Scoprire la grandine dal satellite
Un team internazionale coordinato dal Cnr-Isac di Bologna ha sviluppato un
metodo che grazie ai sensori satellitari nelle microonde ad alta frequenza
permette di monitorare l’evoluzione dei sistemi temporaleschi, individuando la
presenza dei chicchi all’interno delle nubi. La metodologia consentirà la
creazione di un database omogeneo sulla distribuzione globale delle nubi
grandinigene. Lo studio è pubblicato sulla rivista internazionale Remote Sensing
Ricostruzione cronologica della sequenza giornaliera di tempeste di grandine più
intense che hanno interessato la costa adriatica il 10 luglio 2019. Le
etichette, indicano l’ora di passaggio del satellite che ha effettuato la
rilevazione.
Rivelare la presenza di grandine nelle nubi: una sfida ambiziosa, che è stata
raccolta da un team internazionale di ricercatori costituito dall’Istituto di
scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche
(Cnr-Isac) di Bologna, dal National Environmental Satellite Data and Information
Service del National Oceanic and Atmosferic Administration
(NOAA – NESDIS, U.S. Department of Commerce) e dall’Earth System Science
Interdisciplinary Center (ESSIC) dell’Università del Maryland, il quale ha
elaborato un nuovo, efficace
metodo, il MicroWave Cloud Classification-Hail method (MWCC-H), basato sulle
osservazioni satellitari nelle microonde ad alta frequenza per individuare la
presenza delle nubi grandinigene all’interno dei sistemi temporaleschi e
monitorarne l’evoluzione. La metodologia è descritta in un lavoro ora pubblicato
sulla rivista Remote Sensing.
“Il Mwcc-h utilizza l’elevata capacità delle microonde ad alta frequenza
nell’intervallo 150-170 GHz di riconoscere il segnale emesso dai chicchi di
grandine all’interno delle nubi temporalesche”, spiega Sante Laviola,
ricercatore del Cnr-Isac, che ha coordinato la ricerca. “Si tratta del primo e
unico metodo generalizzato in grado di funzionare contemporaneamente su tutti i
sensori satellitari ad alta frequenza in volo nella costellazione Global
Precipitation Measurement mission (GPM), il network internazionale di satelliti
progettati per l’osservazione degli eventi meteorologici e lo studio del ciclo
dell’acqua”.
Il nuovo metodo rileva la “firma spettrale” della grandine all’interno dei
temporali: “Sfrutta infatti la perturbazione indotta dalle nubi temporalesche al
campo radiativo naturalmente emesso dalla Terra nello spettro di frequenze
150-170 GHz, - tipicamente imperturbato in assenza di precipitazioni -
identificando i segnali di scattering, cioè di riduzione del segnale di tale
campo radiativo, causati dalle idrometeore ghiacciate”, prosegue il ricercatore
Cnr-Isac. “Poiché inoltre la riduzione del segnale misurata dal satellite tende
a crescere esponenzialmente all’aumentare della dimensione dei chicchi di
grandine, il metodo è in grado di valutare anche la dimensione media dei
chicchi, con una sensibilità tale da riuscire a distinguere anche le regioni dei
sistemi temporaleschi dove si verificano dei principi d’innesco del processo di
formazione della grandine”.
Particolarmente significative in questo metodo sono poi le potenzialità, ad oggi
senza precedenti per strumentazione satellitare in orbita bassa, di monitorare
l’evoluzione dei sistemi grandinigeni con elevata risoluzione temporale, grazie
all’approccio multi-sensore che sfrutta tutti gli strumenti della costellazione
Gpm. “Inoltre, l’opportunità che grazie a questa nuova metodologia si presenta,
di creare un database omogeneo sulla distribuzione globale delle nubi
produttrici di grandine, rappresenta uno strumento estremamente utile per
migliorare l’attuale conoscenza degli effetti del cambiamento climatico sulla
formazione della precipitazione solida”, conclude il ricercatore del Cnr-Isac.
“La modificazione della fase delle idrometeore in ragione dell’intensificarsi
dei sistemi temporaleschi e la loro geolocazione spazio-temporale sono
informazioni chiave per una più corretta valutazione degli effetti locali del
riscaldamento globale, un tema di particolare rilievo, nei cosiddetti hot spot,
ovvero le aree del pianeta particolarmente colpite da fenomeni meteorologici
estremi che localmente possono diventare persino devastanti”.