Mezzogiorno di scienza.
Ritratti d’autore di grandi scienziati del Sud a cura di Pietro Greco
pp. 256, Edizioni Dedalo, Bari 2020.
Recensione di Adriana Giannini
Diciamo
la verità: quanti di noi sanno che una figlia del famoso anarchico Bakunin è
stata una stimatissima docente di chimica all’Università di Napoli o che
Stanislao Cannizzaro in gioventù partecipò ai moti del 1848 per l’autonomia
della Sicilia? Il fatto è che degli scienziati del Mezzogiorno - che pure non
solo fanno parte della storia universale della scienza, ma hanno senza dubbio
contribuito alla vita culturale, sociale e politica del nostro paese - sappiamo
ben poco. Ecco perché mi fa piacere segnalare quest’opera curata e in parte
scritta da un competente giornalista scientifico, Pietro Greco, purtroppo
scomparso improvvisamente a 65 anni, il 18 dicembre scorso, poco dopo l’uscita
di questa sua ultima fatica.
Sono 14 i ritratti delineati nel libro da 14, anzi 15, autori scelti sia per la
loro competenza nei vari campi in cui emersero gli scienziati, sia per la
vicinanza spirituale al personaggio loro affidato con il compito di evidenziare
l’ambiente storico in cui visse.
E quanto sia importante questo aspetto lo dimostra da subito Domenico Cirillo.
Nato nel 1739 aveva percorso a Napoli una brillante carriera come medico e
botanico ottenendo una cattedra, fama internazionale e la direzione del Museo di
storia naturale. Tutto cambiò nel 1798 quando la proclamazione della Repubblica
partenopea lo catapultò nella politica. La sua breve carica nel Governo,
accettata solo per aiutare il popolo, bastò a farlo condannare a morte al
ritorno dei Borbone. Grazie alle sue amicizie avrebbe potuto ottenere la grazia,
ma non volle chiederla per sé solo e andò con dignità al patibolo insieme ai
compagni di quella utopistica avventura.
Anche per il chimico Stanislao Cannizzaro la partecipazione ai moti del 1848 per
l’indipendenza della Sicilia
avrebbe potuto avere una tragica fine se non fosse riuscito a riparare in
Francia. Due anni dopo rientrò in Italia all’Università di Genova dove, primo al
mondo, definì esattamente i concetti di atomo e molecola. Quando Garibaldi
liberò l’isola dai Borbone, tornò a Palermo dove creò un’importante scuola di
chimica. Politica e ricerca continuarono a occupare la lunga vita di Cannizzaro
che, trasferitosi a Roma, creò anche lì una rinomata scuola di chimica, divenne
senatore del Regno e fu nominato membro del Consiglio superiore della Pubblica
Istruzione.
Diversa la situazione per gli scienziati nati a fine Ottocento e destinati
quindi a fare carriera sotto il Governo di Mussolini. Nel libro ne sono ritratti
tre che non si fecero tanti scrupoli: il matematico
Mauro Picone si autodefiniva italiano, fascista e siciliano, il chimico
Francesco Giordani si impegnò nello sforzo autarchico, Francesco Marotta si
dedicò alla produzione di sieri e vaccini per l’Esercito in azione nelle
colonie. I risultati che ottennero furono comunque notevoli: Picone fondò
l’Istituto nazionale per le applicazioni del calcolo (INAC), Giordani fece fare
notevoli progressi all’industria chimica nazionale e Marotta diede vita
all’Istituto superiore di Sanità (ISS).
Erano personaggi troppo utili per rinunciarvi dopo la guerra. L’INAC di
Picone nel 1951 si aggiudicò il titolo di Centro internazionale di calcolo,
Giordani fu coinvolto nella ricostruzione economica e industriale del paese
prevista dal piano Marshall, Marotta diresse con successo per 26 anni l’ISS
destreggiandosi tra industria pubblica e privata. Un settore delicato,
quest’ultimo, che nel 1964 , quando già era in pensione da tre anni, gli fece
piovere addosso la grave accusa di irregolarità amministrative. Condannato a sei
anni, fu assolto in appello.
Con il fascismo invece non collaborarono affatto il matematico Renato
Caccioppoli e il fisico Ettore Majorana. Anzi Caccioppoli, da spirito libero
qual era, non nascose mai la sua antipatia per il regime. Ebbe però sempre
l’appoggio di Mauro Picone che lo considerava il suo allievo più geniale, il suo
erede. In effetti la carriera di Caccioppoli fu rapidissima: a soli 29 anni
ottenne a Napoli la prima cattedra sulla teoria dei gruppi. Personaggio fuori
dal comune – pianista, cinefilo, affabulatore – si suicidò a 55 anni senza
lasciare una spiegazione Aveva
invece solo 32 anni Ettore Majorana quando decise di lasciare la cattedra di
fisica teorica all’Università di Napoli conferitagli “per alta fama e perizia” e
scomparire misteriosamente durante il viaggio in nave che doveva portarlo a
Palermo. Tuttora ci si continua a chiedere che fine abbia fatto e a che cosa sia
dovuta la sua sparizione. Quello che si sa è che non se la sentiva di farsi
coinvolgere nelle ricerche sulla fissione nucleare che stavano portando avanti
Enrico Fermi e “i ragazzi di via Panisperna”.
Anche una delle due scienziate ritratte in questo libro Maria
Bakunin, prima donna a laurearsi in chimica nel 1895 a Napoli e a
ottenere una cattedra, visse sotto
il fascismo buona parte della carriera. Tuttavia, per il fascino del cognome,
suo padre almeno all’anagrafe era il famoso principe anarchico o per i meriti
accademici, non fu neppure sfiorata dalle epurazioni. Sicuramente giocò a suo
favore il coraggio con cui, dopo l’otto settembre, difese dai nazisti documenti
e attrezzature dell’Istituto di chimica. Arrivò a sedersi tra le fiamme con cui
volevano distruggerli salvandone buona parte.
Come la Bakunin anche l’altra scienziata raccontata nel libro aveva un cognome
importante. Filomena Nitti era figlia di Francesco Nitti, ministro e poi
presidente del Consiglio nel 1919-20, costretto all’esilio nel 1923 per il suo
antifascismo. Fu a Parigi che la giovane Nitti compì i suoi studi laureandosi in
chimica biologica. Qualche anno dopo iniziò a lavorare all’Istituto Pasteur con
il biochimico Daniel Bovet con cui nacque subito un’intesa lavorativa e
sentimentale sfociata nel matrimonio nel 1939. A guerra finita, a Bovet fu
offerta la direzione di un laboratorio dell’ISS e i coniugi presero a occuparsi
di anestetici firmando insieme ogni lavoro; ciò nonostante fu solo il marito a
ottenere il Nobel nel 1957. Dopo una pausa in Sardegna legata al “caso Marotta”,
tornarono a Roma, al CNR, dove si impegnarono nel nuovo campo della
psicobiologia.
Se gli anni sessanta furono insidiosi per scienziati come Marotta lo furono
ancor più per l’ingegnere-geologo Felice Ippolito convinto che solo il nucleare
potesse dare autonomia energetica all’Italia. Col dinamismo che lo
caratterizzava in pochi anni Ippolito divenne segretario del CNRN e diede il via
al CNEN e agli impianti della Casaccia e di Ispra. Ma nel 1963, al vertice della
carriera e con tre centrali nucleari già realizzate, su Ippolito si rovesciarono
le accuse di peculato, falso in atto pubblico, abuso di potere. Processato, fu
condannato a 11 anni ridotti in appello a 5. Ippolito tuttavia seppe
ricostruirsi un ruolo di prestigio nella società. Nel 1968 varò la rivista “Le
Scienze”, che continua a ispirare generazioni di studenti e di ricercatori.
Tornò anche a insegnare geologia, divenne deputato europeo, si occupò di
protezione civile e di Antartide.
Vi sono altri interessanti scienziati descritti nel libro. Il naturalista Oronzo
Costa che, prima di Darwin, si interrogava sull’origine delle specie; il fisico
Edoardo Caianello fondatore a Napoli di un’innovativa scuola di cibernetica; il
matematico Ennio De Giorgi, vanto della Scuola Normale di Pisa e infine il Nobel
Renato Dulbecco, un po’ forzosamente inserito nella raccolta perché partì
bambino da Catanzaro e, dopo la laurea in medicina a Torino, svolse quasi tutta
la sua soddisfacente carriera negli Stati Uniti.
Giorno della Memoria:
pubblicato il diario di prigionia
di Giulio Prunai
Il racconto di 700 giorni
trascorsi nei lager nazisti
Mille
pagine di testo manoscritto per raccontare oltre settecento giorni trascorsi nei
lager nazisti: il diario di Giulio Prunai è una delle testimonianze più estese e
dettagliate mai rese da un prigioniero di guerra italiano. Dopo una lunga e
accurata opera di trascrizione a cura della figlia Maria – a partire da una
versione dattiloscritta preparata dallo stesso Prunai negli anni Settanta – il
documento è oggi finalmente pubblicato col titolo La sboba (3 tomi per 1096
pagine complessive) dall’editrice fiorentina Polistampa in occasione del Giorno
della Memoria. L’opera, attesissima dai ricercatori e realizzata col sostegno
del Ministero dei Beni culturali, della Fondazione CR di Firenze e della sezione
fiorentina dell’ANEI (Associazione nazionale ex internati), è arricchita da un
ampio commento dello storico Nicola Labanca, docente all’Università di Siena tra
i massimi studiosi italiani di storia militare.
Giulio Prunai (Siena 1906 - Firenze 2002), soprintendente archivistico per la
Toscana dal 1954 al 1971, era tenente commissario della Regia Marina quando l’8
settembre 1943 fu catturato a Tolone, andando incontro alla deportazione dopo
essersi rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò. Farà ritorno a casa
soltanto alla fine della guerra, nel settembre 1945, dopo due anni di
internamento tra Germania e Polonia. Nel suo diario, scritto con mezzi di
fortuna e mantenuto segreto per tutta la durata della prigionia, traccia un
affresco quanto mai nitido e minuzioso della vita nei campi di concentramento:
una storia giornaliera della fame, del freddo, del lavoro coatto, delle
violenze, dei crimini di guerra e degli altri avvenimenti che costarono la vita
a circa cinquantamila internati e segnarono per sempre tutti gli altri. “Un
testo straordinario”, spiega il professor Labanca, “praticamente unico nella
letteratura concentrazionaria italiana, utilissimo e chiarificante su moltissime
delle questioni oggi in discussione fra gli esperti”.