La movida

tra schiamazzi e birre

La Firenze di Pratolini presidio notturno di gruppi di giovani

 

 

di Mario Talli

 

Palazzo vecchio e Piazza della Signoria, centroi della movida dei giovani fiorentini

 

Chissà perché la chiamano movida. Forse sarà perché la parola richiama in qualche modo il movimento, in questo caso il movimento delle persone. Come tutti sanno si tratta di quel fenomeno insorto da qualche anno e sviluppatosi sempre più tra i giovani di tutto il mondo, che consiste nel far tardi la notte sostando in una strada nei pressi di una rivendita di vini e liquori, sorseggiando un drink (per la verità i drink sono più di uno)  e chiacchierando di cose generalmente futili. Un fenomeno – va detto subito, perché sicuramente non privo di significato – circoscrivibile salvo isolate eccezioni alla popolazione maschile.

Col passare del tempo questa abitudine è diventata così… abitudinaria e normale da non indurre ad alcuna riflessione, tranne la reazione (e le ripetute proteste) di chi abita in quelle strade, costretti a non poter tranquillamente usufruire del riposo notturno a causa del vocìo e degli schiamazzi.

Il fatto che un andazzo, in questo caso un comportamento, sia diventato abitudinario non significa che i suoi effetti siano da sottovalutare e da accettare come se nulla fosse. L’esperienza di vita  - e oseremmo dire anche la storia, se il paragone non apparisse troppo azzardato – ci dimostra che eventi in qualsiasi modo turbativi della convivenza civile, prima o poi fanno pagare alla collettività un conto quasi sempre salato.  

A Firenze il fenomeno riguarda in particolare alcune vie del centro storico prossime a Palazzo Vecchio, spesso evocate da Vasco Pratolini (foto a sinistra) che vi ha vissuto da bambino e vi ha ambientato molti dei suoi romanzi. Alcune compaiono addirittura nei titoli, come Via de’ Magazzini, o Le ragazze di San Frediano. La circostanza che si tratti in specie di vie famose e situate nel cuore della città e del suo centro storico, non è del tutto casuale. E’, anch’esso, il frutto di una politica amministrativa tutta rivolta  ad incentivare il turismo di massa, considerato come il motore non solo principale ma quasi unico su cui fondare l’economia cittadina. Una tale politica, sviluppatasi in modo particolare in questi due primi decenni del secolo, ha prodotto un profondo cambiamento non solo nel volto, ma anche nell’anima della città, diventata ormai preda di un turismo mordi e fuggi che ha comportato tra le altre cose non solo l’abbandono da parte di molti fiorentini delle abitazioni nel centro, trasformate in improvvisate ma la lucrose dimore turistiche e il trasferimento in periferia di tutta una serie di attività e funzioni che prima contribuivano a rendere Firenze quella città, oltre che unica, riconoscibile e famosa in tutto il mondo ma anche viva e vitale.

Si deve principalmente a  questa politica se anche un buon numero di botteghe artigiane, tipiche anch’esse dell’identità fiorentina, e tanti piccoli negozi al dettaglio hanno lasciato il centro per trasferirsi in periferia o hanno addidittura chiuso i battenti, lasciando campo libero alle grandi marche internazionali.

L’ultimo tocco alla graduale spoliazione del centro fu dato dall’amministrazione Renzi, con particolare impulso di quest’ultimo.  Quando egli fu sindaco della città, dal 2009 al 2014, decise infatti del tutto inaspettatamente e contro ogni logica di vietare l’accesso al centro cittadino di qualsiasi tipo di trasporto pubblico. Il centro rimase così completamente isolato e inaccessibile a molti fiorentini, specialmente quelli più avanti con l’età, che da allora in poi trovarono sempre più difficile se non addirittura impossibile raggiungere Piazza Signoria e il Duomo. L’entrata in servizio, alcuni anni dopo, di piccoli bus capaci di trasportare in condizioni non confortevoli non più di sette o otto persone, non ha eliminato il disagio.

Il tema è stato ripreso nei giorni scorsi dal professor Mario Primicerio, storico collaboratore del sindaco Giorgio La Pira (foto a destra) e poi anche lui sindaco a sua volta. Ad un giornalista che evidenziava la fragilità ed insostenibilità dello sviluppo basato sul turismo di massa, questa è stata la sua risposta: “Firenze è città di tutto il mondo e deve accogliere tutti, ma è in primo luogo città dei fiorentini. Occorre contemperare queste due esigenze. Magari anche con più trasporto pubblico in centro, perché oggi è insufficiente, spero anche col tram, che agevoli i residenti.” a il prof. Primicerio non si è limitato a sottolineare l’ ”isolamento” del centro storico. Richiamando l’omelia dell’arcivescovo di Firenze Giovanni Betori, pronunciata alcuni giorni prima in occasione della festività del Patrono, il quale richiamò facendolo proprio un famoso auspicio di Giorgio La Pira per “la rinascita di una Firenze che contenga bellezza, riposo, contemplazione, pace, proporzione, misura”, ha voluto aggiungere da parte sua l’immagine di una città dove ci sia posto  “per la casa, per il lavoro, per la chiesa, per la scuola, per l’ospedale. Insomma, una città come cantiere di cittadinanza e di diritti e doveri.”   “E la città – ha aggiunto -  è metafora per indicare tutti noi collettivamente, per sottolineare che occorre un equilibrio in cui non ci sono prevaricazioni e la logica individuale non deve prevalere.” E infine l’appello finale in favore del ruolo della cultura: “Occorre lavorare a livello culturale, lavorare tanto. Anche perché la società negli anni ha sdoganato egoismo e furbizie.”                                                                                                  

 

                                                                                                      

Ponte Vecchio, altro luogo della movida di Fireenze                                                                                                                                                        

 Il richiamo alla cultura e l’ammonimento contro le prevaricazioni giungono a proposito per riprendere il discorso sulla movida. Il comportamento incivile delle torme di giovani che impunemente (almeno finora) violano il diritto al riposo dei cittadini che abitano nelle vie da essi “occupate” quasi tutti i giorni, in specie quelli di  fine settimana, contrasta con qualsiasi sottinteso di natura culturale e costituisce una vera e propria prevaricazione della libertà altrui. Una cosa ben diversa dalla movida delle origini, nata in Spagna attorno agli anni ‘80 per festeggiare la fine del franchismo. Che i giovani amino stare insieme è di per sé positivo, ma è il modo in cui talvolta lo fanno che non può essere tollerato. E viene spontaneo chiedersi se i loro genitori e magari anche i loro insegnanti hanno qualcosa da dire e, soprattutto, da fare. 

Il Galileo