Riflessioni di una trentenne

La vita

ai tempi del coronavirus

 

di Magali Prunai

 

Una via sempre affollata di auto e passanti, il tram che sferraglia carico di persone all’uscita di scuola, i negozi aperti, la confusione che viene dalla strada e che infastidisce chi è in casa. Rumori, rumori alti e fastidiosi, chi si affaccia sulla via che si lamenta ogni volta per quanto sia diventata caotica.

L’Italia è isolata da pochi giorni eppure quasi sembra un passato lontanissimo quello che affollava le strade ogni giorno a tutte le ore. Forse chi ha superato una certa età, nonostante sia spaventato e impressionato da questa desolazione, non riesce a capire pienamente cosa prova un ragazzo giovane abituato a essere sempre in giro, sempre a contatto col mondo. Stiamo a casa, è necessario e doveroso. Non solo perché c’è un decreto del Governo che ce lo impone, è la nostra coscienza, la nostra moralità, il nostro buon senso e rispetto per il prossimo che ce lo chiede e impone.

Da alcuni giorni in tutta Italia sono aperte solo le rivendite di beni essenziali. Si può andare al lavoro, se non è possibile lavorare da casa, si può fare la spesa, comprare un giornale o delle medicine. Non si può andare in un centro commerciale a comprarsi un paio di scarpe, neanche nelle vie dello shopping del centro cittadino per prendere una brioche al bar o acquistare quel tanto desiderato paio di pantaloni.

La coda per entrare al supermercato

Non poter uscire, avere come unico legame con l’esterno non virtuale il balcone di casa. I più fortunati il giardino.

Niente serate con gli amici, niente cene fuori, niente pranzi fuori. Mascherine, per chi le ha trovate, guanti in lattice per i più spaventati o deboli, anche se pare siano una forte fonte di contagio, stare a distanza da tutti.

Sarò noiosa, avrò un tono per certi versi depresso, ma a poco più di 30 anni ritrovarsi a vivere in una situazione quasi bellica o post bellica, senza neanche avere un vero nemico fisico da combattere, se non l’ottusità di chi ancora non comprende la necessità di cambiare il proprio stile di vita, sgretola le proprie certezze. Quelle certezze per le quali si pensa di essere invincibili e che nulla può toccarci perché le tragedie del mondo sono sempre lontane da noi.

Se normalmente a Milano la melodia di sottofondo sono i clacson delle auto, i tram troppo vecchi e dalla scarsa manutenzione, il vociare della gente, in questi giorni si sentono solo sirene. Si sentono perché nel silenzio più assoluto, in un silenzio quasi assordante, il loro suono è più forte e meglio percepibile.

Sulla saracinesca di un centro estetico

Nessuno che passeggia per la strada, nessuno che parla e sirene di ambulanze che sfrecciano di continuo. E’ vero, ho un tono esageratamente triste, forse patetico, ma abito in centro a Milano e neanche in agosto ho assistito a una desolazione simile. Anche perché in agosto, caldo permettendo, nulla vieta di uscire e passeggiare per ore e ore.

Recentemente sono uscita per fare un po’ di rifornimenti di cibo e per acquistare alcuni medicinali. Ho stampato il modulo di autocertificazione in cui specifico gli indirizzi dei miei spostamenti, augurandomi di incontrare per la strada qualcuno che lo ritirasse, controllasse, che me lo chiedesse. Trovare un vigile, un poliziotto, chiunque preposto al controllo del rispetto dell’ordinanza governativa mi avrebbe fatto immensamente piacere. Io l’ordinanza la rispetto, come me in tanti e pretendo che tutti la seguano e che i trasgressori vengano puniti, per il bene di tutti e di loro stessi. Alla fine, cos’altro è lo Stato se non una figura che fa rispettare le regole da esso stesso imposte per il nostro bene?

Visti i dati delle multe del primo giorno di attuazione del decreto immagino che le forze dell’ordine siano state impegnate in punti più sensibili e normalmente più affollati.

Una via di Milano deserta

Sono uscita in un viale deserto, dove è passato solo un tram vuoto. Ho attraversato il parco, solo qualche persona con il proprio cane che si affrettava a fargli espletare tutti i suoi bisogni per poi tornare a casa, l’edicola dei giornali, anche se aperta, deserta. E poi proseguo il mio percorso, la libreria è chiusa, i bar sono chiusi, il negozio di tappeti e quello di telefoni chiusi come tutti gli altri. Che altro mi aspettavo? E’ obbligatorio.

Torno a casa, passo di nuovo dal parco. Una persona fa sollevamento pesi, due bambini giocano nell’area giochi. Cosa non è chiaro del concetto “stare a casa”?

Nel suo “Cristo si è fermato a Eboli”, Carlo Levi espresse un importante concetto su come l’individuo e lo Stato dovevano riorganizzarsi per il bene comune. A distanza di quasi 80 anni le sue parole, che qui ripropongo, rimangono valide, anche se per ora non ci hanno insegnato nulla.

"Dobbiamo ripensare ai fondamenti stessi dell'idea di Stato: al concetto d'individuo che ne è la base; e, al tradizionale concetto giuridico e astratto d'individuo, dobbiamo sostituire un nuovo concetto, che esprima la realtà vivente, che abolisca la invalicabile trascendenza di individuo e di Stato. L'individuo non è una entità chiusa, ma un rapporto, il luogo di tutti i rapporti. Questo concetto di relazione, fuori della quale l'individuo non esiste, è lo stesso che definisce lo Stato. Individuo e Stato coincidono nella loro essenza, e devono arrivare a coincidere nella pratica quotidiana, per esistere entrambi”.

Strano animale l’uomo, che ha bisogno di situazioni di emergenza come una guerra o una pandemia per riscoprire il senso stesso della sua natura.

Fortunatamente l’uomo ha mille risorse interiori che lo aiutano a far fronte alle situazioni più disparate. E così, mentre i rettori delle università italiane hanno affrontato la difficile decisione di anticipare le lauree di professioni sanitarie per spedire ragazzini di 23/24 anni a combattere una guerra, iniziative per sentirsi vicini, vivi e impedire a chi è solo, spaventato, che forse non capisce bene cosa stia accadendo, nascono ogni minuto.

All'ingresso di un cinema

Sono nati, così, parecchi “flash mob” al balcone. Via “social” la gente di tutta Italia si accorda per un’ora e una canzone, mani da battere, luci da far girare sulle facciate dei palazzi. Qualcuno li ha criticati, trovandoli inutili. Ma in questi giorni pensiamo un po’ meno a noi e un po’ di più gli altri, lasciamo le polemiche fuori dalla porta perché se già normalmente sono inutili, in questo periodo che si prospetta essere molto lungo lo sono ancora di più. Se dopo una settimana di quarantena già diamo i numeri non arriveremo vivi né al 3 aprile né a qualsiasi altra data alla quale verrà prorogata la quarantena. Invece di fare polemica per il gusto di farla, proviamo a guardare il nostro comportamento attuale e passato. Quando dicevamo che era solo un’influenza, quando gridavamo all’allarmismo perché dicevano di non uscire di casa coi sintomi influenzali, quando mettevamo a paragone la crisi climatica con una manciata di morti, quando mettevamo a confronto i morti per Covid19 con quelli per altre questioni altrettanto tragiche e non paragonabili.

Un parco cittadino di Milano solitamente affollato

State a casa, non lamentatevi delle restrizioni che pensate illegittime (per la loro legittimità vi consiglio di leggere con più attenzione la Costituzione italiana, per lo meno dove viene spiegato che una norma può limitare le libertà dei singoli per esigenze superiori quali la salute pubblica) e pensate a quel giorno che potremo uscire di nuovo, liberi e senza restrizioni di sorta e potremo camminare abbracciati, andare a ristorante o in vacanza.

Il Galileo