Per la prima volta un Presidente della Repubblica
interviene in un consiglio comunale
così il Capo dello Stato commemorando 17 vittime di Piazza Fontana
alle quali ha associato anche l’anarchico Pinelli
e il commissario Calabresi
Queste le sue parole
Signor Presidente del Consiglio Comunale,
Signor Sindaco,
Signore e Signori Consiglieri,
Signor Presidente della Regione,
Presidente Arnoldi e cari Familiari delle vittime,
ci troviamo a Palazzo Marino, luogo della democrazia della comunità milanese,
contro il quale la ferocia di terroristi neofascisti tentò di replicare, undici
anni dopo, la strage di Piazza Fontana.
Siamo qui, oggi, perché avvertiamo il dovere di ricordare, insieme, avvenimenti
per i quali si è fatta verità e si è cercata giustizia, tra difficoltà e
ostacoli, e sovente giungendo a esiti insoddisfacenti e vani.
L’identità della Repubblica è segnata dai morti e dai feriti della Banca
Nazionale dell’Agricoltura.
Un attacco forsennato contro la nostra convivenza civile prima ancora che contro
l’ordinamento stesso della Repubblica.
Uno strappo lacerante; recato alla pacifica vita di una comunità e di una
Nazione, orgogliose di essersi lasciate alle spalle le mostruosità della guerra,
gli orrori del regime fascista, prolungatisi fino alla repubblica di Salò, le
difficoltà della ricostruzione morale e materiale del nostro Paese.
Quel 1969 fu segnato da centoquarantacinque attentati dinamitardi.
Una bomba inesplosa venne rinvenuta presso la Banca Commerciale di piazza della
Scala, qui a Milano.
Il 12 dicembre altre tre bombe esplosero, a Roma, presso la sede della Banca
Nazionale del Lavoro, in via Veneto; presso l’Altare della Patria, presso il
Museo del Risorgimento; provocando altri sedici feriti.
In precedenza, il 25 aprile di quell’anno, due bombe alla Fiera Campionaria e
all’Ufficio Cambi della Banca Nazionale delle Comunicazioni, presso la Stazione
Centrale di Milano, avevano provocato il ferimento di diciannove persone.
Il 9 agosto, su otto treni, in diverse parti del Paese, erano esplosi ordigni
con il ferimento di dodici passeggeri.
Ancora, il 19 novembre, a Milano, nel corso di una manifestazione, venne ucciso
l’agente di Polizia Antonio Annarumma.
Si può ben comprendere il senso della definizione di “strategia della tensione”
utilizzata dalla stampa britannica per definire quella stagione.
In mezzo, il grottesco tentativo di golpe dell’ex comandante della X Mas di
Salò, Valerio Borghese.
Una spirale di violenza cieca e antipopolare, che doveva proseguire negli anni
successivi, con il progressivo emergere, accanto al terrorismo stragista di
matrice nera, di una aggressione alla vita non minore, ispirata a deliranti
slogan brigatisti.
Desidero ricordare Vittorio Occorsio ed Emilio Alessandrini, magistrati che
avevano indagato sulla strage di Piazza Fontana, assassinati pochi anni dopo,
l’uno da terroristi di destra, l’altro da terroristi di sinistra.
Ma i tentativi sanguinari di sottrarre al popolo la sua sovranità sono falliti.
La Repubblica è stata più forte degli attacchi contro il popolo italiano.
La violenza terroristica ha sottoposto a dura prova la coscienza civica dei
nostri concittadini.
Il comune sentimento di unità, patriottismo, solidarietà, è stato, con dolore ma
con fermezza, più consapevole e più saldo dopo quegli assalti.
Cinquanta anni dopo Piazza Fontana sentiamo, assieme ai familiari delle persone
assassinate in quella circostanza, il dolore profondo per una ferita non
rimarginabile recata alla nostra convivenza.
Convivenza che si riconosce in pieno nell’Associazione dei familiari che, in
questi anni, l’ha ben rappresentata reclamando verità e giustizia e preservando
memoria.
Immersi in pieno nella storia d’Italia, di cui l’attentato alla Banca Nazionale
dell’Agricoltura rappresenta una pagina triste, indelebile, affermiamo il dovere
del rispetto di una memoria collettiva, in una vicenda di cui si conoscono
origini e responsabilità.
Disinvolte manipolazioni strumentali del passato, persistenti riscritture di
avvenimenti, tentazioni revisioniste alimentano interpretazioni oscure entro le
quali si pretende di attingere versioni a uso settario, nel tentativo di
convalidare, a posteriori, scelte di schieramento, opinioni di ieri.
Come ha ricordato, nel 2012, il Presidente Napolitano, in occasione della
Giornata della memoria, “non brancoliamo nel buio di un’Italia dei misteri: ci
troviamo dinanzi a limiti da rimuovere e a problemi di giustizia e di verità
ancora da risolvere, ma in un’Italia che ha svelato gravissime insidie via via
liberandosene, che ha sconfitto il terrorismo, individuandone e sanzionandone a
centinaia gli sciagurati attori, e che ha salvaguardato i presidi della nostra
vita democratica”.
La istituzione, da parte del Parlamento, della Giornata della memoria delle
vittime del terrorismo interno e internazionale e delle stragi di tale matrice
ha voluto contribuire a questo scopo. Ha corrisposto alla esigenza di permettere
alla nostra comunità di elaborare e riconoscersi in una storia acquisita e
condivisa a fronte dei tragici avvenimenti di quelle stagioni.
Il trascorrere del tempo non colloca tra gli eventi vecchi e da rimuovere
l’attacco alla democrazia portato in quegli anni: non commetteremo l’errore di
pensare che siano questioni relegate a un passato più o meno remoto.
Sono la nostra identità, il nostro Patto civile a essere usciti segnati da
quegli avvenimenti, da Piazza Fontana. Occorre esserne consapevoli per non
correre il rischio di poterli rivivere.
Di fronte alla follia omicida i cittadini compresero che il loro contributo
protagonista alla salvaguardia dell’ordine democratico era prezioso; e
reagirono, come qui a Milano, in modo fermo e unitario.
Il patto collettivo di cittadinanza permise di difendere la Repubblica.
E’ quanto hanno testimoniato, sofferto e operato esponenti della società civile,
delle professioni, dei sindacati, dei partiti politici, delle istituzioni
locali, magistrati, uomini delle forze dell’ordine, docenti.
Una riserva di valori etici, persino inattesa, che vede, e vide allora, ricca la
nostra comunità: una riserva talvolta disertata.
Nelle vittime di Piazza Fontana trova radice l’interrogarsi del Paese sulla
propria natura e sul suo destino.
Quella stagione fu specchio dell’anima, della sofferenza del nostro popolo,
chiamato a rafforzare una fedeltà laica e civile ai valori della Costituzione:
il patto di cittadinanza - basato su principi fondativi, ideali civili, storia
plurale ma comune - lasciatoci in eredità dalla Lotta di Liberazione.
Una fedeltà chiesta anzitutto ai servitori dello Stato: uomini degli apparati di
sicurezza, Forze Armate, Magistratura, incaricati dalla comunità di vegliare
sulla serenità del vivere civile. Non si serve lo Stato se non si serve la
Repubblica e, con essa, la democrazia.
L’attività depistatoria di una parte di strutture dello Stato è stata, quindi,
doppiamente colpevole.
Un cinico disegno, nutrito di collegamenti internazionali a reti eversive,
mirante a destabilizzare la giovane democrazia italiana, a vent’anni
dall’entrata in vigore della sua Costituzione. Disegno che venne sconfitto.
Furono anni in cui la consapevolezza delle forze democratiche di dover battere
la strategia eversiva portò all’allargamento degli spazi di partecipazione nella
vita del Paese; con un crescente ruolo dei sindacati nella proposta e nel
raggiungimento di obiettivi di eguaglianza e crescita; con un nuovo peso alla
condizione giovanile, espressosi anche a mezzo delle lotte studentesche per la
riforma delle Università.
A quella primavera, all’autunno caldo del rinnovo dei contratti di lavoro, si
volle opporre un dicembre di sangue.
Lo sottolineò il Presidente Saragat, nel suo messaggio del 31 dicembre 1969,
segnalando come la violenza subita fosse “agli antipodi di quella forma di
generosa ribellione che anima la gioventù contro ogni ingiustizia e che oggi si
chiama contestazione, ma che sotto nomi diversi è sempre esistita”.
Forze sociali, Parlamento, Governo, seppero reagire, dando vita a una intensa
fase di riforme sociali, economiche, civili, nella vita del Paese.
Dalla legge sullo Statuto dei Lavoratori ai provvedimenti per istituire le
Regioni ordinarie, nel maggio 1970. Ancora: la legge per la tutela delle
lavoratrici madri, il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, gli organi
democratici nella scuola, la maggiore età a 18 anni, il nuovo diritto di
famiglia; in un disegno ampio di coesione e di inclusione sociale.
Il terrorismo continuò tuttavia – e forse anche per questo - a uccidere in
quegli anni, strappando vite di cittadini inermi e servitori della Repubblica,
come avvenne con le stragi di Peteano, di Brescia, di Bologna, nel vano
tentativo di provocare, nella pubblica opinione, un riflesso disperato
all’inseguimento di una sicurezza purchessia, disposto a barattare democrazia
con ordine presunto e malinteso.
La democrazia si dimostrò, al contrario, forte. In grado di battere il
terrorismo, con gli strumenti propri di uno Stato di diritto, senza rinunciare
mai al rispetto dei diritti fondamentali della persona.
Sono i valori della nostra Costituzione.
Il ricordo delle vittime di piazza Fontana sollecita ancor di più la Repubblica
ad affermarne la permanente validità.
Ciascun popolo porta, nel proprio intimo, le stimmate di una autobiografia fatta
di eroismi, gioie, viltà, dolori, atti di coraggio e misfatti. Su di essi
occorre saper fare, con rigore, verità e giustizia.
Nel momento in cui facciamo memoria delle vittime di piazza Fontana - e con
loro, con commozione, di Giuseppe Pinelli, del Commissario Luigi Calabresi, dei
quali saluto i familiari presenti - sappiamo di dover chiamare le espressioni
politiche e sociali del Paese, gli uomini di cultura, l’intera società civile, a
un impegno comune: scongiurare che si possano rinnovare in Italia le fratture
terribili in cui si inserirono criminalmente quei fatti.
Il destino della nostra comunità non può essere preda dell’odio e della
violenza.
Per nessuna ragione la vita di una sola persona può essere messa in gioco per un
perverso disegno di carattere eversivo.
Ai parenti delle vittime qui raccolti, cui mi rivolgo con rispetto, solidarietà
e affetto - e verso i quali l’Italia avverte di essere debitrice - dobbiamo
saper dire che ci sentiamo legati da un vincolo morale.
Italiani fra italiani, cittadini fra concittadini, per essere custodi attenti
del futuro del nostro Paese.
Nella fedeltà alle istituzioni della democrazia che ci sono state consegnate
dalla nostra Costituzione.
*Testo e foto: Ufficio stampa Presidenza della Repubblica