Un cancro della società
in costante evoluzione
di Magali Prunai
Prima c’erano i complimenti, le adulazioni, la favola, le moine romantiche e
tenere fino ad essere quasi nauseanti. Poi la favola finisce, ma non tutta
insieme , un po’ per volta, senza farsi accorgere troppo. Un giorno al posto di
una rosa arriva una frase cattiva, un non complimento, un’insinuazione di scarsa
intelligenza, di stupidità, di ignoranza. Una frase offensiva, che sminuisce le
ambizioni e le aspirazioni di qualcuno. Un giorno in privato, poi davanti a
tutti, a degli amici, o dei colleghi o anche davanti a perfetti sconosciuti. Un
commento che potrebbe passare inosservato ma che si ripete nel tempo, ogni
giorno, tutto il giorno. La sensazione di disagio aumenta, l’imbarazzo anche. Si
inizia a credere di essere inadeguati, sbagliati, che l’altro ha ragione a
ribadire certi concetti di continuo. Non è poi così offensivo, sta solo facendo
affiorare difetti da migliorare. Lo fa per il bene della coppia e della persona.
Chi sbaglia, chi non vuole che la coppia migliori e che la persona sia sempre di
più nel giusto sono tutti gli altri, tutti coloro che non sanno qual è il vero
bene per la persona. La famiglia che cerca disperatamente di far aprire gli
occhi e che viene allontanata, chiusa fuori da quelle mura che ci si è scelte
con tanta attenzione come rifugio e specchio di una vita felice e perfetta. Un
nido che in realtà si trasforma in una prigione, in uno dei peggiori incubi,
testimone silente di tragedie infinite.
E alle parole poi, purtroppo, molto spesso seguono i fatti. Il primo schiaffo,
dato per il proprio bene. E poi il secondo, il terzo e il quarto. E dopo gli
schiaffi, i pugni e i calci. Le costole, le braccia o le gambe rotte. Le visite
in ospedale, le bugie ai medici che sanno che non si è veramente caduti dalle
scale o sbattuto contro una porta. Loro lo sanno, ma senza una denuncia non
possono fare nulla. Infermieri, OSS o chiunque altro graviti in un ospedale può
cercare di far confidare l’infortunata, ma spesso la paura, il non sentirsi
abbastanza forte o il credere si essere sempre inadeguata fa scappare dalla
risoluzione del problema.
Per la strada, quando si cammina a testa alta perché consapevoli di sé c’è
sempre un rischio insidioso. Un vicino di tram che scambia una gonna svolazzante
per un invito a infilare una mano sotto, uno sguardo casuale che viene scambiato
come un invito a saltare addosso a una donna. Una scollatura che attira
l’attenzione morbosa di un collega.
Un'altra panchiona rossa nel com me di Verres, in Val d'Ayas (Val d'Aosta) qui sotto il dettaglio della spalliera
Tutti comportamenti che troppo spesso vedono un capovolgimento dei ruoli. Le
parole della vittime non vengono credute o comunque si cerca una spiegazione
plausibile nei suoi comportamenti. Avrà sicuramente fatto qualcosa per scatenare
la violenza. Ma siete veramente sicuri che la colpa è di un comportamento
sbagliato della donna e non di chi crede di avere il diritto di usarla a proprio
piacimento, come meglio crede?
Cosa mai potrà aver fatto una donna la mattina alle 7 mentre, infagottata nel
cappotto e nel berretto di lana, prende una scorciatoia per arrivare alla
fermata dell’autobus, viene presa alle spalle da mani sconosciute, scaraventata
a terra, gli abiti strappati e subisce una violenza tale da dover essere
ricoverata in ospedale e operata d’urgenza? Non mi riferisco a un caso preciso
ma a uno dei tanti di cui sentiamo parlare ogni giorno e che accadono ovunque
nel mondo.
E tutte quelle donne accoltellate nel loro letto, dentro casa, da mariti che
sono appena stati lasciati o licenziati o che sono depressi e che sfogano su
mogli, figlie, amiche la loro rabbia? Forse indossavano dei pigiami inadeguati?
La storia ci racconta come da sempre una donna istruita, che pensa da sola e che
si afferma nella società con le sue sole forze sia considerata pericolosa e che
minaccia l’ego di qualcuno. Ragione per la quale è sempre stata rilegata alla
figura di “angelo del focolare”, destinata a un ruolo di serva e incubatrice. E
quando qualcuna si ribella e raggiunge i suoi scopi subisce, nella maggior parte
dei casi, una campagna denigratoria, alludendo che i suoi meriti sono
sicuramente più di letto che di altro.
Eppure le donne laureate sono di più degli uomini, perché allora continua a fare
notizia una donna dirigente? Nonostante la percentuale di donne che terminano
con profitto gli studi universitari sia maggiore, la loro percentuale nel mondo
del lavoro diminuisce drasticamente. Molte lasciano il loro impiego dopo il
primo figlio. Ma le discriminazioni, che sono origine o conseguenza delle
violenze di cui abbiamo appena parlato, si perpetuano anche in tanti altri
campi. È più difficile, ad esempio, per una donna, nonostante sembra abbia una
soglia del dolore molto più elevata di un uomo, farsi prescrivere o vendere
antidolorifici perché il suo dolore spesso viene scambiato per isteria.
Lo stato italiano, come tanti altri in tutto il mondo, cerca di intervenire come
può nel tentativo di eliminare qualsiasi tipo di differenza, così come sancisce
la nostra Costituzione.
Per quanto riguarda le violenze è stato approvato, negli ultimi anni, il “codice
rosso”, un codice aggiuntivo a quelli già vigenti nel nostro ordinamento che non
solo inasprisce le pene già esistenti ma che cerca di dare soluzioni alle
vittime per poter fuggire dalle situazioni tossiche in cui vivono e poter
ricominciare con tutto l’aiuto economico, morale, medico, psicologico del quale
si ha bisogno.
Ma la cultura degli altri non è ancora arrivata a quella giusta maturazione per
poter comprendere fino in fondo come comportarsi e come reagire. Le leggi ancora
non sono sufficientemente forti e spesso chi dovrebbe aiutare e tutelare le
vittime si ritrova nell’impossibilità di farlo.
Una stasi che va risolta velocemente, attraverso l’educazione, l’istruzione e la
cultura.
Insegnando fin dalla più tenera età che tutti, donne e uomini, possono fare
tutto. Che non esistono lavori e competenze solo da donne o solo da uomini. Una
bambina può giocare a calcio come un bambino può cullare una bambola. Insegnare
durante l’infanzia, con l’esempio e a parole, il rispetto, la bontà, il capire
gli altri e accettarli così come sono.
E se noi adulti troviamo stravagante un maschietto che si diverte a spolverare e
una femminuccia con una macchinina radiocomandata e lo facciamo notare, il
problema è solo nella nostra testa.