L’Event Horizon Telescope, collaborazione internazionale che vede la
partecipazione di centri di ricerca in tutto il mondo,
svela oggi la foto del secolo. Due ricercatrici dell’Inaf (Istituto
nazionale di astriofisica), Elisabetta Liuzzo e Kazi Rygl, sono tra i
protagonisti della rivoluzionaria osservazione del gigantesco buco nero nel
cuore della galassia Messier 87, come parte del progetto BlackHoleCam. Un altro
italiano, Ciriaco Goddi, è segretario del consiglio scientifico del consorzio
Eht e responsabile scientifico del progetto BlackHoleCam
L’Event Horizon Telescope (Eht) è un gruppo di otto radiotelescopi da terra che
opera su scala planetaria, nato grazie a una collaborazione internazionale e
progettato con lo scopo di catturare le immagini di un buco nero. Oggi, in una
serie di conferenze stampa coordinate in contemporanea in tutto il mondo, i
ricercatori dell’Eht annunciano il successo del progetto, svelando la prima
prova visiva diretta mai ottenuta di un buco nero supermassiccio e della sua
ombra.
Questo incredibile risultato viene presentato in una serie di sei articoli
pubblicati in un numero speciale di The Astrophysical Journal Letters.
L’immagine rivela il buco nero al centro di Messier 87, un’enorme galassia
situata nel vicino ammasso della Vergine. Questo buco nero dista da noi 55
milioni di anni luce e ha una massa pari a 6,5 miliardi e mezzo di volte quella
del Sole.
L’Eht collega gli otto radiotelescopi dislocati in diverse parti del pianeta
dando vita a un telescopio virtuale di dimensioni pari a quelle della Terra, uno
strumento con una sensibilità e una risoluzione senza precedenti. L’Eht è il
risultato di anni di collaborazione internazionale e offre agli scienziati un
nuovo modo di studiare gli oggetti più estremi dell’universo previsti dalla
teoria della relatività generale di Einstein, proprio nell’anno del centenario
dell’esperimento storico che per primo ha confermato questa teoria.
«Quello che stiamo facendo è dare all’umanità la possibilità di vedere per la
prima volta un buco nero – una sorta di ‘uscita a senso unico’ dal nostro
universo», spiega il direttore del progetto Eht Sheperd Doeleman del Center for
Astrophysics della Harvard University. «Questa è una pietra miliare
nell’astronomia, un’impresa scientifica senza precedenti compiuta da un team di
oltre 200 ricercatori».
I buchi neri sono oggetti estremamente compatti, nei quali una quantità
incredibile di massa è compressa all’interno di una piccola regione. La presenza
di questi oggetti influenza l’ambiente che li circonda in modo estremo,
distorcendo lo spazio-tempo e surriscaldando qualsiasi materiale intorno.
«Se immerso in una regione luminosa, come un disco di gas incandescente, ci
aspettiamo che un buco nero crei una regione scura simile a un’ombra, un effetto
previsto dalla teoria della relatività generale di Einstein che non abbiamo mai
potuto osservare direttamente prima», aggiunge il presidente dell’Eht Science
Council Heino Falcke della Radboud University, nei Paesi Bassi. «Quest’ombra,
causata dalla curvatura gravitazionale e dal fatto che la luce viene trattenuta
dall’orizzonte degli eventi, rivela molto sulla natura di questi affascinanti
oggetti e ci ha permesso di misurare l’enorme massa del buco nero di M87».
Vari metodi di calibrazione e di imaging hanno rivelato una struttura ad anello
con una regione centrale scura – l’ombra del buco nero – risultato che ritorna
nelle molteplici osservazioni indipendenti fatte dall’Eht.
Le
osservazioni dell’Eht sono state possibili grazie alla tecnica nota come
Very-Long-Baseline Interferometry (Vlbi) che sincronizza le strutture dei
telescopi in tutto il mondo e sfrutta la rotazione del nostro pianeta per andare
a creare un enorme telescopio di dimensioni pari a quelle della Terra in grado
di osservare ad una lunghezza d’onda di 1,3 mm. La tecnica Vlbi permette all’Eht
di raggiungere una risoluzione angolare di 20 micro secondi d’arco. Un livello
di dettaglio tale da permetterci di leggere una pagina di giornale a New York
comodamente da un caffè sul marciapiede di Parigi.
I telescopi che hanno contribuito a questo risultato sono stati Alma, Apex, il
telescopio Iram da 30 metri, il telescopio James Clerk Maxwell, il telescopio
Alfonso Serrano, il Submillimeter Array, il Submillimeter Telescope e il South
Pole Telescope. L’enorme quantità di dati grezzi – misurabile in petabyte,
ovvero milioni di gigabyte – ottenuta dai telescopi è stata poi ricombinata da
supercomputer altamente specializzati ospitati dal Max Planck Institute for
Radio Astronomy e dal Mit Haystack Observatory.
La costruzione dell’Eht e le osservazioni annunciate oggi rappresentano il
culmine di decenni di lavoro osservativo, tecnico e teorico. Un esempio di
lavoro di squadra globale che ha richiesto una stretta collaborazione da parte
di ricercatori di tutto il mondo. Tredici istituzioni partner hanno lavorato
insieme per creare l’Eht, utilizzando sia le infrastrutture preesistenti che il
supporto di diverse agenzie. I principali finanziamenti sono stati forniti dalla
US National Science Foundation (Nsf), dal Consiglio europeo della ricerca
dell’UE (Erc) e da agenzie di finanziamento in Asia orientale.
«L’Eso ha l’onore di aver contribuito in modo significativo a questo risultato
attraverso la sua leadership europea e il suo ruolo chiave in due dei telescopi
componenti di Eht, che si trovano in Cile – Alma e Apex», commenta il direttore
generale dell’Eso Xavier Barcons. «Alma è la struttura più sensibile dell’Eht e
le sue 66 antenne ad alta precisione sono state fondamentali per questo
successo», conclude Ciriaco Goddi, segretario del consiglio scientifico del
consorzio Eht, che si è occupato della calibrazione Alma per l’Eht.
L’Inaf può vantare un importante coinvolgimento nella rivoluzionaria
osservazione come parte del progetto europeo
BlackHoleCam (Bhc), di cui lo stesso Goddi è il project scientist. Elisabetta
Liuzzo (foto a destra) e Kazi Rygl dell’Istituto nazionale di astrofisica (all’Ira di Bologna)
sono due ricercatrici del nodo italiano dell’Alma Regional Centre, uno dei sette
che compongono la rete europea che fornisce supporto tecnico-scientifico agli
utenti di Alma, e che è ospitato proprio presso la sede dell’Inaf di Bologna.
Nel 2018 entrambe sono entrate a far parte del progetto Bhc finanziato
dall’Erccome partner del progetto EHT, e fanno a tutti gli effetti parte
dell’Event Horizon Telescope Consortium, in cui sono membri dei gruppi di lavoro
che si occupano di calibrazione e imaging.
«La calibrazione dei dati Eht è stata una grande sfida: i segnali astronomici
sono deboli nella banda millimetrica, e distorti per effetto dell’atmosfera, che
varia molto velocemente a queste frequenze», sottolinea Liuzzo, che insieme a
Rygl ha partecipato allo sviluppo di uno dei tre software usati per la
calibrazione dei dati Eht.
Pur operando come un unico strumento che abbraccia il globo l’Eht, infatti,
rimane una miscela di stazioni con design e operazioni diverse. Questo ed altri
fattori, insieme alle sfide associate alla Vlbi, hanno dato impulso allo
sviluppo di tecniche specializzate di elaborazione e calibrazione. «Tre diversi
gruppi di ricerca, ognuno dei quali ha utilizzato un diverso software di
calibrazione, hanno convalidato in modo incrociato questi dati e hanno trovato
risultati coerenti», specifica Rygl, aggiungendo che «è estremamente
gratificante vedere come i dati calibrati possano essere tradotti in fisica dei
buchi neri».
«Il
progetto Black Hole Cam è partito nel 2014 con l’obiettivo di misurare,
comprendere e ‘vedere’ i buchi neri e fare test sulle principali previsioni
della teoria della relatività generale di Einstein», aggiunge Ciriaco Goddi.
«Nel 2016 il progetto è entrato a far parte, insieme ad altri partner
internazionali, dell’Event Horizon Telescope Consortium visto il comune
obiettivo: ottenere la prima immagine di un buco nero».
«Abbiamo raggiunto un risultato che solo una generazione fa sarebbe stato
ritenuto impossibile», conclude Doeleman. «I progressi tecnologici e il
completamento dei nuovi radiotelescopi nell’ultimo decennio hanno permesso al
nostro team di assemblare questo nuovo strumento, progettato per vedere
l’invisibile».
Un risultato incredibile, che prometta di essere un punto non di arrivo ma di
partenza nella strada per la comprensione del nostro universo.
Testo e foto tratti da Media INAF,
notiziario on line dell’istituto nazionale di astrofisica
https://www.media.inaf.it/