IL WEB AI TEMPI DEL CORONAVIRUS
Il deleterio fenomeno delle fake news,
le notizie false, diffuse sui social
di Luisa Monini
L'Italia si conferma un paese maturo, connesso, social, e con un trend di
adozione in crescita per quanto riguarda sia Internet in
senso ampio, sia le piattaforme social,
sia le nuove
tecnologie.Sono infatti quasi
50 milioni le persone online in Italia su base regolare, e 35
milioni quelle presenti ed attive sui canali social. In entrambi
i casi, registriamo un aumento rispetto
alla rilevazione del 2001
Viviamo un momento storico nel quale, giorno dopo giorno, la comunicazione
diventa sempre più importante e pervasiva. Oggi i media, sono la terrazza con
vista sul mondo così come sulla vita privata di noi tutti; una vista che
quotidianamente rischia, purtroppo, di essere deformata e danneggiata dalle fake
news che imperversano sul web, estremamente insidiose in quanto verosimili e
capaci di seminare confusione tra i cittadini. È quello che in questi giorni sta
accadendo con le notizie sul coronavirus, sulla sua origine, sui suoi effetti,
sulle sue modalità di contagio ed altro ancora. Si crea così un dannoso
cortocircuito informativo per contrastare il quale è necessario che tutti gli
operatori della comunicazione abbraccino una nuova etica della comunicazione;
premessa indispensabile per creare conoscenza e consapevolezza della comune
responsabilità. Potremmo dire senza pericolo di smentite, che la comunicazione è
donna perché è la donna che più dell’uomo, per esprimere pensieri, sentimenti,
opinioni, utilizza in modo del tutto naturale le tecniche di comunicazione,
dalle parole ai gesti, agli sguardi, alla mimica del viso, ai movimenti del
corpo. E quello della comunicazione e mediazione è sempre stato uno dei ruoli in
cui la donna ha eccelso a cominciare dal primo atto di persuasione compiuto al
mondo con Eva che convince Adamo a mordere la mela.
Ben poca cosa rispetto a quanto oggi il marketing pubblicitario produce in
termini di “persuasione tecnologica” influenzando, senza apparente costrizione,
i pensieri e i comportamenti delle persone, con notevoli implicazioni etiche.
Comunicare la salute comunque non è cosa semplice. sia da parte di chi la deve
divulgare che da parte di chi la gestisce. Ritengo la comunicazione (communico =
mettere in comune, far partecipe) parte integrante della professione medica e
che essere medico significhi sì curare e possibilmente guarire chi soffre, ma
anche impegnarsi in tutti i modi affinché il maggior numero di persone non
ammali di malattie croniche legate a stili di vita scorretti così come di
malattie acute trasmesse da virus e batteri.
È così che, da fenomeno multi mediatico, la comunicazione riguardante la salute
diventa immediatamente “rapporto fiduciario”, con il medico che in prima persona
deve rispondere al proprio assistito in termini di responsabilità presa nei suoi
confronti nell’ indicazione di una cura, in termini di colloquialità affettuosa,
quella che rincuora e rassicura. Ma questa sorta luna di miele tra medico e
paziente in realtà è finita da un pezzo così come è finito il tempo in cui il
medico poteva dire al proprio assistito “il medico sono io, fidati di me”. I due
mondi sono entrati così in una nuova dimensione del rapporto, dove il
trasferimento unidirezionale delle informazioni lascia il posto al confronto,
alla partecipazione, alla condivisione di decisioni importanti sull’iter
diagnostico-terapeutico da intraprendere.
Non solo: i pazienti 2.0 hanno necessità di informarsi e discutere in prima
persona la propria condizione di salute anche con i loro pari, peer to peer
nelle health communities e il web, questa terza dimensione, sta cambiando non
solo il rapporto medico-paziente, ma anche quello tra cittadini e pubblica
amministrazione con lo sviluppo di nuove modalità di interazione e condivisione,
basate su trasparenza ed efficienza. Anche l’industria farmaceutica attraverso i
canali “social” oggi ha l’opportunità di avvicinarsi al paziente-cliente,
acquisire nuove informazioni e così attivare campagne di disease awareness.
Certo è che l’aumento vertiginoso delle fake news ha generato negli ultimi anni
incertezze e preoccupazioni nelle persone contribuendo così a ridurre
l’efficacia delle campagne di prevenzione ministeriali con ricadute sulla
diagnosi precoce di malattie importanti come quelle tumorali e sul contrasto
alle patologie croniche e acute con un aumento vertiginoso dei costi.
Ci siamo mai chiesti quanto costa in termini socio-economici la disinformazione
in ambito salute creata ad arte sui social network e sulla rete da società
specializzate nel costruire notizie false per scopi poco trasparenti?
Basta un titolo ammiccante o allarmista ed è subito “clic”: un click bait (esca)
che immediatamente da il via ad una valanga di condivisioni: il fine per il
quale era stato ideato. Il controllo delle fonti? In questi casi non esiste,
mentre sale il profitto di chi lucra sull’ ignoranza dei cittadini. E oggi
purtroppo le fake sul COVID-19 sono all’ ordine del giorno tanto che l’OMS ha
lanciato l’allarme “infodemia" ad indicare l'enorme quantità di informazioni che
rende difficile riconoscere le fonti sicure sul coronavirus.
Per contrastare
questa emergenza e le fake news che invadono il web, l’OMS utilizza il proprio
sito e i propri canali social ( Weibo, Twitter, Facebook, Instagram, LinkedIn,
Pinterest e il recentissimo TIk Tok ). D’altro canto bisogna segnalare che
alcuni social come Facebook e Twitter, hanno annunciato il loro impegno nel
limitare e vietare le pubblicità che menzionano "Coronavirus" e che hanno
l’obiettivo di seminare panico a scopo di lucro, soprattutto in relazione a cure
e prevenzioni. È comunque innegabile che i social media e i social network
rappresentano strumenti molto importanti per reperire informazioni su temi
riguardanti la salute; da qui la necessità da parte del mondo medico e
scientifico di utilizzare gli stessi strumenti e di fare del web una «terra
condivisa» sulla quale dare corrette informazioni sia a livello di prevenzione
delle malattie (al fine di evitare comportamenti a rischio), sia a livello di
trattamenti e cure.
Ma quali sono le piattaforme preferite dagli italiani? Nessuno scossone rispetto a quanto riportato l'anno scorso, con YouTube e la famiglia di app di Facebook (WhatsApp, Facebook, Instagram e Messenger, nell'ordine) saldamente nella top 5. Ed è proprio Instagram la piattaforma che registra la crescita più evidente, dal 55% al 64%. In forze anche Pinterest, che vede un salto dal 24% al 29% anche in Italia, in parallelo ad una crescita globale anche in virtù di una serie di migliorie della piattaforma self-service per le sponsorizzazioni e ad alcune iniziative nell'ambito del Social Self Care.Crescono di un paio di punti percentuali ciascuno anche Snapchat, Twitter, WeChat, Reddit: sono tutte piattaforme molto diverse tra loro ed è interessante notare come la crescita sia diffusa, indicatore di “salute generale” della categoria e non solo di alcune nicchie specifiche.
Fonti:
Pew Research Center
e Burst Media
infografica Financeonline.com
La tutela della salute dei cittadini passa dunque anche attraverso la capacità
delle Istituzioni di utilizzare strumenti del marketing per promuovere e
difendere la salute stessa. Nel nostro paese, le iniziative di comunicazione
promosse per “Guadagnare Salute” (progetto PinC) hanno privilegiato un approccio
orientato a promuovere messaggi chiari, positivi, in grado di informare e di
aumentare la consapevolezza dei destinatari sull’importanza di mettere in atto
stili di vita salutari piuttosto che messaggi colpevolizzanti e impressionanti.
Il Report Digital 2020 presentato il 14 febbraio scorso da We are social insieme
a Hootsuite, descrive un’analisi dettagliata del mondo digital tricolore,
confermando la crescita nel nostro paese sia di internet, che di social e nuove
tecnologie con 50 milioni gli utenti connessi, con una penetrazione dell’82%. Se
però si contano gli smartphone ecco che la percentuale cresce al 133%. Gli
italiani che amano “socializzare” in digitale sono 35 milioni, con un tasso di
penetrazione del 58% e i social network più attivi sono in ordine decrescente:
Youtube 88%, Whatsapp 83% e Facebook 80%. A seguire Instragram, Messanger,
Twitter e Tik Tok, social preferito
dagli adolescenti balzato in un anno all’11%. A fronte di questi dati che
confermano che gli italiani sono un popolo di comunicatori ce ne sono altri
recenti (maggio 2019) forniti dal report annuale dell'Osservatorio Innovazione
Digitale in Sanità del Politecnico di Milano che ci informano sull’ utilizzo del
web da parte dei cittadini e dei medici per quanto riguarda la gestione della
salute: la metà circa dei cittadini cerca in Internet informazioni su medici e
strutture sanitarie, meno di 1 su 5 comunica con il medico via email (19%),
WhatsApp (17%), SMS (15%), il 41% usa App o dispositivi wearable per monitorare
lo stile di vita, 1 su 3 lo smart watch. L’85% dei Medici di Medicina Generale e
l’81% dei medici specialisti utilizza la mail per inviare comunicazioni ai
pazienti, mentre WhatsApp è usato dal 64% dei primi e dal 57% dei secondi per
fissare o spostare appuntamenti e per condividere documenti o informazioni
cliniche. È dunque evidente che c’è
una domanda forte ad avere canali di comunicazione, alternativi alla visita in
studio o alla telefonata, anche da parte del medico in quanto questi strumenti
velocizzano molta parte del lavoro. Il problema è che si tratta di un ambito non
sufficientemente regolamentato, il che mette il medico in una condizione di
vulnerabilità legale. Sicuramente
in questo momento di grande criticità e di isolamento forzato per molti, i mezzi
digitali con il loro costante aggiornamento svolgono un ruolo cruciale e
consentono a medici e pazienti di stare in contatto, pur se lontani. In questo
confermando la folgorante anticipazione tecnologica della comunicazione avuta da
Leonardo Da Vinci 500 anni or sono:
"Parleransi e toccheransi e abbracceransi li omini, stanti dall'uno all'altro
emisperio, e intenderansi i loro linguaggi"…
“Andranno li omini e non si moveranno, parleranno a chi non si trova, sentiranno
chi non parla”.
DidatticaInterattiva riporta alcuni dati relativi a diverse indagini demografiche legate al mondo dei social media (le fonti Pew Research Center e Burst Media) rielaborate in un’interessante infografica da Financeonline.com. Il 33% delle donne connesse accedono regolarmente a Pinterest contro lo scarno 8% maschile. Meno dominante ma significativa anche la maggior presenza su Tumblr (54% contro il 46% maschile).Questi dati ci dicono che nel giro di pochi anni, si è passati dai siti Internet che consentivano soltanto una comunicazione unilaterale, attraverso pagine web statiche ai social network, blog, wiki, podcast che consentono di condividere, creare collegamenti, collaborare e coinvolgere direttamente gli utenti in una conversazione che porta alla creazione di informazioni on line condivise in tempo reale