Eccezionale scoperta astronomica
a 15mila anni luce dalla Terra
circa 70 volte quella del Sole
Quel buco nero non dovrebbe esistere dicono gli astrofisici
Rappresentazione artistica del sistema composto dal buco nero Lb-1 e dalla sua
stella compagna. Crediti: Jingchuan Yu
Si trova a 15mila anni luce da noi e ha una massa mostruosa, per essere un buco
nero stellare: circa 70 volte quella del Sole – vale a dire, quattro o cinque
volte quella che era ritenuta la massa limite per un buco nero di questo tipo.
Si chiama Lb-1, e alla sua scoperta – guidata da Jifeng Liu dell’Accademia
cinese delle scienze e pubblicata oggi su Nature – ha preso parte anche Mario
Lattanzi dell’Istituto nazionale di astrofisica, il cui ufficio stampa ci ha
inviato questo testo.
Quanto sono grandi i buchi neri prodotti dal collasso di stelle massicce? Gli
astronomi stimano che nella nostra galassia, la Via Lattea, ci siano circa 100
milioni di buchi neri, e che nella maggior parte dei casi si tratti di buchi
neri piuttosto leggeri: non più di 15 volte la massa del Sole. Ora, però, un
team internazionale di scienziati guidato da Jifeng Liu, astrofisico
all’Osservatorio astronomico nazionale di Pechino dell’Accademia cinese delle
scienze, e del quale fa parte anche Mario Lattanzi dell’Inaf di Torino,
ha individuato un buco nero stellare con una massa spaventosa: circa
70 volte quella del Sole.
«Non so se sia il più grande mai trovato, ma la cosa straordinaria è che, stando
alle teorie attuali dell’evoluzione stellare, buchi neri stellari così
massicci non dovrebbero nemmeno esistere, perlomeno non nella nostra
galassia», dice Lattanzi da Shanghai, dove si trova in questi giorni per
lavorare insieme ad alcuni dei colleghi con i quali ha firmato l’articolo appena
pubblicato su Nature. «In realtà, indizi della loro esistenza ce ne sono,
ma arrivano da “osservazioni” di tipo del tutto diverso e indipendente: i
segnali registrati dagli interferometri per onde gravitazionali Ligo e Virgo,
attribuiti alla collisione fra buchi neri molto più massicci dei tipici buchi
neri stellari».
«Il mostro che abbiamo appena scoperto», aggiunge Liu, «si trova ad appena
15mila anni luce da noi. Lo abbiamo chiamato Lb-1, dal nome del nostro team.
Ora la palla passa di nuovo ai teorici, ai quali toccherà spiegare come possa
essere avvenuta la sua formazione in un ambiente con metallicità analoga a
quella del Sole».
Ma la massa monstre non è l’unico tratto insolito di questo buco nero.
Del tutto fuori scala è anche l’ampiezza dell’orbita che percorre. Lb-1 si trova
infatti in un sistema binario, e la compagna che gli danza attorno – una stella
di classe B – impiega ben 79 giorni per compiere un giro completo. Altrettanto
anomalo è il suo “silenzio”: a differenza di pressoché tutti i buchi neri
stellari fino a oggi identificati, Lb-1 non emette raggi X, e questo lo rende
anche assai difficile da individuare.
«Fino a pochi anni fa, i buchi neri di origine stellare potevano essere scoperti
solo quando divoravano gas da una stella compagna», spiega infatti Liu. «Questo
processo produce potenti emissioni di raggi X che, rilevate dai telescopi,
mostrano la presenza dell’oggetto collassato. Tuttavia, la stragrande
maggioranza dei buchi neri presenti nella nostra galassia di solito non è
impegnata in banchetti cosmici, e resta dunque per la maggior parte del tempo
nell’oscurità completa. Ecco perché sono solo circa due dozzine su 100 milioni i
buchi neri galattici a oggi identificati con certezza e misurati».
Come hanno dunque fatto Liu e colleghi per individuare Lb-1? Hanno utilizzato
una tecnica completamente diversa, basata non su un telescopio per raggi X bensì
su un telescopio ottico da 4
metri, Lamost, con il quale dalla Cina nord-orientale sono andati alla ricerca
di stelle che orbitano attorno a un oggetto invisibile.
«Lo studio è sostanzialmente spettroscopico e reso possibile dallo spettrografo
multifibre – ne ha a disposizione ben
quattromila! – a bassa risoluzione di Lamost», spiega Lattanzi, «che si trova su
una montagna di circa di 1000 metri in località Xinglong, a nordest di
Pechino, ed è raggiungibile in due ore di auto. Per oltre due anni Lamost ha
tenuto d’occhio circa tremila stelle brillanti, compiendo in media circa 30
misure di “velocità radiale” per ciascuna».
La misura delle variazioni della velocità radiale consente di individuare le stelle che si comportano come se fossero in un sistema binario, e se una di queste non ha una compagna visibile ecco che scatta l’allarme: potrebbe esserci un buco nero. È ciò che è accaduto osservando una brillante stella di classe spettrale B (di circa 12ma magnitudine) con una massa pari a 8 volte la massa solare. Analizzando il suo moto orbitale, è emerso che stava ruotando in circa 79 giorni attorno a un oggetto invisibile di 70 masse solari: il buco nero Lb-1, appunto
.
Alcuni dei ricercatori coinvolti nella scoperta del buco nero Lb-1: Da destra:
Zhaoxiang Qi, Mario Lattanzi, Mario Gai e Shilong Liao
«Abbiamo poi osservato ulteriormente il sistema Lb-1 con spettrografi ad
altissima risoluzione (e quindi precisione): 21 volte con lo spettrografo Osiris
al telescopio spagnolo da 10 metri GranTeCan, alle Canarie, e 7 volte con Hires
all’osservatorio del Keck. Questi dati ci hanno permesso di ricostruire
un’orbita spettroscopica piuttosto precisa», spiega Lattanzi. «Importante anche
il contributo del satellite
Gaia
dell’Agenzia spaziale europea, i cui dati astrometrici, rilasciati il 25 aprile
dello scorso anno, ci hanno permesso di confermare in modo chiaro la natura “non
singola” di questa sorgente, avvalorando quindi in modo indipendente la sua
appartenenza ad un sistema binario, ovvero di stella compagna del buco nero».
Ma il lavoro non si ferma certo qui. Liu e il suo team – che comprende
scienziati provenienti dalla Cina, dall’Australia, dai Paesi Bassi, dalla
Polonia, dalla Spagna, dagli Stati Uniti e, appunto, dall’Italia – stanno già
conducendo una nuova campagna di osservazione per misurare le proprietà di Lb-1
in modo ancora più preciso e scoprire altri sistemi simili. «Vogliamo scoprire
numerose dozzine di buchi neri», dice Liu, «per esplorare le popolazioni di
questi oggetti in tutta la loro varietà e comprendere meglio le fasi finali
della vita delle stelle massicce».