Il cosmonauta Leonov
e la prima passeggiata spaziale
di Giuseppe Prunai
Lo spunto per rievocare la prima passeggiata spaziale (EVA extra vehicular
activity) è del tutto fortuita e nasce in un ospedale dove sono stato ricoverato
per fare fronte ad una patologia. Porte delle camere semiaperte per facilitare
il passaggio di medici e infermieri e dalla stanza di fronte alla mia sento
parlare in russo. C’è un’infermiera russa (ormai le italiane si contano sulle
dita di una mano), Tatiana, alla quale chiedo chi sia il mio dirimpettaio. Con
una punta di orgoglio, la ragazza mi spiega che il paziente della stanza di
fronte è un cosmonauta sovietico, il primo ad avere effettuato una passeggiata
spaziale.
“Allora
– intervengo – è Leonov (foto a sinistra) che portò a
termine una passeggiata spaziale di 12 minuti che per poco non si
concluse drammaticamente”.
Intanto mia moglie e la Leonova hanno
fatto amicizia comunicando un po’ in inglese, un po’ a gesti e scambiandosi
biscotti e cioccolatini mentre la memoria mi rimanda al
marzo 1965 quando Aleksej Archipovic Leonov, pilota collaudatore
dell’aviazione sovietica, decollò a bordo della Voschod 2. Una volta in orbita,
Leonov indossò una tuta particolare, si legò in vita una corda di sicurezza
lunga quattro metri e mezzo ed entrò nella camera di decompressione della
navicella e da lì si librò nello spazio. Com’è la terra? gli chiesero dal centro
di controllo. E lui, di rimando: rotonda. Dopo 12 minuti, Leonov decise di
rientrare. E qui si sfiorò il dramma. Per effetto del vuoto assoluto esistente
nello spazio, la tuta si era gonfiata a dismisura e il cosmonauta, trasformatosi
nell’omino della Michelin, non passava dal portello della camera di
decompressione della capsula spaziale. Tentò allora il tutto per tutto, sgonfiò
manualmente la tuta bucandola riuscendo ad infilarsi attraverso il portello per
rientrare a bordo. Ma le disavventure per Leonov e per il suo compagno di
viaggio Pavel Ivanovic Beljaev non erano finite. Non funzionò il sistema di
guida automatico e ci furono dei
problemi per l’accensione dei retrorazzi frenanti. Leonov e il suo compagno
dovettero fare tutto manualmente e la Voschod atterò
a grande distanza dal punto previsto. I soccorsi arrivarono dopo due giorni.
Questo il racconto che Leonov mi fece alcuni mesi dopo, quando lo incontrai ad
un salone aerospaziale e mi confidò: “Continuo a ripensare alla missione e mi
accorgo di errori che avremmo potuto evitare. Poteva essere una tragedia. Era
tutto al limite”. Tutto comprensibile visto che si era agli inizi dell’attività
spaziale.
Il cosmonauta Leonov in orbita
Mi disse queste parole in inglese, scavalcando il traduttore ufficiale fornito
dall’ambasciata. Quando volli allargare il discorso ai satelliti spia, il
traduttore sbottò: mi dispiace, è tardi, abbiamo un altro impegno e si portò via
il cosmonauta che mi rivolse un sorriso malizioso.
Nella stanza d’ospedale né io né lui sorridiamo.
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Eravamo giovani, sospira Leonov che ha due anni più di me.
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Eravate giovani, sospirano le mogli, come se ad invecchiare fossimo stati
soltanto noi due.