I minerali del futuro digitale
di Bartolomeo Buscema
Sono quindici elementi chimici, appartenenti alla serie dei lantanoidi insieme a
scandio e ittrio, che costituiscono le cosiddette” terre rare”; sebbene non
siano né terre, né tantomeno rare. Hanno nomi che molti di noi forse sentono per
la prima volta: lantanio, terio, prasedonio, neodimio, europio, gadolinio,
disprosio. Eppure sono contenuti in molti oggetti che noi usiamo
quotidianamente: smartphone e auto elettrica, non potrebbero funzionare senza
alcuni di tali metalli. Alcuni di questi elementi, per la loro particolare
luminescenza e la loro superconduttività elettrica sono, infatti, il vero cuore
pulsante dell’economia digitale senza i quali non ci sarebbero né gli
smartphone, né i tablet. Ad esempio, senza l’indio non ci sarebbe il touch
screen; senza ittrio, disprio, europio, gadolino, lantanio e terbio gli schermi
non sarebbero colorati. Nel mondo del digitale, che è percepito come qualcosa
d’impalpabile, simile al software, tali elementi la fanno da padroni e, quindi,
chi controlla il ciclo delle materie prime, dall’estrazione alla lavorazione
sino allo smaltimento, avrà un ruolo sempre più egemone. Molto di più dei grossi
colossi del WEB da Google a Facebook, tanto per citarne alcuni. Se guardiamo i
dati disponibili relativi al 2017, la Repubblica Popolare Cinese ha estratto nel
proprio territorio105.000 tonnellate di minerali contenenti ossidi di terre rare
(circa l’80% del mercato mondiale), mentre gli Stati Uniti solo 43.000
tonnellate negli ultimi venti anni. Come suggerisce l’etimologia del nome
(lanthanein, dal greco “restare nascosto”) tali elementi si trovano dentro
ammassi rocciosi di bastnasite e monazite e sono molto difficili da separare a
causa delle loro proprietà chimiche
e fisiche molto simili. Non solo, l’estrazione e lavorazione delle terre rare è
un processo molto inquinante perché richiede l’utilizzo di materiali tossici per
il processo di raffinazione. Per non parlare delle scorie radioattive contenute
negli scarti di lavorazione. Pur in presenza di tali problemi ambientali, la
Cina, grazie al monopolio delle terre rare, ha acquisito fette di mercato sempre
più rilevanti anche nel mondo dei computer e degli smartphone. Per questi
ultimi, registriamo che nel 2010, due anni dopo la nascita del primo Iphone, la
Cina ha ridotto le proprie esportazioni di terre rare di circa il 70%,
ufficialmente per questioni ambientali. Uno scenario che ha determinato
l’insediamento di molte fabbriche straniere in joint venture con un socio
cinese, e quindi anche il trasferimento di know how. Non è un caso che Huawei è,
oggi, il secondo produttore di smartphone al mondo dopo Samsung, seguito da
Apple. E’ di questi giorni la cronaca della guerra commerciale che vede
contrapposti Stati Uniti e Cina per il caso Huawei. Un braccio di ferro che ha
portato, nei giorni scorsi, all’annuncio della probabile sospensione delle
licenze software di Google al gigante cinese degli smartphone. Il quale, detto
per inciso, ha già un suo sistema operativo da installare sui propri smartphone.
Ma l’economia delle terre rare non si ferma qui. Ad esempio, con il neodimio
combinato con boro e ferro, si può realizzare un magnete potentissimo, ancorché
fisicamente piccolissimo, che installato negli auricolari ergonomici offre una
qualità sonora eccellente. E siamo solo all’inizio. Pensiamo allo scenario
futuro caratterizzato da automobili a guida autonoma, da robot domestici
intelligenti che utilizzano anch’essi le terre rare, e anche ai tanti altri
dispositivi tecnologici che, oggi, non possiamo nemmeno immaginare. I nuovi
minerali del futuro saranno sempre più pervasivi, e forse è giunta l’ora di
imparare i loro nomi. Per non rimanere lessicalmente
indietro.