Ustica:

un mistero che dura da quarant’anni

 

di Paolo Negrelli

 

Il DC-9 I-TIGI di proprietà della compagnia ITAVIA all'aeroporto di Pisa nel 1973

Aeroporto di Bologna – Borgo Panigale, ore 20:08 del 27 giugno 1980

Sulla pista dello scalo romagnolo, il DC-9 I-TIGI, della compagnia Itavia, decolla alla volta dell’aeroporto palermitano di Punta Raisi, dove è atteso alle 21:13. Il volo percorrerà l’aerovia Ambra 13, che lo porterà a sud sorvolando il Mar Tirreno e le isole di Ponza e Ustica.

Alle 20:59 la traccia radar del DC-9 scompare. L’ultimo contatto riporta il velivolo diretto a sud a circa 7000 metri di altezza e ad una velocità di 800 km/h mentre stava sorvolando il tratto di mare compreso tra le due isole.

Alle 21:04 il controllore di volo di Roma contatta il DC-9 per autorizzarlo alla discesa su Palermo senza però riceverne risposta. Le chiamate si susseguiranno fino alle 21:25, quando il centro di controllo di Roma allerterà il comando del soccorso aereo di Martina Franca.

la ricostruzione del relitto presso Pratica di Mare

Alle 21:55, tre elicotteri del 15° Stormo, decollati dall’aeroporto di Roma – Ciampino, cominceranno le operazioni di ricerca nel tratto di mare attraversato dalla rotta Ambra 13. Il velivolo viene ufficialmente dichiarato disperso.

All’alba del 28, i mezzi di soccorso avvistano i primi rottami e una vistosa chiazza di carburante. Viene confermato che il DC-9 dell’Itavia è precipitato in un tratto del Mar Tirreno profondo più di 3000 metri a 110 km a nord dell’isola siciliana di Ustica, causando la morte di 77 passeggeri e di 4 membri dell’equipaggio.

La Strage di Ustica, a quarant’anni dal suo svolgimento, rappresenta ad oggi uno dei maggiori misteri italiani del dopoguerra.

Migliaia di ore di indagini, perizie e numerose vicende processuali non sono state in grado di fare piena luce su cosa accadde nei cieli del sud Italia in quella fatidica notte dell’estate del 1980.

Nel corso degli anni, sono state avanzate numerose ipotesi circa la perdita del velivolo. Le più accreditate ipotizzavano il cedimento strutturale, l’esplosione di un ordigno a bordo, la collisione con un altro velivolo – presumibilmente militare – e l’abbattimento da parte di un missile aria-aria.

il relitto piantonato presso la base di Pratica di Mare

Il recupero del relitto, avvenuto tra il 1987 e il 1991, e la sua successiva analisi, hanno costituito un importante passo avanti del lungo percorso di indagine che si è concluso nell’agosto del 1999 con il deposito, presso il Tribunale di Roma, dell’ordinanza di rinvio a giudizio/sentenza di assoluzione, redatta dal giudice istruttore Rosario Priore.

Nella sua ordinanza di quasi 6000 pagine, alla luce delle numerose perizie tecniche, il giudice escluse le teorie del cedimento strutturale e dell’ordigno a bordo.

Nello specifico, la teoria dell’attentato dinamitardo era all’epoca una delle tesi più accreditate. Si sospettava che terroristi, durante lo scalo di Bologna, avessero sistemato un ordigno nella toilette di poppa. La tesi era suffragata da una rivendicazione telefonica giunta alla redazione romana del Corriere della Sera, in cui un presunto affiliato ai NAR attribuiva al gruppo terroristico gli eventi della notte di Ustica. Questa, e altre rivendicazioni giunte a giornali siciliani, saranno in seguito smentite o ritenute inattendibili.

Le perizie effettuate sul relitto e l’analisi chimica degli stessi evidenziarono danni e miscele di esplosivi incompatibili con una deflagrazione all’interno dell’aereo.

Nella sua ordinanza, il giudice Priore sposa invece la tesi secondo cui il DC-9 dell’Itavia sia rimasto coinvolto in un combattimento aereo avvenuto nei cieli dell’Italia meridionale.

periti all'opera sul relitto

Partendo dell’analisi delle tracce radar di quella notte, in aggiunta all’allarme diramato da due caccia italiani, Priore confutava la teoria secondo la quale il DC-9 stava attraversando una porzione di cielo sgombro.

Nella sua ricostruzione, il giudice romano ipotizza la circostanza per cui il velivolo civile si fosse trovato, di fatto, nel posto sbagliato al  momento sbagliato.

Questa circostanza avrebbe portato all’abbattimento per errore del volo HI870 – così era identificato il velivolo Itavia – a seguito del lancio di missili aria-aria o dallo speronamento dello stesso da parte di un altro aereo.

Nel convincimento del giudice, la presenza di tracce di esplosivo sul relitto sarebbero da attribuire all’esplosione di un missile cosiddetto ad effetto blast.

Missili di questo tipo generano una forte onda d’urto e una minima produzione di schegge al momento dell’esplosione. Si genera quindi un locale squilibrio di pressione sul bersaglio, tale da generare gravi danni strutturali in grado di abbattere un velivolo.

Nella sua disamina, il giudice si spingeva addirittura a considerare collegato ai fatti di Ustica l’incidente che vide coinvolto un MiG 23 libico, precipitato sulle alture della Sila nel luglio dello stesso anno in circostanze, specie temporali, non chiare. Si ipotizzava, infatti, che l’ordigno fosse destinato al caccia libico ma che un errore di puntamento lo avesse indirizzato verso l’aereo di linea.

Nel dispositivo, il giudice romano dichiarava il “non doversi procedere in ordine al delitto di strage perché ignoti gli autori del reato” ma, al contempo, disponeva il rinvio a giudizio per alcuni alti ufficiali dell’Aeronautica Italiana per attentato contro gli organi costituzionali con l’aggravante dell’alto tradimento.

L’ordinanza suscitò numerose polemiche circa la ricostruzione dei fatti e le accuse mosse verso i vertici dell’Aeronautica Militare.

il relitto a Bologna, presso il museo dedicato alle vittime 

 

Ad oggi, la ricostruzione dell’ordinanza Priore è stata fatta propria dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza 1871 del 2013, emessa dalla Terza Sezione Civile, ha confermato la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Palermo, condannando il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e il Ministero della Difesa al risarcimento delle vittime dei fatti di Ustica. Nello specifico la Suprema Corte ha riconosciuto, in capo agli organi dei ministeri coinvolti, il mancato mantenimento della sicurezza in volo nella notte dei fatti.

Una prima luce su uno dei misteri più bui della nostra storia repubblicana.

Il Galileo