l’ospedale più antico del mondo
E’ lo “spedale” di Santa Maria Nuova, a Firenze, fondato nel 1288 da Monna
Tessa, fantesca di Folco Portinari, il banchiere fiorentino che contribuì
economicamente alla sua realizzazione
di Silvia Talli
Quest’anno ha compiuto 732 anni eppure non ha mai smesso di svolgere la sua
attività; anzi, in un frangente così difficile per la storia dell’umanità è come
gli altri in prima linea a combattere un nemico tanto invisibile quanto potente,
capace di ribaltare, forse per la prima volta nello stesso momento, le esistenze
degli abitanti dell’intero pianeta.
Santa Maria Nuova a Firenze è il più antico ospedale del mondo ancora operante.
Si trova proprio nel centro della città, racchiuso in un’area che sembra
appositamente riservata, sotto ogni profilo, al miglioramento della vita delle
persone: adiacente a Via della Pergola dove ha sede l’omonimo teatro e a due
passi da Piazza Santa Maria Annunziata su cui si affaccia l’Istituto degli
Innocenti; lo stesso fazzoletto di cielo è occupato dalla cupola del
Brunelleschi.
La facciata ospedale con tenda della Croce Rossa
Va da sé che a differenza degli altri nosocomi posti nelle zone periferiche
della città e destinati a divorare progressivamente il terreno circostante,
l’ospedale Santa Maria Nuova si presenti nella sua veste ormai definitiva,
raggiunta dopo secoli di interventi modificativi che si sono susseguiti a
partire dal lontano 1288, anno in cui furono terminati i lavori per la sua
costruzione.
L’ospedale si affaccia sull’omonima piazza, abbracciata su tre lati dall’ampio
loggiato che Bernardo Buontalenti progettò intorno al 1575 e la cui
realizzazione fu intrapresa nei primi anni del 1600 dal suo allievo Giulio
Parigi per essere portata a termine, attraverso successivi ampliamenti, soltanto
alla metà del secolo scorso.
La sua costruzione si deve all’impegno economico di Folco Portinari, padre della
Beatrice amata da Dante e personaggio di rilievo sociale e politico nella
Firenze dell’epoca il quale acquisì appositamente alcuni terreni limitrofi alle
sue proprietà ma annessi alla chiesa di Sant’Egidio.
L’atto di fondazione, sancito da un documento solenne rogato alla presenza del
vescovo di Firenze Andrea de’ Mozzi, si fa risalire al 23 giugno 1288.
Lunette affrescate dal Pomarancio
Si ritiene che Portinari sia stato sollecitato ad intraprendere tale iniziativa
benefica a favore della città di Firenze da Monna Tessa, fantesca della famiglia
nonché nutrice delle figlie, in particolare proprio di Beatrice. Ciò non può
stupire se si pensa che questa donna di umili origini e vedova di un sellaio era
solita prendersi cura degli ammalati, poveri e soli della città; sembra
addirittura che ottenne di poterli radunare in alcune case di proprietà della
potente famiglia presso cui era a servizio. Del resto, non era sola nella sua
opera di carità ma accompagnata da un gruppo di pie donne laiche appartenenti a
ricche famiglie fiorentine; le stesse che, non appena fu costruito lo “spedale”,
si dedicarono insieme a lei all’assistenza dei malati che vi erano ricoverati.
Solo pochi anni più tardi Monna Tessa istituì l’ordine delle Oblate Ospedaliere
ispirato alla regola di San Francesco d’Assisi.
La sua opera di convincimento presso “padron Folco” fu forse facilitata dalla
credenza diffusa in quel tempo secondo cui chi come i banchieri (e lui lo era)
traeva grandi guadagni dalla gestione di considerevoli somme di denaro, fosse
dedito all’usura e per questo condannato alla dannazione dell’anima da cui
poteva salvarsi soltanto “lavando” i propri peccati attraverso la destinazione
di parti ingenti delle proprie sostanze in opere di carità. Sembra che non pochi
seguirono questa strada.
Molto probabilmente nel ricco banchiere non dovette essere del tutto estraneo
anche l’intento di accrescere e perpetuare nel tempo il prestigio sociale della
propria famiglia. Sta di fatto che in un giorno di inizio estate del tredicesimo
secolo vide la luce quello che avrebbe rappresentato il primo esempio di
ospedale moderno.
Furono realizzate due aree di cura distinte: una femminile ed una maschile,
originariamente poste in luoghi diversi e destinate col tempo a subire modifiche
e spostamenti. La peste del 1348 impose un primo grande intervento di
ampliamento dell’edificio. Santa Maria Nuova assunse fin da subito i caratteri
di un vero e proprio ospedale nel senso moderno del termine essendo stato
concepito non solo come luogo di assistenza e ospitalità caritatevole per
bisognosi e pellegrini ma di vera e propria terapia per i malati e gli infermi
da qualunque luogo provenissero.
Annunciazione - affresco attribuito allo Zuccari
Anche Martin Lutero si sarebbe avvalso delle cure dello “spedale” dove fu
ricoverato nel 1511, di ritorno dal suo soggiorno a Roma; una lettera da lui
scritta al termine della degenza non sembra tanto diversa dalla “recensione” che
un paziente dei giorni nostri potrebbe fare sulla struttura ospedaliera che lo
ha accolto e curato: “Ottimi cibi e bevande, servitori diligentissimi, medici
dottissimi, letti e vestiti pulitissimi e letti dipinti”.
Tutto ciò sembra rimandare al concetto di presa in carico del paziente tipico
dell’ospedale moderno ed in effetti Santa Maria Nuova diventò presto un modello
di riferimento per altri nosocomi posti anche al di fuori della città di
Firenze: innanzitutto l’ospedale Maggiore di Milano e quello di Pavia. Molti ne
adottarono gli statuti e non solo in Italia. Infatti, perfino da Londra, da
Parigi e dalla Germania si guardò a quello che oggi si definirebbe un ospedale
all’avanguardia o comunque un “centro di eccellenza”. A renderlo tale era anche
l’organizzazione interna caratterizzata dalla presenza di aree di degenza
disposte a crociera, un elemento di novità per quei tempi. Senza contare che
proprio nelle corsie di Santa Maria Nuova per la prima volta ogni paziente
avrebbe avuto a disposizione un proprio letto; per questa ulteriore innovazione
si sarebbe dovuto aspettare il diciassettesimo secolo quando si pervenne
all’unificazione delle aree di degenza femminile e maschile all’interno dello
stesso edificio. Nel secolo successivo l’ospedale avrebbe contato più di mille
posti letto.
Una struttura così innovativa non poteva passare inosservata a chi, con il
proprio intelletto, era destinato a precorrere i tempi: fu proprio nei
sotterranei di questo ospedale che nei primi anni del 1500 Leonardo da Vinci
effettuò numerose dissezioni di cadaveri per i suoi studi di anatomia; fra
queste è documentata addirittura la dissezione del cadavere di un centenario.
Non va neppure dimenticato che pochi anni prima, all’interno di Santa Maria
Nuova, aveva svolto la sua attività Antonio Benivieni, considerato il padre
della anatomia patologica. In effetti, a partire da quel periodo si sviluppò un
importante scuola medico-chirurgica e nel corso dei secoli l’ospedale offrì
altri pionieri della clinica moderna, italiana e non.
Una storia tanto lunga da percorrere ben sette secoli ha fatto sì che accanto a
luogo di cura prendesse corpo un polo artistico e monumentale di assoluto
rilievo e ciò ha sicuramente reso questo luogo un “unicum”.
Gli ingenti lasciti e le numerose donazioni di cui Santa Maria Nuova ha
beneficiato fin dalla sua nascita, hanno infatti favorito il formarsi di un
patrimonio ricco di opere d’arte che nel tempo ha dovuto inevitabilmente trovare
altre collocazioni seppure nelle vicinanze della struttura ospedaliera: in
particolare presso lo Spedale degli Innocenti e il Museo di San Marco.
Importanti opere furono fra l’altro commissionate dagli “Spedalinghi”, rettori a
cui a partire dall’epoca medicea era affidata l’amministrazione dell’ospedale.
Il frenetico via vai delle persone che sovente caratterizza l’accesso a luoghi
di cura come questo, qui è come mitigato e reso più lieve dalle lunette
seicentesche affrescate da Antonio Circignani detto il Pomarancio. Dedicate alle
“Storie della vita di Cristo”, queste opere si trovano sotto il loggiato
disegnato dal Buontalenti così come il grande affresco attribuito allo Zuccari e
raffigurante l’Annunciazione.
Varcato l’ingresso dell’ospedale, compare la riproduzione della “Consacrazione
della Chiesa di Sant’ Egidio”, affresco realizzato nel 1420 da Bicci di Lorenzo
(l’originale si trova nella Sala del Consiglio, sempre all’interno della
struttura), sovrastato da una terracotta di Dello Delli risalente agli stessi
anni e raffigurante l’incoronazione della Vergine.
Una lunetta affrescata dal Pomarancio
Il loggiato e la facciata, così come l’ingresso dell’ospedale, costituiscono
anche le prime tappe di un percorso museale inaugurato pochi anni fa e che
conduce alla scoperta dell’importante patrimonio artistico presente nel
complesso di Santa Maria Nuova. Si accede così a chiostri, sale e addirittura ad
una chiesa, quella di Sant’Egidio, inglobata all’interno della stessa struttura
fin dal 1305; nel contempo l’incontro con opere di Andrea del Castagno, di della
Robbia, di Buontalenti, di Allori e dello stesso Pomarancio solo per citarne
alcuni.
All’ingresso dell’ospedale si trova attualmente anche il bassorilievo marmoreo
della pietra tombale di Monna Tessa. Il marmo restituisce la figura intera di
una piccola donna anziana, appesantita dagli anni, il viso solcato dalle rughe,
segno dell’età ma anche della fatica di una vita interamente dedicata agli
altri: fedele domestica (usando un termine moderno) presso la ricca famiglia
Portinari ma soprattutto al servizio degli ultimi prima ancora della fondazione
dello “spedale”. A sancire formalmente la sua scelta di vita, il cordoncino del
terz’ordine francescano ed il libro della Regola che tiene stretto a sé.
A Monna Tessa era stato dedicato un padiglione recentemente dismesso
dell’ospedale di Careggi che la peste dei giorni nostri potrebbe far riaprire,
almeno così si è ipotizzato. Il caso ha voluto che la figura di questa donna,
povera fra i poveri, che ha improntato la propria vita all’assistenza dei
sofferenti e dei bisognosi secondo lo spirito di San Francesco, si riaffacciasse
in tutta la sua potenza proprio nel momento in cui un’onda malsana e virulenta
iniziava ad attraversare il mondo da una estremità all’altra.
Il 6 marzo scorso, infatti, dopo che in passato erano giunti appelli per
mantenere viva la sua memoria e l’opera da lei svolta, le è stata intitolata una
strada adiacente al grande complesso ospedaliero situato nella parte nord della
città.
Appena pochi giorni prima, davanti al loggiato dell’ospedale Santa Maria Nuova,
sotto lo sguardo severo dei granduchi i cui busti di marmo bianco sporgono dal
centro delle arcate, veniva montata in fretta e furia una tenda della Croce
Rossa destinata ad accogliere, per un primo controllo, chi presentava i sintomi
della nuova peste. Di li a poco di tende come questa ne sarebbero state montate
velocemente ogni giorno, in ogni luogo.
Ė trascorso meno di un anno e la tenda è ancora davanti al loggiato e agli
affreschi seicenteschi che lo decorano, testimoniando come nella storia
dell’umanità passato e presente possano annullarsi a vicenda e il tempo
diventare un concetto relativo perché ci sono eventi che trascendono le epoche e
uniscono l’umanità in una sorte comune anche se affrontata con mezzi e
conoscenze diverse; comune come è anche lo smarrimento.
Alla cerimonia per l’intitolazione della strada a Monna Tessa, oltre alle
autorità cittadine, al Cardinale di Firenze e al Ministro dell’Ordine secolare
francescano della Toscana, erano presenti le suore Oblate Ospedaliere che
continuano l’opera assistenziale iniziata dalla loro “Madre” fondatrice in un
giorno lontano nella storia. A concludere la cerimonia, culminata con la
benedizione della lapide, il suono delle Chiarine di Palazzo Vecchio, omaggio
solenne della città.
Riconosciuta come la “madre spirituale di Santa Maria Nuova” è lei, Monna Tessa,
una donna di umili origini, a servizio di una ricca famiglia di mercanti e
banchieri, ma prima di tutto al servizio del bene, la vera fondatrice, sette
secoli orsono, dell’ospedale più antico del mondo che è ancora in attività; ora
più che mai.