A 50 anni da quel 12 dicembre 1969
ricordano le vittime
della strage fascista di Piazza Fontana
di Magali Prunai
Era il 12 dicembre di alcuni anni fa, un piccolo corteo sfila per le vie del
centro di Milano in direzione piazza Fontana. Un signore anziano, 60/65 anni
circa, si avvicina e mi chiede per cosa stiamo protestando. “Non stiamo
protestando, stiamo ricordando la strage di piazza Fontana”. Il signore, che
all’epoca era un bambino che viveva in una Milano operaia e operosa, non
ricordava l’accaduto. Anzi, lo ignorava del tutto.
Spesso mi è capitato di portare amici, nati e cresciuti a Milano, davanti alla
targa sulla facciata della ex Banca dell’Agricoltura perché non a conoscenza di
quella terribile pagina della storia italiana più recente. Nella maggior parte
delle volte si giustificano che sì, è vero, sono nati a Milano e ci vivono, ma
del resto la loro famiglia non è neanche lombarda. Cosa ne sanno? Io sono nata
17 anni dopo la strage, in tutt’altra città e regione, eppure quasi sempre il 12
dicembre sono in piazza Fontana. Perché quell’avvenimento non è una pagina di
cronaca nera cittadina, ma qualcosa di ben più complicato e ampio.
Sono le 16.37 di venerdì 12 dicembre. Nella Banca dell’Agricoltura una bomba,
sistemata ad arte sotto a un enorme tavolo di legno e borchie, tramutatosi in
una micidiale arma, esplode causando 17 morti e 88 feriti. Contemporaneamente
nella capitale esplodono altre tre bombe, una alla Banca Nazionale del Lavoro,
una in piazza Venezia e l’ultima all’Altare della Patria. Mentre a Milano,
un’altra bomba, fortunatamente inesplosa, verrà ritrovata in piazza della Scala,
piazza simbolo della città.
Fin da subito si parlò di terrorismo, chi di estrema destra, chi di estrema
sinistra, chi di anarchici. Ma dovremo aspettare il 2005 perché la magistratura
si pronunci in via definitiva. Il responsabile delle bombe del 1969 a Milano, ha
stabilito la Corte di Cassazione, fu un gruppo eversivo costituitosi in seno a
ordine nuovo, un gruppo politico di estrema destra sciolto per decreto legge
nella prima metà degli anni ’70 con l’accusa di aver ricostituito il disciolto
partito fascista, con a capo Franco Freda e Giovanni Ventura, non più
perseguibili in quanto precedentemente assolti in via definitiva.
Il 12 dicembre 1969 aprirà la strada a un periodo ancora più nero, quello del
terrorismo. Il tentativo di colpo di stato del 1970, le stragi nere e rosse,
come si chiamavano all’epoca, Brescia, Bologna, la strategia del terrore.
Sapere cosa è accaduto quel pomeriggio di 50 anni fa è un dovere civico di ogni
italiano, non si tratta di un ricordo amaro della sola città di Milano ma di una
nazione intera.
Sulla facciata del Duomo, pochi giorni più tardi, ai funerali delle 17 vittime,
un cartello: Milano s’inchina alle vittime innocenti e prega la Pace.
Dopo 50 anni oggi, come nel 1969, Milano e l’Italia intera s’inchinano alle
vittime e chiedono la Pace per: Pietro Dendena; Carlo Gaiani; Carlo Garavaglia;
Paolo Gerli; Luigi Meloni; Vittorio Mocchi; Gerolamo Papetti; Mario Pasi; Carlo
Perego; Oreste Sangalli; Angelo Scaglia; Carlo Silva; Attilio Valè; Giovanni
Arnoldi; Giulio China; Eugenio Corsini; Calogero Galatioto; Giuseppe Pinelli,
accusato ingiustamente della strage, morì cadendo “accidentalmente” dalla
finestra della questura di Milano. A lui il comune ha dedicato una targa e, a 50
anni dalla sua morte, il sindaco, Beppe Sala, piantando un albero in sua
memoria, ha chiesto scusa a nome di tutta la città alla famiglia.
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, presiedendo una giunta
comunale straordinaria, ha ricordato le vittime dicendo che in realtà sono state
19. Le 17 morte alla banca, Giuseppe Pinelli e il commissario Luigi Calabresi,
ucciso per vendicare la barbara morte dell’anarchico Pinelli.
Il presidente, nel suo discorso, ha parlato di depistaggi di una parte dello
Stato. Dopo 50 anni, forse, è giunto il momento che alcune verità coperte da
segreto vengano allo scoperto.