A 200 anni dalla morte di Napoleone
ci si chiede ancora:
Ma i posteri non sono concordi
di Magali Prunai
Se fosse destinato alla gloria, quel lontano 15 agosto 1769, ancora non si
poteva intuire, ma sicuramente che la vita di Napoleone Bonaparte non sarebbe
passata inosservata si poteva immaginare.
La madre partecipò attivamente alle sommosse contro il passaggio della Corsica
alla Francia facendogli respirare aria di guerra e di lotta ancora prima di
nascere, tanto che l’ultima cui prese parte si svolse proprio il giorno prima
della sua nascita.
Napoleone Bonaparte nacque ad Ajaccio, in Corsica, proprio quando la Repubblica
di Genova cedette l’isola alla Francia.
Spedito nel continente fin da piccolo a studiare, non si dimostrò uno studente
particolarmente notevole finché non entrò nell’esercito.
Avrebbe preferito la marina, ma c’era posto in artiglieria e questo fu un bene
perché imparò strategie che in futuro tornarono molto utili, perfezionate al
punto da essere riuscito a rimodellare e plasmare a proprio piacimento l’Europa
intera.
Allo scoppio della rivoluzione, nel 1789, ormai ventenne e ufficiale del re,
ottenne una lunga licenza che andò a passare in Corsica. Ancora ostile alla
Francia, i corsi speravano di sfruttare la situazione per ottenere
l’indipendenza al punto da far scoppiare, pochi anni dopo la presa della
Bastiglia, una sanguinosa guerra civile.
Fra
i nomi di maggior spicco troviamo Pasquale Paoli (foto a sinistra), considerato
dagli indipendentisti e nazionalisti il padre della patria, che, appena
rientrato dall’esilio impostogli dalla Francia, incitava tutti i corsi ad
armarsi per i propri diritti.
Ai tempi della rivolta contro Genova e contro il re di Francia la famiglia
Bonaparte aveva sostenuto Paoli, ma questa volta scelse la causa francese.
Napoleone comandò una piccola armata nel tentativo di conquistare una parte
della Sardegna, ma l’impresa non riuscì al punto che, insieme alla famiglia,
dovette scappare nel sud della Francia.
Arrivato a Tolone riorganizzò in pochi giorni le forze d’assedio e la sua gloria
militare ebbe inizio.
Divenuto generale di brigata andò a Parigi dove gli fu dato l’incarico di
difendere la Convenzione Nazionale dalla minaccia dei monarchici e grazie anche
all’aiuto di Gioacchino Murat, riuscì a sventare un colpo di stato.A quel punto
per premio fu nominato generale, ma per paura che il suo carisma gli procurasse
troppi consensi si preferì mandarlo a Nizza a capo dell’Armata d’Italia. La
truppa, di circa 38.000 uomini, era mal equipaggiata e fortemente disillusa,
ormai pronta a una rovinosa sconfitta.
Napoleone, appena preso il comando, tenne un discorso che passò alla storia. Lui
non prometteva la vittoria e neanche la disfatta, ma prometteva di smuovere la
situazione e di tornare presto a casa. Riorganizzò le truppe ed escogitò un
piano d’attacco degno del più fine scacchista. La sua tattica smosse veramente
la situazione, facendo registrare alla Francia delle gloriose vittorie complice,
anche, la voglia delle popolazioni del nord Italia di veder cacciare per sempre
gli occupanti Asburgo.
Quando tornò a Parigi era ormai chiaro che il suo potere e le sue capacità erano
un pericolo per il potere e fu, quindi, spedito in una rovinosa quanto brillante
campagna militare in Egitto con lo scopo ufficiale di bloccare l’espansione
coloniale inglese.
Napoleone, che non era stato uno studente modello ma stupido non era, insieme
all’esercito si portò dietro un gruppo di studiosi (archeologi, biologi,
botanici...) per raccogliere reperti storici, nuove piante da riportare in
patria. Se dal punto di vista militare la campagna non fu un successo, al punto
che Napoleone tornò in Francia alla chetichella, da un punto di vista
soprattutto archeologico fu un successo. Se oggi abbiamo un ramo
dell’archeologia dedicata all’Egitto lo dobbiamo proprio a lui.
Sbarcato a Fréjus, nel sud della Francia, fu accolto con entusiasmo dalla
popolazione convinta che fosse tornato per prendere il comando dello Stato.
Proprio in quei giorni convinse le Camere, paventando una minaccia rivoltosa dei
monarchici, a riunirsi fuori Parigi e a votare per sciogliersi e dare a lui il
potere assoluto. Il discorso che tenne non fu brillante, tanto da lasciare i
deputati prima freddi e che, poco dopo, lo accusarono di tradimento. Ma dalla
sua aveva l’esercito, pronto a intervenire in sua difesa contro gli stessi
deputati. Quasi tutti veterani delle campagne di Napoleone, entrarono con le
baionette innestate e dispersero i deputati. Quella sera i pochi rimasti
votarono per creare il consolato dei tre consoli (Ducos, Sieyès e Napoleone).
Nominato primo console, ricostruì la Francia. Ricostruì la Francia
amministrativa, giuridica, civile, politica ed economica. Trovò un accordo con
Papa Pio VII, stabilendo che il cattolicesimo era la religione della maggioranza
dei francesi ma non dello Stato, approvando il codice napoleonico che, in
diritto, fa scuola ancora oggi in gran parte d’Europa, fondò la Banca di Francia
e risanò le casse dello Stato.
Divenuto console unico, il 18 maggio 1804 il Senato lo proclamò imperatore dei
francesi.
In quegli anni la sua astuzia e le sue armate si propagarono per tutta l’Europa.
Ogni volta che aggiungeva una nuova conquista al suo potere un suo fedelissimo,
fratello. cognato o amico fraterno, veniva inviato a mantenere il potere in sua
vece. Raggiunse una pace anche con gli austriaci, combinando un matrimonio di
Stato.
Nel 1809 Napoleone divorziò dalla moglie Giuseppina (immagine a destra) e nel
1810 sposò Maria Luisa, nipote di Maria
Antonietta, la regina decapitata (immagine a sinistra).
Il
declino iniziò poco dopo. Lo zar russso cercava di far riaffiorare in Europa un
sentimento antifrancese e non rispettò una serie di accordi che potevano
penalizzare l’economia russa. Ragioni più che sufficienti per portare avanti una
campagna contro la Russia. Napoleone non fece i conti con l’alta capacità di
resistenza delle armate dello zar, convinto di riportare una vittoria definitiva
prima dell’arrivo dell’inverno, le sue truppe si ritrovarono mal equipaggiate a
morire di fame e di freddo.
A quel punto tutte le potenze europee si unirono più che contro la Francia,
contro Napoleone.
A Parigi la situazione era al limite e truppe di ogni genere irruppero nella
capitale. Affidata la reggenza alla moglie, si mise al comando di una truppa di
fedelissimi. Resistette per alcuni mesi finché non dovette capitolare, accettare
la sconfitta e l’esilio.
Mascherato da soldato austriaco per evitare il linciaggio della folla, si
imbarcò a Marsiglia per l’isola d’Elba dove sbarcò il 4 maggio 1814.
All’Elba fu spedito come principe, con la possibilità di governare l’isola a suo
piacimento. Napoleone si divertì a risistemare le strade, le infrastrutture, le
miniere, le difese.
Intanto nel continente le maggiori potenze europee si incontravano a Vienna per
ridisegnare l’Europa. L’incontro, passato alla storia come congresso di Vienna,
fu interrotto proprio da Napoleone che, scappato dall’esilio, sbarcò a Golfe
Juan, dalle parti di Cannes nel sud della Francia, e risalì fino a Parigi
accompagnato dall’esercito che, invece di combatterlo, si univa al suo generale
e alla popolazione che lo acclamava di nuovo.
Ma Manzoni ci ricorda “cadde, risorse e giacque”. La resurrezione durò cento
giorni, poi una nuova disfatta militare, a Waterloo, e un nuovo esilio. Questa
volta fu spedito più lontano, a Sant’Elena, una piccola isola in mezzo
all’Atlantico, a scrivere le sue memorie.
Morì il 5 maggio 1821, quasi sicuramente avvelenato per la paura che tornasse,
ancora, più forte di prima.
A duecento anni dalla sua scomparsa ci rimane il mito di questo piccolo uomo
che, nel bene e nel male, ha fatto la storia d’Europa. Una storia militare,
politica, giuridica. Regole imposte per modernizzare e rendere più vivibili le
città che ancora oggi osserviamo.
Di lui ci rimarrà il ricordo di Manzoni, col necrologio più lungo e poetico
della storia tradotto in tedesco da Goethe e la terza sinfonia di Beethoven,
l’eroica, che inizialmente gli fu dedicata per celebrare l’uomo e le sue azioni.