La prima ondata di SARS-CoV-2 in Lombardia
Le possibili correlazioni a livello regionale tra sintomi e condizioni
atmosferiche, meteo e inquinamento, indagate da uno studio condotto
dall’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati del Cnr con il
Gipsa-lab del Grenoble Institute of Technology e la Fondazione E. Amaldi,
pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public
Health
Da gennaio 2020, milioni di persone in tutto il mondo hanno contratto il virus
SARS-CoV-2 con un tasso medio di mortalità compreso tra il 2% e il 5%. Tuttavia,
alcune aree del mondo hanno presentato un tasso di contagio superiore alla
media. La Lombardia appartiene a queste aree con circa il 40% dei contagi
dell'intero paese (durante la prima ondata dell’epidemia) e un tasso di crescita
dell'infezione, nelle 24 ore, superiore al resto delle regioni italiane. Lavori
recenti hanno ipotizzato che la presenza di inquinanti atmosferici quali
particolato (PM10, PM2,5), ossidi di azoto e di zolfo, e le condizioni
meteorologiche come temperatura, grado di umidità, velocità del vento, possano
condizionare la stabilità di MERS-CoV e SARS-CoV-1 ed è ipotizzabile un simile
effetto anche per il SARS-CoV-2.
Nello studio pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and
Public Health e condotto dall’Istituto per lo studio dei materiali
nanostrutturati (Ismn) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ismn), dal
Gipsa-lab del Grenoble Institute of Technology e dalla Fondazione E. Amaldi, si
è indagata la possibile correlazione tra inquinamento atmosferico, dati
meteorologici e focolai COVID-19 sviluppatisi nell’area della Regione Lombardia.
In questo studio sono stati analizzati i dati epidemiologici forniti
giornalmente da Istituto superiore di sanità e Protezione civile, riportando la
distribuzione geografica nelle 12 province lombarde durante la prima ondata
dell’epidemia (dal 24 febbraio al 31 marzo 2020). Nel periodo analizzato è
emerso che oltre il 63% dei 42.283 contagiati registrati in tutta la regione
erano concentrati nelle province di Milano, Bergamo e Brescia. Più in generale,
mentre a livello nazionale il rapporto medio tra casi infetti e popolazione era
di circa lo 0,21%, in Lombardia era il doppio (0,42%).
“I risultati ottenuti mostrano una buona correlazione tra insorgenza dei sintomi
da COVID-19, inquinamento atmosferico e condizioni climatiche registrati in
Lombardia tra febbraio e marzo 2020”, riferisce Roberto Dragone, ricercatore
Cnr-Ismn. “Tra i possibili meccanismi riconducibili agli inquinanti chimici
atmosferici non si può escludere la sensibilizzazione dell’organismo all’attacco
virale per abbassamento delle difese immunitarie. Le apparenti discordanze, che
a volte emergono dalla letteratura, riguardo agli effetti dell’inquinamento
atmosferico possono dipendere da cambiamenti locali nel tipo di inquinanti e/o
nelle loro concentrazioni. Inoltre, è da considerare che le concentrazioni di
particolato atmosferico monitorate non tengono conto della sua composizione
chimica, la quale è responsabile del tipo di interazione con la particella
virale e/o con l’organismo umano. Tale composizione dipende dalla fonte di
emissione, e quindi può variare anche a seconda dell’area geografica monitorata.
Infine, non è da sottovalutare che l’esposizione al virus è favorita nelle
situazioni indoor e dagli assembramenti, sia all’aperto sia al chiuso,
verificatisi all’inizio della prima ondata della pandemia e in assenza di misure
preventive per il contenimento del contagio”.
Per lo studio di correlazione sono stati analizzati i dati meteorologici
relativi alla temperatura, all'umidità relativa e alla velocità del vento,
registrati giornalmente dalle stazioni meteorologiche distribuite sul territorio
della Regione Lombardia. Inoltre, tramite il monitoraggio dell'atmosfera
Copernicus (CAMS), implementato dal Centro europeo per le previsioni
meteorologiche a medio termine (ECMWF), sono stati elaborati i dati satellitari
relativi alle concentrazioni giornaliere degli inquinanti atmosferici: PM10,
PM2,5, ossidi di azoto (NO, NO2), ossido di carbonio (CO) e di zolfo (SO2),
ozono (O3) ammoniaca (NH3). Per i gas con proprietà acide o basiche è stato
valutato il possibile contributo alla “acidità atmosferica netta”.
“Una maggiore comprensione delle correlazioni tra virus, inquinamento
atmosferico e condizioni ambientali è, a nostro avviso, importante nella
comprensione dei possibili meccanismi di diffusione e quindi nell’intervento
mirato al contenimento della capacità infettante delle particelle virali”,
conclude Gerardo Grasso, ricercatore del Cnr-Ismn.