nel 41esimo anniversario
dell’assassinio
di Giuseppe Prunai
Il presidente dell’ALG Paolo Perucchini, al suo fianco il consigliere Mario
Negri
Perché ricordare il 41esimo anniversario dell’assassinio di Walter Tobagi
quando, un anno fa, abbiamo celebrato in pompa magna il 40esimo anniversario? Lo
spiega con parole accorate Beppe Giulietti, presidente della FNSI, che ha il
compito di concludere la cerimonia svoltasi a Milano, in via Salaino, dinanzi
alla lapide che ricorda il vile attentato. Citando Primo Levi, Giulietti dice
che è necessario conservare il ricordo di un fatto perché quando il ricordo
viene meno il fatto potrebbe verificarsi di nuovo.
Due aspetti della cerimonia
La cerimonia si era aperta con la deposizione di una corona di fiori dinanzi
alla lapide che ricorda il suo sacrificio. Il presidente dell’Associazione
lombarda dei giornalisti, Paolo Perucchini, ha ripercorso le tappe della
carriera di Tobagi, la sua azione di sindacalista, di fautore di un
giornalismo con la schiena dritta. Gli ha fatto eco Mario Negri, del direttivo
dell’ALG, che ha illustrato il tipo di giornalismo ipotizzato da Tobagi. Marco
Volpato ha recato il saluto della moglie e della figlia di Tobagi,
impossibilitate ad intervenire per precedenti, inderogabili impegni ed ha
ricordato come, in quegli anni, nei cosiddetti anni di piombo, un inviato
speciale quale era Walter, vivesse un po’ blindato, sempre sotto attacco, sempre
nel mirino. Infine Giulietti di cui abbiamo già detto. Da aggiungere che il
presidente della FNSI ha polemizzato con il sindaco di Milano: la panchina
dedicata a Tobagi che avrebbe dovuto essere installata nel vicino Parco Solari
già un anno fa non è mai stata realizzata.
L’intervento di Giulietti
Fin qui la cerimonia, ma nella mente di uno
spettatore attento non possono non
echeggiare le parola Leo
Valiani: «L'Italia repubblicana non ha fatto, sotto i colpi del terrorismo, la
stessa fine dell'Italia liberale sotto i colpi dello squadrismo. I politici, i
sindacalisti, i magistrati, i poliziotti ed i carabinieri, i giornalisti, e le
grandi masse del paese, hanno imparato qualche cosa dall'amara esperienza del
primo dopoguerra. Se hanno saputo difendere la repubblica, lo si deve anche ad
uomini come Tobagi ed al loro sacrificio. Buono, generoso quale era, se fosse
rimasto in vita, Tobagi non se ne vanterebbe. Ma noi gli dobbiamo sempre un
accorato omaggio»
Marco Volpato
A questo punto non possiamo non ricordare l’incredibile conclusione del processo
ai terroristi assassini: dopo la condanna, il tribunale ne ordinò l’immediata
scarcerazione in base alla legge sui pentiti, per altro male applicata, si disse
all’epoca. L’indagine si fermò ai manovali della violenza e non si occupò mai
dei mandanti. Adolfo Beria d’Argentine, una volta divenuto procuratore generale
della Repubblica a Milano, riprese le indagini e, esaminando il volantino di
rivendicazione, arrivò alla
conclusione che il testo era stato scritto da altri almeno al novanta per cento.
A sua volta il giudice Guido Salvini, sulla base dei pochi documenti superstiti,
concluse che alla base di tutto c’era il terremoto politico-sindacale scatenato
da Tobagi nel giornalismo milanese.