Alla ricerca di se stessi di Rinaldo De Benedetti Editore L'Orto della Cultura,
2021 pp.228 euro 16.
recensione di Adriana Giannini
Era davvero un precursore tra i giornalisti e i divulgatori Rinaldo De Benedetti
(Alias Didimo - Sagredo -
Alazor
e non solo ) per aver portato più di settantanni fa sulle pagine di quotidiani e
riviste quegli argomenti scientifici che erano riservati a pochi addetti ai
lavori. Questa sua attività lo rende tuttora un’ indimenticabile figura del
giornalismo scientifico italiano, ma dopo la sua morte, avvenuta nel 1996,
l'instancabile figlia Anna è andata riscoprendo in scritti inediti o dimenticati
altri interessanti aspetti della sua variegata personalità. Con amore e pazienza
ne ha curato la pubblicazione donandoci ispirate poesie (Sonetti vespertini ) e
suggestivi romanzi e racconti (Il governatore, 2011, Dove il bene è peccato,
2016, Le strane nozze di Diamantina e altri racconti, 2020).
Esce ora questa raccolta di 95 riflessioni apparse
tra il 1952 e il 1954 sulla "Domenica del Corriere" per la rubrica “Alla
ricerca di se stessi”, anche in questo caso un'antesignana di altre rubriche
apparse successivamente come “La bustina di Minerva” di Umberto Eco, “Pubblico e
privato” di Francesco Alberoni o “L'Amaca” di Michele Serra, solo per citarne
qualcuna.
Come fa notare lo psichiatra Vittorino Andreoli, nella lunga a interessante
prefazione al volume, stupisce trovare negli articoletti di una rubrica che per
forza di cose è "datata", tanti
spunti che non hanno perso di attualità. Evidentemente in apparenza il mondo è
molto cambiato rispetto agli anni cinquanta, ma alcune riflessioni di Rinaldo De
Benedetti rimangono purtroppo più che mai attuali. Possibile che parecchi ancora
non ammettano che "ogni uomo nasce uomo; prima di essere italiano o norvegese,
bianco o nero, cristiano, musulmano o ebreo, collettivista o individualista
ebbene prima di tutto egli è un uomo"? O che ci sia bisogno di ricordare che
"Difficilmente la propaganda è onesta"? Questo perché "Non fa appello alla
ragione, ma all'emotività e soprattutto alla ripetizione, come sapeva quel
tecnico della propaganda politica, il Goebbels, che sapeva che qualsiasi
proposizione, sentita ripetere un numero grandissimo di volte, viene
creduta."Oppure che siano tuttora troppo pochi quelli che hanno il coraggio di
affermare, come faceva il compianto Gino Strada,
che "La guerra è detestabile per innumerevoli ragioni" e che "Se si fa il
conto dopo le guerre si vede da un lato un'ecatombe di onesti, di probi, di
giusti, che hanno pagato di persona; dall'altro l'arricchimento di
procacciatori, di dritti, di gente che ha avuto occhio agli affari."
In uno dei capitoletti del libro l'autore si chiede "Che cosa resterà di noi,
poveri diavoli, dopo la morte?" Una domanda importante posta nel consueto modo
cordiale che lo caratterizza.
"Qualcuno forse si ricorderà di noi - risponde - ma non è il caso di farci una
malattia: essere stati Cesare o un Tizio qualsiasi dopo un po' di tempo è
tutt'uno. Sono invece le nostre
azioni e il nostro lavoro a circolare indefinitamente, per una interminabile
catena di effetti, nell'avvenire." Semplici e sagge parole che sono a
loro volta, insieme a una vita esemplare, la migliore risposta possibile.