tra razionalità e trascendenza
di Pietro F. Bayeli
Una celebre inquadratura del
film “Vacanze Romane”: Gregory Peck mostra a Audrey Hepburn la Bocca della
verità, il famoso mascherone situato nel patio della chiesa romana di Santa
Maria in Cosmedin. Secondo la leggenda, introducendo nella “bocca” la mano
questa verrà mozzata se non si dirà la verità. Gregory Peck, nasconde la mano
nella manica della giacca spaventando la Hepburn
Esistono, a mio modesto modo di vedere,
almeno due tipi di verità. Quella razionale, concreta, reale, verificata,
sperimentata, scientifica; quella metafisica, trascendentale, partorita più che
dalla mente dell’uomo da un vortice di sentimenti, di stati d’animo, un bisogno
di appagamento tratto da
suggestioni, da immaginazioni, da ideazioni più o meno fantasiose, fantastiche,
trasognate, spirituali, addirittura spiritiche.
Nel primo caso la ricerca della verità si fonda su dati razionali, sperimentati,
comprovati e tuttavia suscettibili di ulteriori accomodamenti
se non addirittura di un annullamento per nuove affioranti verità,
in precedenza ignorate. La verità nata dalla ragione è quindi fluttuante,
relativa, passiva di mutamenti, innovazioni, aggiustamenti se non addirittura di
negazione e completa sostituzione, è una luce che squarcia l’oscurantismo
dell’ignoranza, lampeggia nel buio dell’ignoto, non sempre riesce a splendere
luminosamente, fissa ed immutabile. Sinonimi di questo tipo di verità sono oltre
che la luce, la conoscenza, la conquista del sapere, la gioia della
comprensione. E’ questa la verità tipica della scienza che conduce alle
conquiste tecnologiche più avanzate ed è in continuo divenire, ma è anche tipica
della filosofia nell’intimo studio dell’uomo e del suo pensiero. In campo
sanitario sono le biotecnologie e lo studio della psiche che hanno aperto grandi
orizzonti di conoscenza, di
terapia, di sconfitta di molti mali.
L’altra verità è quella rivelata: ma rivelata da chi? Dall’uomo stesso che, nel
suo bisogno di idealizzazione, trascende la propria personalità e si immedesima
in una spiritualità superiore, in una dimensione metafisica, trascendentale, e,
per il credente, in una divina
figura di Dio. E’ questo un bisogno
connaturato alla persona umana, in affannosa ricerca di una perfezione ch’egli
non possiede, una carenza di cui è
consapevole. Si immaginano allora verità assolute, astratte,
indimostrabili, un fuoco di passioni e di sentimenti valorizzati, vissuti
unicamente per fede. Contro la mutevolezza dell’uomo e del mondo che lo
circonda, contro un costante relativismo di rapporti e di valori umani,
ambientali, naturali, la ricerca suggestiva di una eterna immutabile
certezza, conduce l’uomo attraverso i suoi sentimenti, non la razionalità, al
dogma immutabile della perfezione. Verità assoluta,
non dimostrata, scientificamente non dimostrabile, creata da un bisogno
dall’umana natura, accettata, sostenuta per fede, utile a molti, se non a tutti,
per un completamento, una
soddisfazione, un benessere della propria individualità, della propria cultura e
identità.
Due verità quindi: l’una razionale, relativa,
l’altra sentimentale, assoluta, prevalenti ora l’una, ora l’altra a
seconda della personalità del soggetto: chi fermamente crede nella assoluta
validità della scienza, fino ad
escluderne un
postulato sentimentale, fino
addirittura ad una disumanizzazione dei risultati scientifici; chi invece si
estranea dall’ambiente che lo circonda, dal mondo, per concentrarsi in una
passione di amorosi sensi verso il sacro,
l’intangibile, il puro, l’eterno, il mistico, lo spirituale.
Personalmente mi trovo quasi nel mezzo, ma con un leggero spostamento verso il
razionale. Una vita da ricercatore di verità scientifiche ha costruito in me una
forte base di razionalità e di logica. Consapevole tuttavia della triplice
formazione dell’uomo in sensi, spirito e ragione, pur esaltando la mia ragione,
non posso ignorare la mia parte
sensibile e la mia anima. Mi completo allora nella consapevolezza di una
razionale realtà ma anche nel godimento di spirituali sensazioni di perfezione,
di eternità. Ignoro se questi
esistono al di fuori della mente dell’uomo in una effettiva ed affettiva
raffigurazione divina di una Sacra Famiglia,
di un Dio Creatore. Le ritengo immagini di perfezione a cui aspirare,
nello stesso tempo mete idealizzate a cui tendere nella propria soddisfazione di
uomo giusto, equilibrato nel proprio comportamento etico e felice nella
consapevolezza di una propria legge morale. Un uomo che spera e
crede di avere vissuto la propria vita cercando di non essere un
ipocrita.
La filosofia che non è altro che
curiosità, desiderio di conoscenza, si immerge voluttuosamente nel mare magnum
delle verità relative ed assolute, intendendo per conoscenza non solo sapere,
conoscere, ma soprattutto capire, intelligere, compenetrare, conquistare, far
propria, insomma giungere a:
“M’ILLUMINO D’IMMENSO”
Giuseppe Ungaretti.
E’ solo allora che si è raggiunta la verità, la luce, l’illuminazione del nostro
sapere. Un sapere ancora parziale, relativo ma vero se compenetrato, capito,
fatto proprio.
Piccoli passi nella conoscenza di una verità relativa, parziale, cioè un quid
infinitesimale rispetto alla verità assoluta, quella dei massimi sistemi,
universale, infinita. E’ questa la conoscenza che ci manca e poiché infinita non
riusciremo mai a compenetrare se non a piccoli, minuscoli, periferici morsi di
sapere.
La verità relativa, per noi esseri
umani, esiste solo a piccole, minuscole, faticose, relative porzioni,
alle quali aspiriamo con il desiderio e la voluttà della conquista.
L’altra la verità assoluta è per noi umani, ignota, inesplorata, infinita,
imperscrutabile, solo adombrabile, ma
proprio per questo furiosamente agognata.