La data che segnò la fine di un’epoca

9 novembre 1989:

crolla il muro di Berlino

9 novembre 2019:

 sorgono nuove divisioni

 

di Magali Prunai

Un pezzo del muro di Berlino davanti al parlamento europeo, a Bruxelles

La sbarra che si alza, da est si corre a ovest, si piange, si festeggia, si canta, si balla. Lilli Gruber abbarbicata su quel muro che divide Berlino e l’Europa e che urla in diretta. Ricordi commoventi, immagini che fanno piangere ogni volta che le si rivede. Quel 9 novembre 1989 cadeva l'ultimo simbolo delle disastrose conseguenze dell'ultima guerra mondiale. Non esistevano più vincitori e vinti, non si aveva più paura di nulla perché uniti e in pace potevamo tutto come singoli e come un'unica entità europea.

Trent’anni dopo la paura del domani, la voglia di ricostruire delle barricate è tornata forte più che mai.

Crisi economiche, scarsità di lavoro, ondate di immigrazioni di massa, percezione più o meno veritiera di insicurezza diffusa, paura del diverso che ancora una volta fomentano in Europa odio e razzismo di ogni genere.

Gli odiatori di professione, gli “haters”, persone che nascondendosi dietro un dito, quel dito col quale battono sulla tastiera di computer e smartphone, inventano fatti, insultano, offendono, minacciano. E l’odio si propaga attraverso l’etere, si insinua poco a poco e attraverso i polpastrelli arriva a bocche e cervelli.

E’ notizia recente quella di una signora di 65 anni che ha chiesto scusa per gli insulti via social indirizzati al presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, portando a giustificazione il clima di profonda inquietudine e incertezza fomentato da svariate realtà politiche.

E’ sempre recente la creazione di una commissione parlamentare permanente con lo scopo di monitorare questo nuovo modo dell’odio di propagarsi. Non tutti sono stati favorevoli alla sua creazione, qualcuno ha  forse pensato che il credo religioso della sua ideatrice sia stato l’unico motore e sarà l’unico argomento da monitorare costantemente.

Niente di più falso, quando si parla di odio si intende l’odio tutto, in ogni sua forma.

Ma ecco che il dubbio si insinua, e come il venticello di rossiniana memoria, con gentilezza, dolcemente sibila nelle orecchie della gente, va di bocca in bocca finché non esplode, “come un colpo di cannone”.

Nella celebre aria di Rossini il “calunniato” soccombe sotto il pubblico ludibrio, in Italia la senatrice ispiratrice di questa commissione riceve tante e tante manifestazioni di disprezzo e odio da renderle necessaria una scorta della polizia.

Liliana Segre, nominata Senatrice a vita nel 2018, 89 anni, sopravvissuta ad Auschwitz, vittima di odio perché ebrea e, soprattutto, perché sopravvissuta.

Sì, essere sopravvissuta, ricordare che quell’orrore è veramente esistito e poter testimoniare ogni giorno che veramente persone innocenti, colpevoli di nulla, hanno vissuto sulla propria pelle tutti i giorni quell’orrore è la sua colpa più grande.

Finché ci saranno ancora sopravvissuti di quell’orrore potremo porre un argine a questo revisionismo sempre più dilagante. Finché esisteranno testimoni diretti pronti a smuovere le coscienze di tutti, come quelle di quei 5mila che a Milano, radunatesi al binario 21 sotto a una pioggia battente e col freddo, hanno dimostrato solidarietà alla Senatrice Segre, allora potremo sperare che quell’enorme polveriera che chiamiamo Europa non esploda di nuovo.

Noi, generazioni in grado di opporci a gran voce lo dobbiamo alle generazioni che verranno, perché conoscano solo la pace. Lo dobbiamo a quelle generazioni che quel lontano 9 novembre 1989 presero a picconate il muro che li divideva dai propri fratelli. Lo dobbiamo a quei brandelli di vita sequestrati all’arrivo in ogni campo e dal quale non sono più usciti.  

Mentre a Milano si svolgeva quella che forse passerà alla storia come la solidarietà dei gigli bianchi, fiori scelti appositamente perché simbolo di purezza e candore, in Polonia si manifestava contro l’Europa, dando fuoco alle sue bandiere, e incitando all’odio. Di nuovo, ancora, oggi come allora. “La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”.

 Il Galileo