Per un punto Martin perse la cappa
Alla Cop26 la perdono per una sola parola
India e Cina chiedono di cambiare il termine “phase out” con “phase down”,
ovvero invece che uscire completamente dal carbone per la produzione energetica
di diminuirne il suo utilizzo in modo progressivo e più lento
di Magali Prunai
“Si le Congrès danse, il ne marche pas”, così il politico, diplomatico e
principe belga Charles Joseph de Ligne commentò il Congresso di Vienna.
Le maggiori potenze europee si riunirono a Vienna, cuore dell’impero asburgico,
fra il novembre del 1814 e il giugno del 1815 per riorganizzare l’Europa dopo
che un vero e proprio ciclone l’aveva attraversata.
Tutto ciò che la rivoluzione francese prima e Napoleone poi avevano cambiato,
eliminando l’Ancien régime, doveva essere ripristinato.
Ma i lavori del congresso, interrotti spesso da ricevimenti e balli, furono
interrotti nel marzo del 1815 dai 100 giorni di Napoleone.
Scappato dall’esilio e sbarcato in un piccolo porto del sud della Francia, a
Golf Juan dove ancora oggi è possibile vedere sul lungo mare una targa che
indica il punto esatto dove approdò l’imperatore dei francesi, tornò a Parigi
seguito da un esercito che aumentò sempre di più lungo il cammino.
Il congresso fu interrotto e le decisioni prese fino a quel momento, se qualcuna
era stata presa, diventarono carta straccia.
Napoleone “cadde, risorse e giacque” e dopo la terribile disfatta a Waterloo,
nel giugno del 1815, fu costretto a una nuova abdicazione. Questa volta per
l’esilio si scelse un’isola sperduta nel Pacifico, da dove fosse difficile se
non proprio impossibile scappare ancora. E per sicurezza nel 1821qualcuno decise
di avvelenarlo, Manzoni scrisse il 5 maggio e Napoleone entrò nel mito.
Due secoli dopo, sempre in novembre, un’altra sorta di congresso si è riunito,
in Scozia, a Glasgow, questa volta per decidere il futuro del mondo. Ma non per
restaurare un assetto politico ormai vetusto, ma per impedire che il pianeta
muoia con tutti i suoi abitanti a causa di temperature troppo alte e
inquinamento.
Dopo le parole della giovane attivista Greta Thumberg, leader dei giovani che
vogliono un cambiamento radicale ed effettivo, insoddisfatta fin dall’apertura
della Cop26, il congresso del mondo sul suo futuro non si è aperto in un clima
estremamente positivo. Molti delegati si sono lamentati e spaventati
dall’atteggiamento di molti colleghi che hanno scelto di bloccare i lavori per
discutere di virgole e punti.
Quando ormai le modifiche all’accordo di Parigi erano state stabilite e si
doveva solo votare per iniziare subito a lavorare nella pratica di tutti i
giorni per cambiare le cose Napoleone è sbarcato a Golf Juan. Attrice del colpo
di scena, questa volta, è l’India che si è alzata durante la plenaria e ha
chiesto di modificare una parola. Senza quella modifica né lei né la Cina
avrebbero firmato. E cosa hanno chiesto? Hanno chiesto di cambiare il termine
“phase out” con “phase down”, ovvero invece che uscire completamente dal carbone
per la produzione energetica di diminuirne il suo utilizzo in modo progressivo e
più lento. Una batosta non indifferente, soprattutto perché arrivata
all’improvviso e a giochi già conclusi. Senza più possibilità di mediare, di
convincere, di parlare.
In molti hanno comunque detto che a Glasgow, nelle ultime settimane, si è fatta
la storia.
Sarà vero? Ai posteri l’ardua sentenza.