di Giuseppe Prunai
Alla conferenza di Madrid sul clima hanno vinto i pescicani.
Con questo nomignolo dispregiativo venivano chiamati quegli industriali che,
durante la Grande Guerra, lucravano sulle forniture militari mentre il popolo
lavoratore si scannava nelle trincee. I pescicani di oggi sono i petrolieri e i
produttori di carbone che non vogliono a nessun costo rinunciare ai loro
inquinanti combustibili fossili, rischiando una vera e propria catastrofe
planetaria, per paura di dover cedere la loro leadership economica nel settore
energetico. Una leadership che potrebbero tranquillamente conservare
riconvertendo velocemente i propri impianti adattandoli alle energie
rinnovabili.
Ma questo è un discorso complesso per certe menti che ragionano soltanto in
termini di supremazia politica ed economica, che negano che vi sia un’emergenza
climatica, che tacciano di antagonisti se non addirittura di disfattisti chi la
pensa in modo diverso.
Il
capo pescecane è certamente Trump, che ha finito per trascinarsi dietro India,
Arabia Saudita e Australia. Sapete l’ultima uscita statunitense? Il Congresso ha
adottato sanzioni contro il gasdotto russo-tedesco NordStream2 perché, secondo
Washington, aumenterebbe la dipendenza energetica dell’Europa da Mosca. Il
provvedimento, firmato da Trump i cui poteri non sono limitati dalla
messa in stato d'accusa, riguarda le imprese che
stanno costruendo l’opera, già realizzata all’80%. L’UE e Berlino ritengono
trattarsi di un’indebita ingerenza nella politica
energetica europea. Unica speranza, che l’impeachment arrivi presto e ponga fine all’arroganza di questo personaggio
che ricorda da vicino i prepotenti dei film western, per i quali esiste solo la
legge della Colt. L’ultima minaccia di questa specie di cow-boy è nei confronti
di quegli stati che preferiscono acquistare sistemi di difesa e tecnologie presso paesi terzi anziché negli Stati
Uniti.
Ma accanto ai pescicani di lungo corso, l’Europa deve guardarsi dall’aspirante
pescecane Boris Johnson: con il suo comportamento, rischia di porre termine al
Regno Unito, perché Scozia e Irlanda del Nord sono contrarie alla Brexit. Poiché
l’uscita della Gran Bretagna dall’UE potrebbe trasformare l’Inghilterra in una
colonia degli USA, per affrancarsi, Johnson potrebbe cedere alla tentazione di
riaprire quelle miniere di carbone chiuse da Margaret Thatcher perché inquinanti
e improduttive.
L'Europa, d'altro canto, punta sul "Green New Deal" che ridurrà le emissioni
creando posti di lavoro e migliorando la qualità della vita. Lo ha
detto la presidente europea, Ursula von der Leyen,
intervenendo al summit di Madrid.
A tale scopo, la Banca europea per gli investimenti ha già previsto uno
stanziamento di mille miliardi in dieci anni.
Non si conoscono i dettagli del piano ma la risposta dell’Europa potrebbe essere un notevole incremento delle
rinnovabili, eolico e fotovoltaico, anche
snellendo le procedure burocratiche per attivare i nuovi impianti.
Puntare sul metano e sulla geotermia, sviluppando il teleriscaldamento in modo
da chiudere tante piccole centrali termiche (molte ancora a carbone oltreché a
gasolio). Si tratta, ovviamente, di una pura e semplice risposta economica che
contribuirà solo in minima parte ad abbassare il surriscaldamento globale e
risolvere i problemi che pone. Una goccia nel mare. Ma il mare è fatto di tante
gocce.