Il destino di un'idea e il futuro della sinistra

Pci e cattolici

una radice della diversità

L’unicità del partito comunista italiano in un saggio di Vannino Chiti

 

 

di Mario Talli

    Traendo spunto dal centenario del Partito comunista italiano, Vannino Chiti ha colto l'occasione per una riflessione approfondita sulle particolarità – per merito soprattutto di Antonio Gramsci – di questo partito fino a che è stato in vita rispetto a tutti gli altri partiti con lo stesso nome e in specie del PCUS. Questo intendimento è anche l'occasione per una ulteriore disamina di una questione, a lui cara,  che rappresenta un punto non secondario degli aspetti che fanno del Pci un soggetto diverso dagli altri partiti comunisti e cioè il rapporto con la Chiesa e i credenti in una dimensione ultraterrena. Se non ci fosse il rischio di fare apparire il tutto come un esercizio intellettuale tendente alla semplificazione, ci verrebbe da dire che Chiti ha redatto un  vero e proprio manuale,  ricco di spunti e di esempi dimostrativi e convincenti  per chi non si accontenta delle discussioni quotidiane e vuole saperne di più sulla storia e la politica nel nostro Paese e non solo.

    Il cammino del Pci e degli altri partiti o spezzoni di partito o movimenti è seguito dall'immediato dopoguerra fino alla crisi degli anni '90 (il titolo del capitolo è La fine di un mondo), gli anni in cui tutti i partiti scomparvero o cambiarono nome. Del Pci in particolare ma anche degli altri partiti in questo lungo arco di tempo sono ricordati i passaggi-chiave e decisivi da cui si ricava un quadro d'assieme estremamene esaustivo della politica italiana degli ultimi decenni. E dal quale, volendo, si può partire per intraprendere un nuovo inizio, di cui c'è estremo bisogno, soprattutto a sinistra ma non solo. Questo, in sintesi, ci è sembrato voglia dire Vannino Chiti con questo suo nuovo libro.   

    Il titolo dell'opera è “Il destino di un'idea e il futuro della sinistra. Pci e cattolici una radice della diversità.” E' chiaro fin dal titolo che a Vannino Chiti, che è stato iscritto fin da giovanissimo a questo Partito, ricoprendovi anche incarichi di grande responsabilità, sta  ancora a cuore, pur prendendo atto (d'altronde sarebbe impossibile non farlo) di ciò che non è più proponibile dell'idea originaria. Non solo. L'impressione è, alla luce delle sue argomentazioni e dei suoi ragionamenti,  che secondo lui l'esperienza del Pci, nel bene e nel meno bene, possa ancora servire per aprire finalmente nuovi orizzonti, non solo in Italia, ma nel mondo intero, ad una prospettiva politica di sinistra. O, quantomeno, che quell'esperienza non vada totalmente dispersa.

     Il Partito comunista italiano è sempre stato considerato diverso rispetto a tutti gli altri partiti comunisti. Secondo Chiti la prima ragione di questa diversità riguarda la “centralità” , nella sua elaborazione teorica, della questione cattolica. “Il tema delle sensibilità religiose, non più solo cattoliche, e delle motivazioni che sollecitano l'impegno politico delle moltitudini di persone che esse orientano – specifica -  è tanto sottovalutato dalla sinistra italiana ed europea quanto ancora oggi decisivo per il futuro delle nostre società.”  

       Dicevamo all'inizio del ruolo fondamentale avuto da Gramsci nel fare del Pci ciò che è stato e cioè un partito comunista diverso da tutti gli altri partiti con questo nome. “Gramsci  - spiega Chiti – per la sua elaborazione teorica e, a partire dagli anni Trenta, per la sua valutazione critica di Stalin e delle sue politiche, non mi sembra essere dentro i confini dell'Internazionale; Togliatti – anche nelle fasi del suo più forte impulso al rinnovamento, come nel 1944-1947 e ancor più da metà degli anni Cinquanta alla sua morte – mai volle uscire da un'appartenenza terzinternazionalista.”

      A proposito di personalità politiche innovatrici, Chiti si duole che attualmente si parli poco di Berlinguer e quando lo si  fa prevale spesso “un approccio critico”.  “Non sono d'accordo e non solo per ragioni sentimentali legate alle mie scelte politiche negli anni dell'università, Berlinguer approfondì la laicità del Pci proprio in relazione ai rapporti con il cattolicesimo, nel famoso scambio di lettere con il vescovo Luigi Bettazzi, divenuto pietra miliare del dialogo con i credenti.” Sempre  riguardo a Berlinguer, Chiti nota che fu ancora lui che “sciolse i nodi di ambiguità rimasti rispetto alla compiuta adesione alla democrazia e mutò la collocazione del Pci nel campo internazionale” e lo portò, insieme a Willy Brandt e a Olof Palme, ad affrontare “i temi di un nuovo sviluppo globale, per impostare su basi diverse i rapporti tra Nord e Sud del pianeta.”

      “So bene – aggiunge tuttavia – che le risposte alle sfide ecologiche e antropologiche per affermare sempre e comunque la dignità di ogni persona – dal diritto a un alloggio, all'istruzione, alla sanità, a un lavoro, alla domanda di pace – non si trovano nel passato. Ribadisco tuttavia la convinzione che vi sono spunti tuttora validi da cui ripartire nelle elaborazioni a cui ho fatto riferimento. Le posizioni di Berlinguer, Brandt, Palme, come la Carta di Intenti che accompagnò il superamento del Pci e la nascita del Partito Democratico di Sinistra (scarsamente discussa perché concentrati prevalentemente sulla scelta del  nome e del simbolo), meritano di essere studiate e riconsiderate.”  Allo stesso modo Chiti ritiene che le due encicliche di Papa Francesco Laudato sì e Fratelli tutti “contengano indicazioni e proposte che i progressisti dovrebbero far proprie, approfondire in una rinnovata cultura politica e in un progetto di società.”

        L'idea di Chiti, dopo la crisi dei partiti novecenteschi, molti dei quali sono scomparsi inghiottiti dai gorghi della storia,  è che le forze progressiste debbano guardare ad un “nuovo umanesimo”, da costruire passo passo anche, se non addirittura soprattutto,  con l'apporto dei movimenti delle donne e dei giovani del mondo intero “che hanno accolto il grido di allarme per le sorti del pianeta”. “Li abbiamo visti in campo nelle società arabe, nelle rivoluzioni pacifiche chiamate primavere...li vediamo a Hong Kong  o in Tibet, contro il governo cinese, incapace di coniugare aumento del benessere economico e democrazia; in Birmania, contro il colpo di stato dei militari, in Turchia contro l'attacco alla laicità dello Stato e della società.”

      In conclusione per Vannino Chiti “torna il bisogno di una sinistra capace di proporre un progetto di società e del mondo: una cultura dei valori, movimenti e partiti. L'umanità è davanti a un bivio: potrebbe precipitare nella d’istruzione di sé stessa e della Terra”. 

Il Galileo