Contro la violenza alle donne

Un cancro della società

 in costante evoluzione

 

 

di Magali Prunai

 

Una panchina rossa, al Parco Solari di Milano,con scritto il numero telefonico per chiedere aiuto

Prima c’erano i complimenti, le adulazioni, la favola, le moine romantiche e tenere fino ad essere quasi nauseanti. Poi la favola finisce, ma non tutta insieme , un po’ per volta, senza farsi accorgere troppo. Un giorno al posto di una rosa arriva una frase cattiva, un non complimento, un’insinuazione di scarsa intelligenza, di stupidità, di ignoranza. Una frase offensiva, che sminuisce le ambizioni e le aspirazioni di qualcuno. Un giorno in privato, poi davanti a tutti, a degli amici, o dei colleghi o anche davanti a perfetti sconosciuti. Un commento che potrebbe passare inosservato ma che si ripete nel tempo, ogni giorno, tutto il giorno. La sensazione di disagio aumenta, l’imbarazzo anche. Si inizia a credere di essere inadeguati, sbagliati, che l’altro ha ragione a ribadire certi concetti di continuo. Non è poi così offensivo, sta solo facendo affiorare difetti da migliorare. Lo fa per il bene della coppia e della persona. Chi sbaglia, chi non vuole che la coppia migliori e che la persona sia sempre di più nel giusto sono tutti gli altri, tutti coloro che non sanno qual è il vero bene per la persona. La famiglia che cerca disperatamente di far aprire gli occhi e che viene allontanata, chiusa fuori da quelle mura che ci si è scelte con tanta attenzione come rifugio e specchio di una vita felice e perfetta. Un nido che in realtà si trasforma in una prigione, in uno dei peggiori incubi, testimone silente di tragedie infinite.

Una panchina rossa nel comune di Cerveteri (Roma) per sensibilizzare l'opinione pubblica al problema della violenza contro le donne

E alle parole poi, purtroppo, molto spesso seguono i fatti. Il primo schiaffo, dato per il proprio bene. E poi il secondo, il terzo e il quarto. E dopo gli schiaffi, i pugni e i calci. Le costole, le braccia o le gambe rotte. Le visite in ospedale, le bugie ai medici che sanno che non si è veramente caduti dalle scale o sbattuto contro una porta. Loro lo sanno, ma senza una denuncia non possono fare nulla. Infermieri, OSS o chiunque altro graviti in un ospedale può cercare di far confidare l’infortunata, ma spesso la paura, il non sentirsi abbastanza forte o il credere si essere sempre inadeguata fa scappare dalla risoluzione del problema.

Per la strada, quando si cammina a testa alta perché consapevoli di sé c’è sempre un rischio insidioso. Un vicino di tram che scambia una gonna svolazzante per un invito a infilare una mano sotto, uno sguardo casuale che viene scambiato come un invito a saltare addosso a una donna. Una scollatura che attira l’attenzione morbosa di un collega.

 

Un'altra panchiona rossa nel com me di Verres, in Val d'Ayas (Val d'Aosta) qui sotto il dettaglio della spalliera

 

 

 

 

Tutti comportamenti che troppo spesso vedono un capovolgimento dei ruoli. Le parole della vittime non vengono credute o comunque si cerca una spiegazione plausibile nei suoi comportamenti. Avrà sicuramente fatto qualcosa per scatenare la violenza. Ma siete veramente sicuri che la colpa è di un comportamento sbagliato della donna e non di chi crede di avere il diritto di usarla a proprio piacimento, come meglio crede?

Cosa mai potrà aver fatto una donna la mattina alle 7 mentre, infagottata nel cappotto e nel berretto di lana, prende una scorciatoia per arrivare alla fermata dell’autobus, viene presa alle spalle da mani sconosciute, scaraventata a terra, gli abiti strappati e subisce una violenza tale da dover essere ricoverata in ospedale e operata d’urgenza? Non mi riferisco a un caso preciso ma a uno dei tanti di cui sentiamo parlare ogni giorno e che accadono ovunque nel mondo.

E tutte quelle donne accoltellate nel loro letto, dentro casa, da mariti che sono appena stati lasciati o licenziati o che sono depressi e che sfogano su mogli, figlie, amiche la loro rabbia? Forse indossavano dei pigiami inadeguati?

La storia ci racconta come da sempre una donna istruita, che pensa da sola e che si afferma nella società con le sue sole forze sia considerata pericolosa e che minaccia l’ego di qualcuno. Ragione per la quale è sempre stata rilegata alla figura di “angelo del focolare”, destinata a un ruolo di serva e incubatrice. E quando qualcuna si ribella e raggiunge i suoi scopi subisce, nella maggior parte dei casi, una campagna denigratoria, alludendo che i suoi meriti sono sicuramente più di letto che di altro.

Eppure le donne laureate sono di più degli uomini, perché allora continua a fare notizia una donna dirigente? Nonostante la percentuale di donne che terminano con profitto gli studi universitari sia maggiore, la loro percentuale nel mondo del lavoro diminuisce drasticamente. Molte lasciano il loro impiego dopo il primo figlio. Ma le discriminazioni, che sono origine o conseguenza delle violenze di cui abbiamo appena parlato, si perpetuano anche in tanti altri campi. È più difficile, ad esempio, per una donna, nonostante sembra abbia una soglia del dolore molto più elevata di un uomo, farsi prescrivere o vendere antidolorifici perché il suo dolore spesso viene scambiato per isteria.

Lo stato italiano, come tanti altri in tutto il mondo, cerca di intervenire come può nel tentativo di eliminare qualsiasi tipo di differenza, così come sancisce la nostra Costituzione.

Per quanto riguarda le violenze è stato approvato, negli ultimi anni, il “codice rosso”, un codice aggiuntivo a quelli già vigenti nel nostro ordinamento che non solo inasprisce le pene già esistenti ma che cerca di dare soluzioni alle vittime per poter fuggire dalle situazioni tossiche in cui vivono e poter ricominciare con tutto l’aiuto economico, morale, medico, psicologico del quale si ha bisogno.

Il muro delle bambole, simboli della violenza, in pieno centro a Milano. Nei mesi scorsi ignoti criminali hanno appiccato il fuoco alle bambole

Ma la cultura degli altri non è ancora arrivata a quella giusta maturazione per poter comprendere fino in fondo come comportarsi e come reagire. Le leggi ancora non sono sufficientemente forti e spesso chi dovrebbe aiutare e tutelare le vittime si ritrova nell’impossibilità di farlo.

Una stasi che va risolta velocemente, attraverso l’educazione, l’istruzione e la cultura.

Insegnando fin dalla più tenera età che tutti, donne e uomini, possono fare tutto. Che non esistono lavori e competenze solo da donne o solo da uomini. Una bambina può giocare a calcio come un bambino può cullare una bambola. Insegnare durante l’infanzia, con l’esempio e a parole, il rispetto, la bontà, il capire gli altri e accettarli così come sono.

E se noi adulti troviamo stravagante un maschietto che si diverte a spolverare e una femminuccia con una macchinina radiocomandata e lo facciamo notare, il problema è solo nella nostra testa.

Il Galileo