrafico. Ad andar con lo zoppo, si diceva un tempo, si impara a zoppicare. Che Gigli lo abbia plagiato a tal punto?

 

 

 

 

Cesare Guerreschi: “Non è un gioco – Conoscere e sconfiggere la dipendenza da gioco d’azzardo” Edizioni San Paolo, pp 14, € 11

E’ ormai allarme sociale per il sempre maggior numero di persone (e molti sono i giovani) dediti al gioco d’azzardo che, inevitabilmente, si trasforma in rilevanti perdite di risorse economiche, sottratte alla famiglia, per reintegrare le quali si fa ricorso agli usurai. E’ di pochi giorni fa, la notizia che uno di questi ha tentato il suicidio non riuscendo più a fare fronte agli interessi impostigli dagli strozzini. Perché questa dipendenza trascina uomini e donne in una spirale da cui è difficile uscire perché si tratta di una vera e propria patologia. Purtroppo, la crisi internazionale, la carenza di posti di lavoro, il ristagno della produzione e del commercio spinge un sempre maggior numero di persone a cercare una via rapida per risolvere i problemi economici e il gioco d’azzardo le attira con l’illusione di facili vincite. Il volume si propone, innanzitutto, di cambiare un modo diffuso e comune di pensare, cioè che il gioco d’azzardo sia solo un “brutto vizio” e non una vera e propria malattia dalla quale si può guarire.

Cesare Guerreschi, psicologo e psicoterapeuta, opera nel campo delle dipendenze da più di 20 anni ed è esperto in patologie legate alle dipendenze “classiche”, alle “new addiction” e, naturalmente, alla dipendenza sessuale e affettiva. E’ fondatore e presidente della Società italiana interventi sulle patologie compulsive e ha fondato la Comunità terapeutica per il gioco d’azzardo patologico. Questa è pubblicazione di Guerreschi è un po’ un manuale che, oltre a divulgare la conoscenza di una patologia, il cui diffondersi è anche dovuto alla forte e a volte incontrollata espansione delle nuove tecnologie, offre un aiuto alle famiglie per la scelta di un percorso di redenzione per un proprio caro caduto nella spirale del gioco d’azzardo.

 

 

 

Presentato a Bruxelles un libro

dell’oncologo prof. Franco Mandelli

Ho sognato un mondo senza cancro:

la vita e le battaglie di un uomo

che non si arrende

 

 

 Il prof. Franco Mandelli alla presentazione del libro. Al suo fianco, l'europarlamentare

 Silvia Costa

“Trasformare leucemie e linfomi in malattie curabili. Nemici terribili ma che si possono finalmente sconfiggere. Un messaggio di speranza quello che il professor Mandelli comunica nel suo libro, di fiducia nella ricerca medica e soprattutto nella forza di persone, uomini, donne, ragazzi e bambini che lottano con tenacia contro la loro malattia” – ha dichiarato l’europarlamentare Silvia Costa che, insieme all’eurodeputato Vittorio Prodi, ha presentato il libro di Franco Mandelli: “Ho sognato un mondo senza cancro. La vita e le battaglie di un uomo che non si arrende” presso l’Istituto Italiano di Cultura a Bruxelles, alla presenza dell'autore.

"Nel libro, i cui proventi sono devoluti interamente all’AIL, Associazione Italiana contro le Leucemie-linfomi e mieloma, il professor Mandelli ripercorre la sua vita di medico e ricercatore, pioniere dell`Ematologia in Italia e in ambito internazionale, infaticabile nella sua lotta per salvare vite e far progredire le terapie. Creatore inoltre – ha aggiunto Silvia Costa – a Roma e in Italia, delle prime esperienze di assistenza domiciliare, di straordinarie iniziative di volontariato, come l'Ail e Ad Spem nel campo dei donatori di sangue, nonché della rete di banche di raccolta del cordone ombelicale e di associazioni di ricercatori nella rete GIMEMA. Una vita spesa a dare speranza e sostegno ai pazienti e alle loro famiglie, a unire pubblico e privato per garantire l'accesso e la gratuità delle cure, promuovendo la formazione e la passione di giovani medici e ricercatori, sempre mettendo al centro il malato e i suoi diritti".

Un esempio per molti anche in Europa soprattutto in questo Nuovo Anno, proclamato dal Consiglio e dal Parlamento Europeo, Anno Europeo dei cittadini.

"Con questa iniziativa – ha precisato Silvia Costa - vogliamo porre l'attenzione soprattutto su coloro che hanno maggior bisogno di tutela dei propri diritti come gli ammalati; ricordo a tale proposito la Carta internazionale dei diritti del paziente affetto da linfoma, promossa dal professor  Mandelli nel 2006. L'attuale Programma d'Azione dell`UE nel settore della sanità pubblica che implementa le politiche sanitarie nazionali e dovrà essere rafforzato nel nuovo programma di ricerca Horizon 2020, pone al centro soprattutto  la persona e il suo diritto a cure appropriate e definisce la salute in senso olistico, come benessere fisico, psichico e sociale, incoraggiando sia la cura che il prendersi cura  – ha concluso l’europarlamentare. Proprio la filosofia che ha ispirato l'intera vita umana e professionale di Franco Mandelli."

"Ringrazio sinceramente l'on. Costa per l'invito che mi ha rivolto - ha affermato il professor Mandelli - per avermi dato la possibilità di presentare il volume in una sede così prestigiosa e di raccontare la mia esperienza il lavoro all`interno dell'AIL da oltre 40 anni in tutta Italia, ma anche all'interno di reti scientifiche e del non profit europeo. Gli straordinari risultati conseguiti in questo campo negli ultimi anni sono stati possibili anche grazie alla cooperazione e allo scambio di studi ed esperienze europee e internazionali. Sotto questo profilo, è importante che l'Unione continui a tenere alta l'attenzione per la ricerca sostenendola con risorse adeguate".

“La ricerca sulle leucemie e sul cancro va in ogni modo aiutata e promossa – ha affermato la professoressa Federiga Bindi, Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles che ha ospitato la presentazione del libro del professor Mandelli. Si tratta di un tema a cui tengo particolarmente, anche perché purtroppo uno dei migliori amici di mio figlio è affetto da leucemia. So cosa vuol dire per un genitore o per un familiare avere un proprio caro malato, specie un piccolo caro. Ed è anche per questo che ringrazio il professor Franco Mandelli per il suo lavoro grazie al quale migliaia di persone possono continuare a sperare di poter ritornare presto ad avere una vita normale. Il suo talento è una delle tantissime eccellenze italiane in questo settore che noi vogliamo contribuire a far conoscere al di fuori del nostro Paese. La Ricerca rappresenta per noi una parte fondamentale della cultura italiana, da valorizzare in ogni modo”.

Molto toccanti inoltre, sono state le testimonianze di due donne che hanno affrontato e superato la malattia anche grazie al sostegno dell`AIL, le dottoresse Daniela Ronconi e Rosalba Spalice.

 

 

 

 

Un’iniziativa della Regione Toscana

e della Provincia di Firenze

Risposta ai negazionisti della shoa

e di sei milioni di ebrei uccisi

Un saggio degli storici Enzo Collotti e Marta Baiardi

 

 

 

 

recensione di Adolfo Scalpelli

 

 

 

 

 

 

C’è ancora chi nega la deportazione, lo sterminio, la Shoah, i sei milioni di ebrei uccisi per puro odio razziale, per l’ideologia della razza pura, nordica, germanica. Non importano i Lager che ancora esistono con le loro attrezzature di morte. Non importano le memorie dei sopravvissuti, gli studi, i libri, le statistiche, le confessioni (rare) di qualche aguzzino. I libri hanno ormai l’altezza di una montagna. Serve a tutti rileggere quel passato anche se eccidi di qualche genere dopo la fine della guerra ne abbiamo visti ancora. Tuttavia non così industrialmente atroci, organizzati, premeditati da menti che freddamente hanno composto la strategia dello sterminio nazista.

Per chi nega ancora tutto questo, il sangue, i cadaveri, le famiglie, le etnie distrutte non esistono alibi: due studiosi di storia contemporanea hanno raccolto in un libro tanti titoli di pubblicazioni e composto un bibliografia che si intitola Shoah e deportazione. Guida Bibliografica. (pp. 260, Carocci, Roma, € 24). A curarla sono stati Enzo Collotti e Marta Baiardi. Uno studioso ben noto, Collotti, che ha insegnato in università italiane e tenuto corsi e lezioni in atenei stranieri, i cui libri, tradotti anche all’estero, sono testi fondamentali per la conoscenza del mondo di lingua e cultura tedesca e danubiano-balcanica. Marta Baiardi insegna ed è ricercatrice presso l’Istituto storico della Resistenza in Toscana, con numerosi studi alle spalle sui temi della deportazione e dello sterminio. (A destra, il forno crematorio di Dachau).

Anche questo libro ha una storia. Era nato come guida didattica per studenti di scuola secondaria che volessero occuparsi della storia tragica della seconda guerra mondiale e preparare gli insegnanti per le visite ai Lager nazisti. Era un’edizione fuori commercio voluta  dalla Provincia di Firenze e dalla Regione Toscana, significativamente all’avanguardia in questo genere di iniziative. Alcuni anni dopo si è pensato a farne un libro organico che non è, dicono i curatori, “un semplice aggiornamento, ma in realtà un rifacimento abbastanza radicale, nonostante abbia conservato lo schema del vecchio impianto con le modifiche rese necessarie dallo straordinario incremento di pubblicistica e di opere documentarie del più diverso livello”.

Un lavoro attento a ciò che si è scritto da parte di storici e memorialisti e suddiviso per argomenti per rendere la consultazione più facile e più guidata vero il tema prescelto.

Dalle opere generali al tema del “ razzismo nelle colonie”, alle “leggi razziali”, a “contro gli omosessuali”, all’occupazione e alla Resistenza, e via via a temi molto specifici come la memoria ebraica, la deportazione infantile, delle donne, degli zingari, le minoranze religiose, la nascita del “Giardino dei Giusti”, il revisionismo storico e il negazionismo che rifiutando la verità delle camere a gas e dei forni crematori dei Lager nazisti, rivalutano fascismo e nazismo. ( A sinistra, ebrei alla lavoro in un lager).

Uno strumento prezioso che ci aiuta anche a ritrovare libri forse sfuggiti o dimenticati e sepolti nella nostra memoria. Ma che aiuta anche a darci “sempre maggiore consapevolezza – scrivono Collotti e Baiardi – di ciò che la Shoah ha significato nella coscienza dell’umanità come <cesura di civiltà>, come è stato autorevolmente detto, e dalla stessa istituzione nel 2000 del Giorno della Memoria, tesa fra l’altro a sottolineare uno dei fattori di convergenza nella memoria dei popoli verso una comune identità europea”.

 

 

 

Le esploratrici del cielo

Il cielo dimenticato in un baule

 

 

recensione di Giuditta Bricchi

 

 

Se domandate  a qualcuno un nome celebre  nella storia dell’astronomia, molto probabilmente vi  risponderà  Keplero, Galileo, Copernico e così via, vi dirà cioè il nome  di un uomo.  Sarà  molto difficile che ricordi un nome femminile,  come Ipazia di Alessandria (a destra), Gabrielle du Châtelet,  Caterina Scarpellini, anche se le donne astronome sono esistite e il loro contributo scientifico è stato tutt’altro che trascurabile.  Le donne che nel  corso della storia sono state protagoniste dell'evoluzione dell'astronomia sono personalità rimaste per lo più sconosciute.

Gabriella Bernardi, astronoma e giornalista scientifica, ha dedicato loro il  volumetto “ Il cielo dimenticato in un baule”, Edizioni La Ricotta, Pavia, 2012, pag.40, 8 €, ISBN: 978-88-96594-09-4, sua seconda opera per ragazzi.  La giovane protagonista del libretto compie un viaggio nella storia dell’astronomia attraverso la descrizione delle figure femminili che l’hanno contraddistinta. Il libro spazia dall’antichità  fino ai primi del Novecento e vuole  far comprendere, attraverso la storia  delle astronome, come sia evoluta l’astronomia.   Su questo tema l’autrice ha fatto  ricerche per una decina di anni, raccogliendo una considerevole quantità di  documentazione. “Il  libro – sottolinea  Gabriella Bernardi (foto a destra)-  ha  più di un obiettivo. Il principale è  quello di far capire ai giovani  lettori che il contributo femminile all’astronomia non è stato né episodico né trascurabile. Se mi fossi dedicata solo alle figure più importanti,  avrei potuto favorire un “effetto Madame Curie”, avrei potuto insomma far intendere che le donne astronome abbiano partecipato in modo sporadico e che le protagoniste lo fossero solo perché di eccezionale levatura. Inserire invece molte astronome nel libro (anche se sono una selezione di quelle che avrebbero potuto esserci) dimostra che il loro  coinvolgimento  non  era solo sporadico e  che  erano  paragonabili, come preparazione e capacità, ai loro colleghi  uomini.”

 Secondo l’autrice “la scarsa notorietà delle protagoniste (anche a livello di studi universitari) deriva almeno da due cause: il limitato accesso per le donne ad una istruzione superiore e il fatto che l’apprendimento di queste scienziate dipendesse , in molti casi, dalla presenza di parenti stretti, che finivano per oscurare il loro contributo. Emblematico è il caso di Sophie Brahe, la cui capacità teorica e matematica fu inglobata dal nome del fratello Tycho, più portato alla parte sperimentale e osservativa. E’ quindi  importante migliorare la conoscenza storica e scientifica di queste studiose per contrastare pregiudizi molto diffusi”.

 Martina, la piccola protagonista del racconto, trova una chiave nella casa di campagna della zia e scopre che essa serve ad aprire un misterioso baule pieno di fotografie e appunti. Comincia così il viaggio della ragazzina alla scoperta del cielo, in compagnia delle più grandi astronome del passato. Ventuno sono le astronome che faranno  da guida a Martina e ai suoi lettori.  Non sapremo mai chi fu veramenete la prima donna, nella notte dei tempi, ad occuparsi di astronomia.  il racconto incomincia con la prima astronoma  conosciuta, vissuta ben oltre quattromila anni fa.  En Heduanna (2300 a.C.), principessa babilonese, (bassorilievo a sinistra) era  sacerdotessa della dea della Luna e  dirigeva  gli osservatori babilonesi,  che avevano grande importanza sociale e civile. A questa principessa  segue un’altra principessa egiziana, Aganice. Poi è la volta di Sonduk, regina coreana, che incuriosita sin da piccola dallo spettacolo del cielo, fece erigere (630 a.C.)  una torre astronomica  (Cheomseongdae o la Torre della Luna e del Sole) che si può ammirare ancora oggi.  Il succedersi delle astronome dell’antichità si conclude con Ipazia (370 - 415 d.C.),  prima donna scienziata la cui vita è ben documentata.  Nacque in Egitto, ad Alessandria, fu l’ultima direttrice del Museo e della Biblioteca della città e fece una fine tragica.  La più celebre tra le scienziate medievali  fu  Ildegarda di Bingen (1098 – 1179), (a destra) che si dedicò anche alla musica e alla pittura e venne poi anche santificata e dichiarata dottore della Chiesa.  Tra le successive guide di Martina vi è Maria Margarethe Winkelmann  (1670-1720) che fondò, con il marito (Gottfried Kirch),  l’osservatorio astronomico di Berlino. Scoprì anche una cometa  che però prese il nome del marito, al quale inizialmente fu anche attribuita la scoperta! Un’altra guida è Marie Fairfax-Sommerville ( 1780 -1872 ), la regina della scienza ottocentesca (a detra). La Royal Society di Londra le eresse un busto in bronzo  che non potè mai vedere, poiché, come donna, le era vietato l’accesso nell’Accademia! Il viaggio nella storia astronomica femminile viene concluso dall’italiana Caterina Scarpellini (1808 -1873) che lavorò a Roma alla Specola del Campidoglio (fono a sinistra). Il libretto, ricco di aneddoti, è piacevole e stimolante anche per gli adulti. Nella veste grafica del testo  sono tracciate linee temporali, che aiutano a contestualizzare gli eventi astronomici nella storia sociale e culturale.  Le immagini, i  box, con le  curiosità,  e il glossario forniscono spunti divertenti e interessanti  per continuare il viaggio alla scoperta del cielo.

 Dalla lettura del volume si rileva che  le astronome del passato,  che si sono  occupate dell’osservazione  degli astri, del calcolo matematico e della scrittura di libri importanti, avevano in comune la  provenienza  da famiglie ricche e/o avevano la fortuna di avere un padre, un fratello o un marito scienziato che condivideva la loro passione.

 

 L’accesso delle donne agli studi, com’è risaputo, fu a lungo ostacolato. Basti ricordare che all’Università di Harvard, per esempio, fino al 1956, le astronome non potevano essere nominate professore e che, fino al 1965,  non potevano  fare osservazioni sul monte Palomar. Anche all’Università di Princeton,  fino al 1975, era impedito l’accesso femminile agli studi astronomici.  Oggi  la situazione è molto diversa: sono numerose le astrofisiche che effettuano ricerche nei più svariati campi, dalla fisica stellare alla cosmologia. Si può stimare che rappresentino dal 20 al 30% di tutti gli astronomi e astrofisici del mondo.

 

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