di Magali Prunai
Ero seduta nella mia stanza, traducevo delle frasi di latino. Non ricordo
l’autore e neanche l’argomento, erano delle frasi che mi sembravano
difficilissime. Con la testa pensavo a tutt’altro, al nuovo anno scolastico che
stava per cominciare, alle prossime vacanze, alle uscite con le amiche. Insomma,
fra una traduzione e l’altra nella testa c’erano tanti di quegli argomenti
tipici di una ragazza di quasi quindici anni.
All’improvviso la porta della mia stanza si spalancò, entrò mio padre quasi
urlando “New York, le torri, è la guerra”. Io e mia sorella ci guardammo
perplesse. Alzheimer precoce? Seguimmo nostro padre in salotto dove il
televisore era accesso su Rai1. Rimanemmo ammutolite.
Era l’11 settembre 2001, a Milano era un pomeriggio come tanti di fine estate.
Un po’ caldo, un po’ afoso. Il tempo era scandito, per me, dai preparativi
dell’inizio della scuola. La coda al Libraccio per acquistare i libri, che
sistematicamente, dopo un pomeriggio passato ammassata con altre centinaia di
studenti davanti alla libreria, facevo fare a mio padre alla mattina perché
c’era meno fila, andare a ricomprare quaderni, penne, matite. Il giro nella mega
libreria del centro di Milano, dove compravo il diario con le cartoline di Van
Gogh.
A New York era mattina, la giornata lavorativa stava cominciando in quel
momento. Gente che entrava in ufficio, gente che già era alla sua scrivania. Una
routine come tante, qualcuno forse pensava alle vacanze, qualcuno al mutuo, chi
magari aveva appena iniziato una nuova vita ed entrava in ufficio con gli occhi
pieni di sogni e di speranze. Tutto è andato in frantumi nel giro di poco. Un
aereo di linea dirottato e lanciato contro una delle due torri gemelle, poco
dopo un secondo aereo, un’altra torre.
Il cantiere di ground zero visto da Broadway (foto di Paolo Negrelli)
Le
immagini dello schianto, il crollo, il fumo, il fuoco, la consapevolezza che il
mondo in quel momento stava cambiando e niente più sarebbe stato come prima.
L’idea di pace e del mondo senza confini che appartiene alla mia generazione,
quella che era troppo piccola per ricordare la caduta del Muro di Berlino o che
è nata addirittura dopo, una generazione cresciuta nell’idea che tutto il mondo
è casa propria, è venuta meno quel giorno. La guerra è diventata qualcosa di
reale, la fragilità della nostra realtà è venuta alla luce nel peggiore dei
modi.
Ma quel pomeriggio, mentre guardavo il mondo cambiare per sempre in diretta TV,
con gli occhi pieni di lacrime, non ragionavo di filosofia e di storia del
mondo. Quel giorno ho avuto paura, una paura diversa da quella provata fino a
quel momento. L’11 settembre 2001, a quasi 15 anni, ho avuto paura
dell’incertezza, del futuro, di cosa sarebbe successo dopo.