Come l’elettronica
interagisce con la società
di Magali Prunai
Il 2020 è iniziato da poco, siamo alle porte di un nuovo decennio di questo
nuovo secolo ma i problemi di ieri sono rimasti irrisolti portandosi dietro
nuove e peggiori complicazioni che non fanno certo ben sperare nel futuro più
prossimo.
Il nuovo secolo si è subito contraddistinto per un progresso tecnologico sempre
più veloce, tanto che parlare di una
semplice
rivoluzione industriale è riduttivo. Se un tempo il progresso segnava la linea
di confine fra un’epoca passata e il futuro, ora è come se di rivoluzioni se ne
svolgessero tante tutte insieme, con infinità di cambiamenti in molteplici
ambiti. Quello che viene scoperto oggi, domani è già sul mercato e dopodomani è
già obsoleto perché rimpiazzato da qualcosa di ancora più tecnologico e
sofisticato, con medesime prestazioni ma che impiega un nano secondo in meno a
svolgerle. Tutto corre a una velocità maggiore rispetto a un secolo fa, ma anche
rispetto a 20-25 anni fa. Il progresso, o regresso, dipende dai punti di vista,
non conosce tregua e si espande sempre più velocemente. Siamo nell’era del tutto
di corsa, del tutto subito, del correre e affannarsi senza più prendersi degli
spazi di ragionamento, di tregua perché altrimenti diventiamo noi stessi
obsoleti e inutili alla società.
Oltre a tecnologia fondamentale, basta pensare ai progressi raggiunti in campo
medico grazie alla stampa 3d, negli ultimi 20 anni ha conosciuto un’espansione
notevole internet, o l’internet come ultimamente va di moda dire.
Siamo passati da computer grandi, che per connettersi alla rete avevano bisogno
di una linea fissa, un numero al quale collegarsi, l’impossibilità di usare il
telefono di casa contemporaneamente alla navigazione in internet, a computer
sempre più piccoli, sottili e leggeri, che si collegano a internet ovunque,
basta una chiavetta usb, o un dispositivo apposito al quale, in casa, si possono
collegare tanti pc, cellulari, tablet.
Se prima avere un computer in casa era meno frequente e si contava massimo un
dispositivo a famiglia, ora la normalità è che ogni componente di un nucleo
familiare possieda almeno un pc e uno smartphone a testa.
Con un click si è in contatto con qualcuno dalla parte opposta del mondo, le
e-mail hanno preso il posto delle lettere o delle cartoline. Anzi, 20 anni fa
fra gli adolescenti era frequente inviare per un compleanno o per qualsiasi
altra ragione delle cartoline virtuali agli amici. Si potevano aggiungere alle
immagini musiche e frasi, partivano velocemente e arrivavano dentro una busta da
lettere virtuale visualizzabile nella propria e-mail. Bastava cliccare sulla
busta perché partisse la musica e si visualizzasse la cartolina. Sembrava tutto
molto fantascientifico e divertente.
Poi sono arrivate connessioni più veloci, più lunghe nel tempo e meno costose.
Connessioni senza limiti a pochi euro al mese e non più al minuto. Bisognava
inventare qualcosa per tenere chiunque incollati davanti a quegli schermi che
nel tempo sono diventati sempre più piccoli, facendo registrare un aumento nei
problemi di vista della
popolazione mondiale con libero accesso a questi strumenti. Sono nati i
programmi di messaggistica istantanea, attraverso i quali era possibile
“chattare” in tempo reale con amici e sconosciuti. E poi sono arrivati loro, i
mostri dell’era moderna: i social. Programmi gratuiti dove tutti possono
iscriversi, basta avere un indirizzo e-mail, attraverso i quali si possono
condividere immagini, pensieri, musica con i propri amici. Ed è così che anche
concetti basilari, come quello di amicizia, hanno cambiato significato. Ci
ritroviamo anche con più di mille “amici” con i quali condividere qualcosa, ma
veramente conosciamo singolarmente tutte e mille queste persone e siamo in
confidenza con tutte e mille? Più che amici dovremmo chiamarli conoscenti, se
non addirittura impiccioni. E sì, perché alla fine attraverso questi dispositivi
non facciamo altro che guardare incuriositi quante cose grandiose fanno gli
altri, per poi poterle commentare in maniera sia positiva che negativa,
probabilmente con una punta d’invidia, e a nostra volta mostriamo la nostra
vita, che a tutti i costi vogliamo far apparire unica e straordinaria.
Questo meccanismo non si verifica solo fra “privati”, per quanto si possa essere
ancora considerati privati quando ci si iscrive a una piattaforma on-line che
mette in comunicazione fra loro milioni di persone, ma anche sulle pagine
dedicate a personaggi più noti.
Molti hanno detto che questi programmi hanno creato dei veri e propri mostri,
gente che critica e odia per partito preso chiunque, i cosiddetti “haters”, gli
odiatori di professione. In realtà internet ha solo dato libero sfogo, ha solo
amplificato pensieri, idee e sensazioni che fino a un momento prima rimanevano
circoscritti in un piccolo circolo di persone e che non aveva alcuna
ripercussione sulla vita mondiale, se non in rari casi.
Sono
nati così, invece, gruppi di persone che facilmente in contatto fra loro, senza
scendere dal divano di casa, si permettono di offendere chiunque, criticare
qualsiasi cosa, insegnare tutto a tutti e di avere un’idea, ovviamente sempre
corretta, su tutto, anche su quello che non conoscono. Ed è così che quella
determinata attrice viene giudicata non per come recita ma offesa perché troppo
magra, troppo grassa, perché ha i capelli troppo lunghi, troppo scuri, troppo
corti, troppo lisci, troppo ricci e così via. E il calciatore famoso è andato in
vacanza in un certo posto che, però, per la massa non va bene. Non deve andare
in vacanza, non deve andare in quella città, mare, montagna, villaggio, paese
del mondo ma in un altro e se ci si reca ha comunque sbagliato. E il cantante
ricchissimo rende noto di aver fatto un regalo molto cospicuo in denaro a una
certa associazione, ma non va bene il destinatario, non va bene la somma perché
è troppa o troppo poca, non bisognava renderlo noto e se non lo si rende noto si
viene presi di mira perché con quanto si è ricchi bisogna pensare agli altri.
Chiunque ha un’opinione su tutto e questa opinione è per forza vera in assoluto,
anche se non suffragata da dati e fatti, ma per la semplice ragione che la si è
pensata. Chiunque non la condivida sbaglia, anche quando viene dimostrata
l’incongruenza e l’impossibilità della propria tesi si continua a sostenerla
dichiarando, sempre più spesso, che a contare è il concetto e non la verità dei
fatti. Provate a dirlo a un giudice in un tribunale e vediamo cosa risponde,
soprattutto chissà cosa risponderebbe la gente se venisse giudicata colpevole
per qualcosa che non ha commesso perché a contare è il concetto.
Quando iniziarono a girare immagini del ponte Morandi crollato a Genova il
popolo del web, tutto laureato in architettura, ingegneria, fisica, scienze dei
materiali, tutto esperto di terremoti, incidenti di varia natura, attentatiti,
maestro del complotto per forza, iniziò a far girare foto di altri ponti
crollati, in altri luoghi del mondo, mostrando dettagli fondamentali per
sostenere le proprie tesi. Quando qualcuno faceva notare l’errore la risposta
tipica era “ e cosa cambia? Mi serviva la foto di un ponte crollato e ho trovato
questa, è il concetto che conta”.
No, non è vero. Se in rete vengono messe delle notizie false, le “fake news”
delle quali la stessa Unione Europea si è occupata per cercare di arginarle, con
lo scopo di spostare idee e voti, il concetto da solo non basta.
Io posso anche andare in giro a dire che tutti coloro che provengono da un dato
paese quando soggiornano in Italia commettono dei reati, ma poi se la polizia mi
risponde che su 10 delinquenti arrestati 5 erano italiani e 5 di un altro paese,
qual è di preciso il concetto fondamentale che voglio sostenere con la mia
affermazione? Alcuni stranieri commettono dei reati, altri no esattamente come
alcuni italiani sono dei delinquenti e tanti altri sono persone oneste.
Ma se su una retata di 10 persone ce ne è anche una sola straniera, magari pure
dalla pelle un po’ scura, ecco subito che il popolo del web insorge gridando
contro l’immigrato che viene in Italia a rubarci il lavoro,
pure quello di delinquente.
Questo atteggiamento, che ha caratterizzato in modo particolare gli ultimi anni
del decennio appena trascorso, e che
sarà
l’elemento distintivo del prossimo, è detto “post-verità”, dall’inglese
“post-truth” inserito nel’ Oxford Dictionaries nel 2016. Ovvero
quell’atteggiamento secondo il quale la verità è considerata secondaria e non
alla base di una discussione.
Solo la propria verità conta e non quella dei fatti. Controbattere in maniera
ragionata, consapevole, sulla base di dati storici provati è visto come il male
assoluto. La “post-verità” è il tratto fondamentale dell’ignorante medio, di chi
non ha voluto studiare, interessarsi, documentarsi e se la prende con chi,
invece, ha dei titoli di studio, delle conoscenze, delle capacità superiori. Se
una volta la persona intelligente, colta e istruita veniva guardata con rispetto
e la si ascoltava, ora è diventata la valvola di sfogo e colpevole di tutti i
mali del mondo. I “professoroni” hanno rovinato il nostro paese, largo ai
giovani e poi magari li ritrovi alla Camera dei Deputati onorevoli che domandano
dove si siedono i senatori.
Ma attenzione, aver studiato non fa dell’individuo per forza un essere
intelligente. Avere una laurea non vuol dire essere superiori alla massa. Ciò
che ci differenzia è la capacità di ragionamento e di comprensione e, dati alla
mano, i nostri studenti di scuola superiore, molti dei quali proseguiranno i
loro studi in una facoltà universitaria, non capiscono un testo scritto di media
difficoltà.