I libri
A cura di Giuseppe Prunai
Raramente,
anche da parte degli addetti ai
lavori, vengono ricordati i protagonisti della radio moderna. Non
i teorici come il Marinetti del Manifesto futurista della radio, il
Bertolt Brecht dell’utopia, il Carlo Emilio Gadda tra i fondatori del mitico
Terzo Programma della radioRAI, ma anche chi ha poi messo in pratica, spesso
rielaborandoli, i loro
insegnamenti. Il pirotecnico Marinetti teorizzò la figura del futuro
radiocronista che doveva far vedere, con le parole, ciò che gli ascoltatori non
potevano. Brecht immaginava una radio interattiva che, se interrogata dagli
ascoltatori, rispondesse agli interlocutori, cosa che fu una realtà solo negli
anni 60 con le trasmissioni “Chiamate Roma 3131” e “Radio anch’io”. Oggi è
prassi normale. Gadda
stabilì le regole fondamentali del
resto radiofonico.
Ma poi c’è stata una lunga teoria di operatori
della radio che hanno messo in pratica questi insegnamenti, li hanno
perfezionati, arricchiti, sfrondati, affinati. Hanno creato uno stile per fare
radio e un modo di raccontare gli avvenimenti tuttora valido. Silvio Gigli
(Siena, 10 agosto 1910 – Roma, 7 febbraio 1988) è stato uno di questi lavoratori
che hanno tracciato i binari sui quali la radio marcia ancora.
Di
questi suocompagni di cordata cito alcuni nomi così come mi vengono alla memoria: Vittorio
Veltroni, Nicolò Carosio, Amerigo Gomez, Pia Moretti, e quelli contemporanei
come Arbore, Buoncompagni e Sergio Zavoli, al quale toccò l'ingrato compito di
commemorare Gigli durante una cerimonia in Campidoglio. Il loro modo di lavorare, i loro
insegnamenti hanno consolidato lo
stile della radio moderna, anche se ogni poco i dipendenti della Rai vedono
paracadutarsi in testa un illustre sconosciuto che, colto da improvvisa
“sindrome di Guglielmo Marconi”, è
convinto di avere inventato la radio. Tutti lo guardano nello stesso modo con
cui si guarda chi afferma di essere Napoleone, continuano a lavorare come hanno
sempre fatto e la radio va avanti. Immagino come avrà guardato Silvio Gigli
questi sedicenti innovatori, questi affetti da “sindrome di Guglielmo Marconi”,
lui che in gioventù aveva lavorato nell’amministrazione dell’Ospedale
psichiatrico di Siena.
Perché il Silvio Gigli radiofonico
(radiocronista, moderatore di dibattiti, programmista e regista, giornalista,
commediografo e romanziere) viene dalla gavetta giovanile come filodrammatico e
come collaboratore della cronaca senese di un quotidiano. In accordo con il
primario dell’ospedale, mise su una filodrammatica di malati di mente e di altri
dipendenti del manicomio mentre lui si ritagliava il ruolo di regista e di primo
attore. A volte, anche di commediografo. Un’iniziativa, ancora oggi
positivamente valutata come uno dei primi esperimenti di ludoterapia. La sua
attività giovanile di filodrammatico fu di grande aiuto al Gigli
programmista-regista. Conoscendo la diversità dei tempi del teatro e della
radio, cominciò a rielaborare i testi delle commedie, a sfrondarli, a sopprimere
tutto ciò che non era essenziale al racconto radiofonico. Nacque, insomma, la
“riduzione radiofonica” di molti capolavori della letteratura e della commedia.
Dopo la liberazione di Firenze, gli fu affidata la direzione di “Radio Firenze
liberata” che fu una delle stazioni radio italiane più ascoltate dagli abitanti
del Nord Italia perché era una delle più avanzate, immediatamente alle spalle
della Linea Gotica dove il fronte si era cristallizzato. Come direttore della
radio, dovette destreggiarsi in veri e propri equilibrismi per imporre ai
politici del tempo una “par condicio” ante litteram. Molti anni dopo – racconta
Luchini – il direttore generale della RAI, in occasione di una cerimonia, volle
presentare Gigli al presidente della repubblica, Giovanni Gronchi. “Lo conosco
benissimo – esclamò Gronchi - nel
’45 mi cacciò due volte da Radio Firenze!” In una radio che andava avanti con
pochissimi mezzi, con molto materiale americano di recupero, con pochi
dipendenti (fra questi una giovanissima Bianca Toccafondi nelle vesti di
dattilografa) il poliedrico Gigli era costretto a fare di tutto e sorprende la
facilità con cui trasformava una qualsiasi idea in una trasmissione. Nel ’44
inventò a lanciò "Botta e risposta", il primo programma italiano di quiz a premi.
Allora non c’erano i gettoni d’oro, né si vinceva un viaggio ai Caraibi o
un’automobile. I premi erano un tubetto di dentifricio, una saponetta, un sapone
da barba, un flacone di colonia. Ma i concorrenti ed il pubblico si
appassionavano egualmente al gioco a quiz. Nacquero i primi personaggi: il
Colonnello, il Cravattaio, la lavandaia ed altri, ognuno con una propria
specializzazione: le operette, il ciclismo, la guerra 15-18. Negli anni
successivi nacquero "Sorella radio", dedicata agli ammalati negli ospedali, e "Il
Giringiro", una trasmissione in onda ogni sera a conclusione della tappa del Giro
d’Italia. Gigli, con la sua squadra formata dal maestro Giovanni D’Anzi, Pietro
Garinei, Sandro Giovannini e Isa Bellini, seguiva la carovana del Giro e, ogni
sera, dalla piazza principale della località sede di tappa, mandava in onda il
racconto della corsa in chiave burlesca ed eroicomica. L’équipe della
trasmissione inventò addirittura un premio per l’ultimo arrivato, la Maglia
Nera, che si contendevano Luigi Malabrocca e Sante Carollo, due umili passisti e
portatori d’acqua condannati per contratto a fondo classifica. E si potrebbe
continuare all’infinito ad elencare titoli di fortunate trasmissioni: Ingresso
libero, "Campanile d’oro", "Giochi
senza frontiere", "L’ora del dilettante" che, dopo alcuni anni, divenne la "Corrida"
condotta con successo e trasferita in TV da Corrado Mantoni. Difficile elencare
tutte le fortunate trasmissioni ideate e condotte da Silvio Gigli, ma ci piace
ricordarne una, “Non è mai troppo tardi” corso di istruzione
popolare per adulti analfabeti. Alla preparazione dei testi, partecipò il
maestro Alberto Manzi che, qualche anno più tardi, condusse, anche lui con
grande successo, l’omonima trasmissione televisiva. Impossibile elencare qui
tutti i successi di Gigli che Luca Luchini, in questa monumentale biografia del
Nostro, ha ricordato, scovando anche attività e programmi ormai dimenticati e
dedicando un capitolo alla sua attività di talent scout che lo portò a lanciare
nuovi personaggi dello spettacolo o ad indirizzarne altri verso attività per
loro più congeniali. E’il caso di Alberto Sordi, aspirante cantante lirico.
Gigli lo dissuase e gli suggerì di insistere verso la carriera di attore e per
lui creò una trasmissione che fu la sua fortuna: “Le telefonate di Mario Pio”.
Anche il grande Federico Fellini deve molto a Gigli. Un giorno, il futuro
regista confidò a Gigli di avere inviato alla Rai un racconto in cui narrava le
vicende di due fidanzatini, ma non era stato preso in considerazione. Gigli
rintracciò il testo, gli piacque e si accinse a metterlo in onda. Ma, mancava
un’attrice adatta per la parte femminile. La scelta cadde su Giulietta Masina.
Fellini ne fu entusiasta e non solo della Masina attrice.
Luca Luchini, (foto a destra) dirigente di
banca in pensione, collaboratore di testa giornalistiche locali e nazionali, si
è
scoperto saggista storico con un occhio di riguardo alla storia senese, antica e
moderna. In questa biografia, che non segue un iter strettamente cronologico ma
è articolata per filoni di attività, non potevano mancare alcuni capitoli dedicati al Gigli contradaiolo, al tormentato rapporto tra Gigli e il
Palio. Non tanto alle sue brillanti radiocronache della corsa, che puntualmente
metteva in onda il 2 di luglio e il 16 di agosto, quanto alla sua attiva
partecipazione alla vita della contrada e della città. E qui, Luchini riporta
una serie di aneddoti. I senesi che, come chi scrive questa recensione,
hanno qualche decennio di troppo, ricordano di avergli visto scavalcare le
transenne che trattengono il pubblico, schiaffeggiare il mossiere e ritirare la
contrada, la sua amata Tartuca, dal Palio. Era il 1945. Animi ancora esacerbati
dalla guerra appena conclusa? Può darsi. Ma c’è da dire che il 99,98 per cento
dei senesi è piuttosto “fumino”, prende fuoco subito. E l’altro 0,2%
si accende in ritardo per lentezza di riflessi.
Ma del rapporto di Gigli con il Palio di Siena
facciamo grazia ai lettori non senesi per occuparci del Gigli politico,
inascoltato consigliere comunale di una lista civica e il Gigli mancato
amministratore di enti locali. Nel ’58, avrebbe dovuto essere nominato
presidente dell’ Ente provinciale del turismo, carica di notevole importanza in
una città che vive di turismo. Ma la nomina gli fu scippata ad un personaggio
legato a doppio filo alla DC e alla curia arcivescovile, che si definiva
”editore cattolico” ma che non aveva pubblicato altro se non qualche predica. A
Gigli andò un premio di consolazione, la presidenza dell’Azienda autonoma di
turismo dove svolse un ottimo lavoro, che portò la recupero di numerosi beni
architettonici, alcuni dei quali mostravano ancora le ferite dei bombardamenti.
Ma alla scadenza del mandato, l’incarico fu affidato ad un altro personaggio
legato alla DC e alla curia. Quando sorse un movimento per inserirlo nella
Deputazione del Monte dei Paschi, se non altro come garante dell’attenzione
della banca alla città, gli fu preferito un altro politico democristiano. Quando
si candidò per la direzione organizzativa dell’Accademia Musicale Chigiana
(incarico adatto a chi, come lui, aveva passato una vita nel mondo dello
spettacolo) gli fu preferito un altro, ovviamente con gli stessi legami.
“Nemo propheta in patria”, sembra concludere
Luchini che così titola il capitolo dedicato a questi eventi. Ma il recensore,
senese da più generazioni anche se vive altrove, va oltre questa spiegazione.
Come tante piccole città, Siena è governata da una sorta di trilateral, dai
poteri forti delle banche, della chiesa, dal partito
di maggioranza (allora la DC, una certa DC): è ovvio che la spartizione della
torta non avvenga secondo i meriti. Inoltre, Siena non è mai stata generosa con
i suoi figli che sono andati a far fortuna altrove. Infine, è (o lo è stata ai
tempi di Gigli) una città abbastanza classista e, negli ambienti che contano, non
hanno mai perdonato che lui, figlio di un umile vetturino, abbia
raggiunto le vette della notorietà.
Non resta che soffermarsi un momento sullo stile
di scrittura del libro. Debbo confessare che quando ho letto che Luchini era un
ex dirigente di banca, mi sono
accostato all’opera con riluttanza, temendo di trovarmi di fronte ad una sorta
di doppia partita. Invece, la penna di Luchini è estremamente scorrevole, il suo
stile è giornalistico. Direi di più: radiofonico che è quanto di più diretto,
essenziale, telegrafico. Ad andar con lo zoppo, si diceva un tempo, si impara a
zoppicare. Che Gigli lo abbia plagiato a tal punto?
E’
ormai allarme sociale per il sempre maggior numero di persone (e molti sono i
giovani) dediti al gioco d’azzardo che, inevitabilmente, si trasforma in
rilevanti perdite di risorse economiche, sottratte alla famiglia, per
reintegrare le quali si fa ricorso agli usurai. E’ di pochi giorni fa, la
notizia che uno di questi ha tentato il suicidio non riuscendo più a fare fronte
agli interessi impostigli dagli strozzini. Perché questa dipendenza trascina
uomini e donne in una spirale da cui è difficile uscire perché si tratta di una
vera e propria patologia. Purtroppo, la crisi internazionale, la carenza di
posti di lavoro, il ristagno della produzione e del commercio spinge un sempre
maggior numero di persone a cercare una via rapida per risolvere i problemi
economici e il gioco d’azzardo le attira con l’illusione di facili vincite. Il
volume si propone, innanzitutto, di cambiare un modo diffuso e comune di
pensare, cioè che il gioco d’azzardo sia solo un “brutto vizio” e non una vera e
propria malattia dalla quale si può guarire.
Cesare Guerreschi, psicologo e psicoterapeuta,
opera nel campo delle dipendenze da più di 20 anni ed è esperto in patologie
legate alle dipendenze “classiche”, alle “new addiction” e, naturalmente, alla
dipendenza sessuale e affettiva. E’ fondatore e presidente della Società
italiana interventi sulle patologie compulsive e ha fondato la Comunità
terapeutica per il gioco d’azzardo patologico. Questa è pubblicazione di
Guerreschi è un po’ un manuale che, oltre a divulgare la conoscenza di una
patologia, il cui diffondersi è anche dovuto alla forte e a volte incontrollata
espansione delle nuove tecnologie, offre un aiuto alle famiglie per la scelta di
un percorso di redenzione per un proprio caro caduto nella spirale del gioco
d’azzardo.
Presentato a Bruxelles un libro
dell’oncologo prof. Franco Mandelli
Ho
sognato un mondo senza cancro:
la vita
e le battaglie di un uomo
che non
si arrende
“Trasformare leucemie e linfomi in malattie
curabili. Nemici terribili ma che si possono finalmente sconfiggere. Un
messaggio di speranza quello che il professor Mandelli comunica nel suo libro,
di fiducia nella ricerca medica e soprattutto nella
forza di persone, uomini, donne, ragazzi e bambini che lottano con tenacia
contro la loro malattia” – ha dichiarato l’europarlamentare Silvia Costa
che, insieme all’eurodeputato Vittorio Prodi, ha presentato il libro di
Franco Mandelli: “Ho
sognato un mondo senza cancro. La vita e le battaglie di un uomo che non si
arrende” presso l’Istituto Italiano di Cultura a Bruxelles, alla
presenza dell'autore.
"Nel libro, i cui proventi sono devoluti
interamente all’AIL, Associazione
Italiana contro le Leucemie-linfomi e mieloma, il professor Mandelli
ripercorre la sua vita di medico e ricercatore, pioniere dell`Ematologia in
Italia e in ambito internazionale,
infaticabile nella sua lotta per salvare vite e far progredire le terapie.
Creatore inoltre – ha aggiunto
Silvia Costa – a Roma e in Italia, delle prime
esperienze di assistenza domiciliare, di straordinarie iniziative di
volontariato, come l'Ail e Ad Spem nel campo dei donatori di sangue, nonché
della rete di banche di raccolta del
cordone ombelicale e di associazioni di ricercatori nella rete GIMEMA. Una vita
spesa a dare speranza e sostegno ai pazienti e alle loro famiglie, a unire
pubblico e privato per garantire l'accesso e la gratuità delle cure, promuovendo
la formazione e la passione di giovani medici e ricercatori, sempre mettendo al
centro il malato e i suoi diritti".
Un esempio per molti anche in Europa soprattutto
in questo Nuovo Anno, proclamato dal Consiglio e dal Parlamento Europeo, Anno
Europeo dei cittadini.
"Con questa iniziativa – ha precisato Silvia
Costa - vogliamo porre l'attenzione soprattutto su coloro che hanno maggior
bisogno di tutela dei propri diritti come gli ammalati; ricordo a tale proposito
la Carta internazionale dei diritti del paziente affetto da linfoma, promossa
dal professor Mandelli nel 2006.
L'attuale Programma
d'Azione dell`UE nel settore della sanità pubblica che implementa le politiche
sanitarie nazionali e dovrà essere rafforzato nel nuovo programma di ricerca
Horizon 2020, pone al centro soprattutto
la persona e il suo diritto a cure appropriate e
definisce la salute in senso olistico, come benessere
fisico, psichico e sociale, incoraggiando sia la cura che il prendersi cura
– ha concluso l’europarlamentare. Proprio la filosofia che ha ispirato
l'intera vita umana e professionale di Franco Mandelli."
"Ringrazio sinceramente
l'on. Costa per l'invito che mi ha rivolto - ha affermato il professor Mandelli
- per avermi dato la possibilità di presentare il volume in una sede così
prestigiosa e di raccontare la mia esperienza il lavoro all`interno dell'AIL da
oltre 40 anni in tutta Italia, ma anche all'interno di reti scientifiche e del
non profit europeo. Gli straordinari risultati conseguiti in questo campo negli
ultimi anni sono stati possibili anche grazie alla cooperazione e allo scambio
di studi ed esperienze europee e internazionali. Sotto questo profilo, è
importante che l'Unione continui a tenere alta l'attenzione per la ricerca
sostenendola con risorse adeguate".
“La ricerca sulle leucemie e
sul cancro va in ogni modo aiutata e promossa – ha affermato la professoressa
Federiga Bindi, Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles che ha
ospitato la presentazione del libro del professor Mandelli. Si tratta di un tema
a cui tengo particolarmente, anche perché purtroppo uno dei migliori amici di
mio figlio è affetto da leucemia. So cosa vuol dire per un genitore o per un
familiare avere un proprio caro malato, specie un piccolo caro. Ed è anche per
questo che ringrazio il professor Franco Mandelli per il suo lavoro grazie al
quale migliaia di persone possono continuare a sperare di poter ritornare presto
ad avere una vita normale. Il suo talento è una delle tantissime eccellenze
italiane in questo settore che noi vogliamo contribuire a far conoscere al di
fuori del nostro Paese. La Ricerca rappresenta per noi una parte fondamentale
della cultura italiana, da valorizzare in ogni modo”.
Molto toccanti inoltre, sono state le
testimonianze di due donne che hanno affrontato e superato la malattia anche
grazie al sostegno dell`AIL, le dottoresse Daniela Ronconi e Rosalba Spalice.
Un’iniziativa della Regione Toscana
e della
Provincia di Firenze
Risposta
ai negazionisti della shoa
e di sei
milioni di ebrei uccisi
Un
saggio degli storici Enzo Collotti e Marta Baiardi
recensione di Adolfo
Scalpelli
C’è ancora chi nega la deportazione, lo
sterminio, la Shoah, i sei milioni di ebrei uccisi per puro odio
razziale,
per l’ideologia della razza pura, nordica, germanica. Non importano i Lager che
ancora esistono con le loro attrezzature di morte. Non importano le memorie dei
sopravvissuti, gli studi, i libri, le statistiche, le confessioni (rare) di
qualche aguzzino. I libri hanno ormai l’altezza di una montagna. Serve a tutti
rileggere quel passato anche se eccidi di qualche genere dopo la fine della
guerra ne abbiamo visti ancora. Tuttavia non così industrialmente atroci,
organizzati, premeditati da menti che freddamente hanno composto la strategia
dello sterminio nazista.
Per chi nega ancora tutto questo, il sangue, i
cadaveri, le famiglie, le etnie distrutte non esistono alibi: due studiosi di
storia contemporanea hanno raccolto in un libro tanti titoli di pubblicazioni e
composto un bibliografia che si intitola
Shoah e deportazione. Guida
Bibliografica. (pp. 260, Carocci, Roma, € 24). A curarla sono stati Enzo
Collotti e Marta Baiardi. Uno studioso ben noto, Collotti, che ha insegnato in
università italiane e tenuto corsi e lezioni in atenei stranieri, i cui libri,
tradotti anche all’estero, sono testi fondamentali per la conoscenza del mondo
di lingua e cultura tedesca e danubiano-balcanica. Marta Baiardi insegna ed è
ricercatrice presso l’Istituto storico
della Resistenza in Toscana, con numerosi studi alle spalle sui temi della
deportazione e dello sterminio.
Anche questo libro ha una storia. Era nato come
guida didattica per studenti di scuola secondaria che volessero occuparsi della
storia tragica della seconda guerra mondiale e preparare gli insegnanti per le
visite ai Lager nazisti. Era un’edizione fuori commercio voluta
dalla Provincia di Firenze e dalla Regione Toscana, significativamente
all’avanguardia in questo genere di iniziative. Alcuni anni dopo si è pensato a
farne un libro organico che non è, dicono i curatori, “un semplice
aggiornamento, ma in realtà un rifacimento abbastanza radicale, nonostante abbia
conservato lo schema del vecchio impianto con le modifiche rese necessarie dallo
straordinario incremento di pubblicistica e di opere documentarie del più
diverso livello”.
Un
lavoro attento a ciò che si è scritto da parte di storici e memorialisti e
suddiviso per argomenti per rendere la consultazione più facile e più guidata
vero il tema prescelto.
Dalle opere generali al tema del “ razzismo
nelle colonie”, alle “leggi razziali”, a “contro gli omosessuali”,
all’occupazione e alla Resistenza, e via via a temi molto specifici come la
memoria ebraica, la deportazione infantile, delle donne, degli zingari, le
minoranze religiose, la nascita del “Giardino dei Giusti”, il revisionismo
storico e il negazionismo che rifiutando la verità delle camere a gas e dei
forni crematori dei Lager nazisti, rivalutano fascismo e nazismo.
Uno strumento prezioso che ci aiuta anche a
ritrovare libri forse sfuggiti o dimenticati e sepolti nella nostra memoria. Ma
che aiuta anche a darci “sempre maggiore consapevolezza – scrivono Collotti e
Baiardi – di ciò che la Shoah ha significato nella coscienza dell’umanità come
<cesura di civiltà>, come è stato autorevolmente detto, e dalla stessa
istituzione nel 2000 del Giorno della Memoria, tesa fra l’altro a sottolineare
uno dei fattori di convergenza nella memoria dei popoli verso una comune
identità europea”.
Il cielo dimenticato in un baule
recensione di Giuditta
Bricchi
Se domandate a qualcuno un nome celebre nella storia dell’astronomia, molto probabilmente vi risponderà Keplero, Galileo, Copernico e così via, vi dirà cioè il nome di un uomo. Sarà molto difficile che ricordi un nome femminile, come Ipazia di Alessandria (a destra), Gabrielle du Châtelet, Caterina Scarpellini, anche se le donne astronome sono esistite e il loro contributo scientifico è stato tutt’altro che trascurabile. Le donne che nel corso della storia sono state protagoniste dell'evoluzione dell'astronomia sono personalità rimaste per lo più sconosciute.
Gabriella Bernardi, astronoma e giornalista
scientifica, ha dedicato loro il
volumetto “
Il cielo dimenticato in un baule”,
Edizioni La Ricotta, Pavia, 2012, pag.40, 8 €,
ISBN: 978-88-96594-09-4,
sua seconda opera per ragazzi. La
giovane protagonista del libretto compie un viaggio nella storia dell’astronomia
attraverso la descrizione delle figure femminili che l’hanno contraddistinta.
Il libro spazia dall’antichità fino
ai primi del Novecento
e
vuole
far
comprendere, attraverso la storia
delle astronome, come sia evoluta l’astronomia.
Su questo tema l’autrice ha fatto
ricerche per una decina di anni, raccogliendo
una considerevole quantità di
documentazione. “Il
libro – sottolinea
Gabriella Bernardi (foto a destra)-
ha
più di un obiettivo. Il principale è
quello di far capire ai giovani
lettori che il contributo femminile all’astronomia non è stato né
episodico né trascurabile. Se mi fossi dedicata solo alle figure più importanti,
avrei potuto favorire un “effetto Madame Curie”, avrei potuto insomma far
intendere che le donne astronome abbiano partecipato in modo sporadico e che le
protagoniste lo fossero solo perché di eccezionale levatura. Inserire invece
molte
astronome nel libro (anche se sono una selezione di quelle che avrebbero potuto
esserci) dimostra che il loro
coinvolgimento non
era solo sporadico e che
erano paragonabili, come
preparazione e capacità, ai loro colleghi
uomini.”
Secondo
l’autrice
“la scarsa notorietà delle protagoniste (anche
a livello di studi universitari)
deriva almeno da due cause: il limitato accesso per le donne ad una istruzione
superiore e il fatto che l’apprendimento di queste scienziate dipendesse , in
molti casi, dalla presenza di parenti stretti, che finivano per oscurare il loro
contributo. Emblematico è il caso di Sophie Brahe, la cui capacità teorica e
matematica fu inglobata dal nome del fratello Tycho, più portato alla parte
sperimentale e osservativa. E’ quindi
importante migliorare la conoscenza storica e scientifica di queste
studiose per contrastare pregiudizi molto diffusi”.
Martina, la piccola protagonista del
racconto,
trova
una chiave nella casa di campagna della zia e scopre che essa serve ad aprire un
misterioso baule pieno di fotografie e appunti. Comincia così il viaggio della
ragazzina alla scoperta del cielo, in compagnia delle più grandi astronome del
passato.
Ventuno sono le
astronome che faranno da guida a
Martina e ai suoi lettori. Non
sapremo mai chi fu veramenete la prima donna, nella notte dei tempi, ad
occuparsi di astronomia. il
racconto incomincia con
la prima astronoma conosciuta,
vissuta ben oltre quattromila anni fa.
En Heduanna
(2300
a.C.),
principessa babilonese, (bassorilievo a sinistra) era
sacerdotessa della dea della Luna e
dirigeva gli osservatori
babilonesi, che avevano grande
importanza sociale e civile. A questa principessa
segue un’altra principessa egiziana, Aganice. Poi è la volta di Sonduk,
regina coreana, che incuriosita sin da piccola dallo spettacolo del cielo, fece
erigere (630 a.C.) una torre
astronomica (Cheomseongdae
o la Torre della Luna e del Sole)
che si può ammirare ancora oggi. Il
succedersi delle astronome dell’antichità si conclude con Ipazia (370 - 415
d.C.), prima donna scienziata la
cui vita è ben documentata. Nacque
in Egitto, ad Alessandria, fu l’ultima direttrice del Museo e della Biblioteca
della città e fece una fine tragica.
La più celebre tra le scienziate medievali
fu Ildegarda di Bingen (1098
– 1179), (a destra) che si dedicò anche alla musica e alla pittura e venne poi anche
santificata e dichiarata dottore della Chiesa.
Tra le successive guide di Martina vi è Maria Margarethe Winkelmann
(1670-1720) che
fondò, con
il marito
(Gottfried Kirch),
l’osservatorio astronomico di Berlino.
Scoprì
anche una cometa
che però prese il nome del marito, al quale inizialmente fu anche
attribuita la scoperta! Un’altra guida è
Marie Fairfax-Sommerville ( 1780 -1872 ), la regina della scienza ottocentesca
(a detra).
La Royal Society di Londra le eresse un busto in bronzo
che non potè mai vedere, poiché, come donna, le era vietato l’accesso
nell’Accademia! Il viaggio nella storia
astronomica femminile viene concluso dall’italiana Caterina Scarpellini (1808
-1873) che lavorò a Roma alla Specola del Campidoglio (fono a sinistra). Il libretto, ricco di
aneddoti, è piacevole e stimolante anche per gli adulti. Nella
veste grafica del
testo sono
tracciate linee temporali, che aiutano a contestualizzare gli eventi astronomici
nella storia sociale e culturale.
Le immagini, i box, con le
curiosità, e il glossario
forniscono spunti divertenti e interessanti
per continuare il viaggio alla scoperta del cielo.
Dalla lettura del volume si rileva che
le astronome del passato,
che si sono occupate
dell’osservazione degli astri, del
calcolo matematico e della scrittura di libri importanti, avevano in comune la
provenienza da famiglie
ricche e/o avevano la fortuna di avere un padre, un fratello o un marito
scienziato che condivideva la loro passione.
L’accesso
delle donne agli studi, com’è risaputo, fu a lungo ostacolato. Basti ricordare
che all’Università di Harvard, per esempio, fino al 1956, le astronome non
potevano essere nominate professore e che, fino al 1965,
non potevano fare
osservazioni sul monte Palomar. Anche all’Università di Princeton,
fino al 1975, era impedito l’accesso femminile agli studi astronomici.
Oggi
la situazione è molto diversa: sono numerose le astrofisiche che
effettuano ricerche nei più svariati campi, dalla fisica stellare alla
cosmologia. Si può stimare che rappresentino dal 20 al 30% di tutti gli
astronomi e astrofisici del mondo.