Le restrizioni imposte dalla pandemia ai festeggiamenti per le prossime feste
hanno indotto molte persone a parlare di Natale di sangue e da tempo di guerra:
ma sanno quello che dicono?
di Giuseppe Prunai
Nelle intenzioni delle autorità sanitarie e dei nostri governanti dovremo
trascorrere un Natale blindato, estremamente sobrio, senza Messa di mezzanotte,
quella comunemente chiamata la “mezzanotte santa”. E già i tradizionalisti e i
bastian contrari per vocazione parlano di oltraggio alla cristianità, alla
religione e parlano addirittura di una colossale bestemmia. A parte il fatto che
la CEI (conferenza episcopale italiana) ha accettato la rinunzia alla
tradizionale messa di mezzanotte che probabilmente verrà sostituita dalla messa
vespertina del 24 dicembre o dalla Messa mattutina del 25 dicembre, è bene
ricordare che la nascita di Gesù Cristo viene collocata alle ore 0 del 25
dicembre (la mezzanotte del 24) per convenzione. Non esiste un documento storico
che avvalori questo dato. Anche l’anno della nascita di Cristo non sarebbe
l’anno zero, il famoso spartiacque fra il tempo trascorso prima e dopo il primo
Natale, bensì un anno compreso tra il 7 e il 4 a.C. I Vangeli, unici documenti
validi sulla vita di Gesù, non parlano di date né di ore. Quindi si tratta
soltanto di convenzioni e di tradizioni e – lungi l’intenzione di essere
irriverente – di una sorta di mitologia. Del resto, la vera essenza del Natale
non sta nel rispetto degli orari o degli appuntamenti mondani (il cenone e i
dolci come il panettone, il pandoro, il panforte o il pangiallo) ma in quello
spartiacque, determinato dalla nascita del Salvatore. E poi, a certi
tradizionalisti si dovrebbe ricordare che la vera festa cristiana è la Pasqua di
resurrezione, simbolo del passaggio dal vecchio tempo al nuovo, tra i secoli in
cui le porte del Paradiso erano
chiuse e quelli della riapertura delle porte del cielo.
Comunque sia, il Natale è tradizionalmente la festa della famiglia e la
ricorrenza viene onorata anche dai non credenti o da chi segue religioni non
cristiane e la prospettiva di un Natale sobrio, con un pranzo con non più di sei
congiunti, ha comprensibilmente creato un notevole malcontento e scatenato una
marea di reazioni negative. Sono insorti i politici dell’opposizione di estrema
destra che, trincerati dietro le mitologie natalizie si sono assunti il ruolo di
“defensor fidei”, ma in realtà
strizzando gli occhi agli imprenditori che hanno visto drasticamente ridursi il
volume dei loro affari. E allora hanno parlato di Natale di sangue e di Natale
di guerra, due slogan che riecheggiano sovente sui social, quegli spazi web che
hanno dato voce anche agli imbecilli.
Ma si tratta di denominazioni improprie. Il Natale di sangue è il Natale fiumano
del 1920, quando il Regio
esercito
italiano e la Regia marina italiana mossero contro l’autoproclamata Reggenza
italiana del Carnaro, guidata da Gabriele D’Annunzio (foto a destra), mettendo
fine all’Impresa di Fiume con la quale il poeta voleva sopperire all’inerzia
della diplomazia italiana che non poté o non volle rivendicare il possesso della
città di Fiume e dintorni. Ma l’ignoranza storica dei più ricorda solo questo
titolo di “Natale di sangue”, ignorando, fra l’altro, l’importanza politica
dell’avvenimento, prodromo alla nascita del fascismo, ma che produsse anche una
costituzione moderna, di stampo socialista, la Carta del Carnaro, scritta dal
sindacalista socialista Alceste de Ambris, rielaborata da D’Annunzio nella forma
ma non nella sostanza e da questi promulgata l’8 settembre del ’20. Fu una
costituzione che si richiamava all’interventismo di sinistra, con notevoli
spinte corporativiste, poi travisate da Giuseppe Bottai nella sua “Carta del
lavoro”.
Recitava la costituzione fiumana:
“La Repubblica del Carnaro è una democrazia diretta, che ha per base il lavoro
produttivo e come criterio organico le più larghe autonomie funzionali e locali.
Essa conferma perciò la sovranità collettiva di tutti i cittadini senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di classe e di religione; ma
riconosce maggiori diritti ai produttori e decentra, per quanto è possibile, i
poteri dello Stato, onde assicurare l'armonica convivenza degli elementi che la
compongono”.
E più avanti: “ La Costituzione garantisce inoltre a tutti i cittadini, senza
distinzione di sesso, l'istruzione primaria, il lavoro compensato con un minimo
di salario sufficiente alla vita, l'assistenza in caso di malattia o
d'involontaria disoccupazione, la pensione per la vecchiaia, l'uso dei beni
legittimamente acquistati, l'inviolabilità del domicilio, l'habeas corpus, il
risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario o di abuso di potere”.
Proposizioni che, per quei tempi, avevano un sapore rivoluzionario.
D'Annunzio con alcuni dei partecipanti all'occupazione di Fiume
Chi parla di Natale di guerra non sa quello che dice. Per motivi anagrafici, chi
scrive ha vissuto più natali di guerra e dell’immediato dopo guerra. A causa dei
bombardamenti, si passava la maggior parte del tempo nei ricoveri antiaerei,
locali malsani, estremamente umidi e senza un conveniente ricambio d’aria. Era
facile contrarre
malattie da raffreddamento e, negli ultimi tempi, quando gli acquedotti
vennero distrutti e lavarsi era un’impresa, malattie da sudiciume. A me accadde
di contrarre l’otite e la scabbia. La prima me la curò un veterinario con l’olio
canforato caldo, così come si faceva con i cavalli; la scabbia, un parassita che
si insinua sotto la pelle, soprattutto all’attaccatura delle dita della mano, mi
fu curata con polvere di zolfo ottenuta sbriciolando le candelette che si usano
per disinfettare le botti. Per caso, ne aveva con sé qualcuna un produttore di
vino che frequentava quel ricovero. Difficile, in simili situazioni, procurarsi
dei farmaci ad hoc. Quando cessava l’allarme prendeva l’ansia di tornare a casa
nel timore di non trovarla ancora in piedi, distrutta da una bomba, e l’orrore
che ci assaliva incontrando i feriti o, peggio ancora, i morti.
Il vitto era ridotto all’essenziale. Spesso, era scarso. Ricordo di aver
mangiato molti pasti freddi perché mancava il
carbone per cuocere, visto che il gas era un lusso, anche se
la sua produzione fu bloccata nell’ultimo anno di guerra.
Un bambino, in quel periodo, aspetta i doni di Papà Natale, aspetta i balocchi.
I dolci erano del tutto scomparsi sostituiti, eccezionalmente, da un vasetto di
marmellata fatta in casa. I doni erano oggetti utili: un maglione o dei
calzettoni fatti in casa, degli scarponi ben chiodati per limitare il consumo
delle suole o con le suole di Vibram, che tutti dopo la guerra pronunciavano
“vaibram” ignorando che si trattava dell’ acrostico di “Vittorio Bramani,
Milano”. Il Bramani era l’alpinista che disegnò le suole impiegate dagli
scalatori di tutto il mondo. Insomma, una triste festività della quale nessuno
sente la nostalgia ma che comunque non avrà nulla a che vedere con quella che ci
viene prospettata.