COVID 19
di Luisa Monini
“La
medicina è la scienza dell’incertezza e l’arte della probabilità” così William
Osler (foto a sinistra), illustre clinico, scriveva nella seconda metà del 1800
ed oggi, alla luce di quanto ci sta
“ insegnando” il Covid 19, questo
suo pensiero è più che mai attuale perché non sappiamo cosa ci aspetta e tutte
le previsioni hanno un rilevante margine di incertezza.
Perfino lo stesso concetto di tempo, inteso come momenti, separazione di eventi,
non si concilia con l’evoluzione della attuale pandemia, il cui significato
storico si iscrive nella paura collettiva della morte improvvisa e diffusa e non
in una realtà da poter contrastare e governare in tempo reale.
Negli ultimi anni la medicina ha dedicato molte attenzioni alle malattie
croniche non trasmissibili e ci siamo convinti, o illusi, che la transizione
epidemiologica verso queste patologie, che oggettivamente colpiscono in modo
crescente anche i Paesi in via di sviluppo, avesse relegato le malattie
infettive ad un fenomeno, se pur ancora rilevante, di minore impatto, per
esempio sulla mortalità.
Eravamo tutti impegnati a discutere sui fattori di rischio, per altro con un
modesto impegno preventivo. I determinanti sociali della salute, in qualche modo
legati anche all’attualità ed altamente incisivi sulla salute stessa, erano
relegati ad argomenti da discutere nei rari convegni ad essi dedicati,
nonostante l’allarme delle più importanti riviste scientifiche.
COVID 19 ci ha trovati impreparati ed ha colpito con la forza di uno tsunami
persone, professionisti e lo stesso Sistema Sanitario che, da anni sotto
finanziato con conseguente grave depauperazione delle risorse strutturali e
umane, ha messo drammaticamente in luce tutte la sua totale inadeguatezza.
E così in Italia, come nel resto del mondo, medici, infermieri, volontari sono
morti e ancora muoiono di Covid 19 così come morirono durante le epidemie di
peste nell'Europa medievale, di febbre gialla a Filadelfia nel 1793, durante la
Spagnola del 1918 e l'epidemia di Ebola nel 2014.
E mai come oggi, le gravi criticità che stiamo vivendo, ci hanno fatto
realizzare che la globalizzazione ha portato a scelte economiche disastrose. Un
solo paradigmatico esempio: le mascherine, la cui produzione, negli anni, è
stata affidata proprio alla Cina e ad altri paesi asiatici. A tutti è noto
l’esito nefasto di questa scelta.
A fronte delle tante mancanze istituzionali, gli uomini e le donne della salute
hanno dato prova, riconosciuta da tutti, di abnegazione e disponibilità,
superando limiti inimmaginabili di dedizione e resilienza.
E a tutti loro dobbiamo rispetto. Rispetto che non dovrà essere dimenticato
passata la tempesta, perché molti sono morti e molti si sono ammalati curando,
mentre qualcuno predicava in TV di non preoccuparsi, perché quella in corso era
poco più di una banale influenza. Il coronavirus ha così dato scacco matto a
politici, immunologi, epidemiologi, economisti e a tutti noi che siamo caduti
nella sua trappola invisibile quanto fatale.
Di fatto SARS-CoV-2 in poche settimane ha trasformato tutti gli ospedali in
ospedali COVID. In poche settimane i letti di terapia intensiva sono stati
raddoppiati, triplicati, quadruplicati. Si richiedevano a gran voce respiratori,
letti, dimenticando però che ad ogni respiratore, o meglio ad ogni malato,
doveva corrispondere un’assistenza adeguata con medici, infermieri e personale
di supporto. Ma questi non si potevano acquisire sul mercato!
E loro, sempre gli stessi, hanno moltiplicato il proprio impegno, non guardando
il numero di ore, i giorni festivi, rinunciando per settimane alle famiglie, per
paura di infettare i propri cari.
Tutti gli specialisti si sono trasformati in neo esperti COVID , colmando così
ogni spazio disponibile.
E intanto sul territorio operavano i medici di famiglia e i pediatri di libera
scelta con pochi o nessuno dispositivo di protezione a diagnosticare polmoniti
che spesso dovevano essere curati a domicilio per mancanza di posti letto. La
maggior parte di loro ha dovuto accettare il triage ed il monitoraggio
telefonico, andando “contro natura” per chi è cresciuto nel dogma che “la
visita” è l’unico modo per sapere cosa ha un paziente e come curarlo.
COVID 19 ha colpito nella maniera più dura, più sconvolgente la parte nobile
della nostra civiltà: i nostri “Vecchi”. Tanti nostri “Vecchi” se ne sono
andati, molti erano ospiti delle tanto criticate RSA. Val qui la pena ricordare
che il tasso di mortalità, calcolato come numero di deceduti sul totale dei
residenti (somma dei residenti al 1 febbraio e nuovi ingressi dal 1 marzo), è
stato complessivamente pari all’8,2%”.
Tanti, ma molti meno, secondi i dati OMS, che negli altri paesi europei,
nonostante le carenze denunciate dalle stesse strutture.
Il Sistema ha mostrato tutti i suoi limiti ben noti da anni e denunciati più e
più volte con proposte di una
riforma radicale delle cura primarie e la “rinascita” della figura del medico di
famiglia.
È ora giunto il tempo, e lo sarà sempre di più, di fornire competenze
multidisciplinari e multi professionali in strutture territoriali con
adeguate ed alte tecnologie.
Gli Ospedali, con gli hospitalists (le nuove figure di coordinamento), dovranno
gestire i malati cronici multi patologici, con tutti gli apporti specialistici
necessari.
La tanto auspicata e sostenuta integrazione, mai realizzata, fra ospedale e
territorio e non solo con la medicina generale o la pediatria di famiglia, è
obbligatoria. Si studino e si realizzino gli strumenti. Il malato è sempre lo
stesso, dentro o fuori.
Per fare tutto questo, che non è un libro dei sogni, ci vogliono risorse, cioè
tanti soldi. Soldi non sprecati perché restituire salute alle persone malate fa
un gran bene anche al PIL.
Oggi, all’ inizio della fase 2 le attuali misure di blocco adottate sono
fondamentali per contenere l'epidemia e potrebbero essere mitigate solo in
presenza di test diffusi e tracciabilità dei contatti di ogni singolo caso.
Questo è imperativo se non si vuole rivivere giorni di lutto e di
insostenibilità assoluta del Sistema.
Questo significa un persistente stato di allerta e di attenzione anche quando la
curva epidemica sembrerà attenuarsi.
Di fronte alla catastrofe epocale l’organizzazione ha rischiato di franare, ma
gli uomini e le donne della salute hanno combattuto perché questo non accadesse,
ancorati a quel principio costituzionale per cui si deve, disperatamente,
tentare di non lasciare indietro nessuno.
Questo si meritano i medici, gli infermieri, gli operatori tutti della salute
che in queste settimane in silenzio hanno lottato fino allo stremo contro COVID
19, ammalandosi e, non pochi, lasciando sul campo la propria vita.
" Morti come soldati al fronte" ha ricordato Papa Francesco nella diretta RAI
del10 Aprile scorso.