di Giuseppe Prunai
Natale di sangue. Con questa espressione la storia ricorda un avvenimento di
circa un secolo fa, quando al termine della seconda Guerra Mondiale, nel bel
mezzo delle trattative per la Pace di Versailles, Dannunzio si impadronì della
città di Fiume il cui possesso venne negato all’Italia dalle altre potenze
vincitrici e la sgangherata diplomazia italiana dell’epoca non seppe rivendicare
con la necessaria energia. L’imbarazzato governo italiano, temendo negative
ripercussioni sulle trattative di Versailles, inviò, nei giorni di Natale. la
flotta a cingere d’assedio e a bombardare la città obbligando Dannunzio e i suoi
legionari alla resa. Da qui scaturì il concetto di “vittoria mutilata” che fu un
cavallo di battaglia di Mussolini.
Natale di Sangue. Quanti ne abbiamo visti! Il pensiero corre al 23 dicembre 1984
quando il rapido 904, proveniente da Napoli e diretto a Milano, saltò in aria
per l’esplosione di una bomba a bordo, in prossimità della stazione Vernio,
sull’Appennino Toscano, provocando la
morte di 17 persone e il ferimento di altre 267. Lo ha ricordato il presidente
della Repubblica, Mattarella.
Ha
detto il Presidente:
“La bomba collocata sul treno e fatta esplodere nella galleria, tra le stazioni
di Vernio e San Benedetto Val di Sambro, nel più grande disprezzo per la vita
umana, venne usata come mezzo per sferrare un attacco all’ordinamento
democratico, per creare sgomento e disorientamento, per tentare di incrinare il
legame tra i cittadini e le istituzioni.
A questa aggressione la comunità nazionale reagì con unità, riaffermando i
principi che sono alla base del nostro patto costituzionale, e sconfiggendo,
così, il disegno dei terroristi. Fu una stagione molto dura, con ripetute,
gravissime ferite inferte al Paese. L’attentato sul treno rapido 904 segnò un
innesto criminale, mettendo in luce minacciose complicità tra mafia e terrorismo
stragista, come hanno dimostrato le indagini, i processi e le sentenze.
La Repubblica è stata capace di sconfiggere le strategie della tensione e di
rispondere ai ricatti eversivi senza venir meno ai valori costitutivi della
nostra comunità di vita: è questo un insegnamento fondamentale che non dobbiamo
dimenticare nell’affrontare le insidie che provengono dalle nuove forme di
terrorismo e dalla criminalità organizzata”.
Un attentato che fu una replica della strage del treno Italicus (notte sul 4
agosto 1977; 12 morti, 48 feriti) avvenuta sulla stessa linea ferroviaria, nei
pressi di San Benedetto Val di Sambro, a tre anni di distanza dalla strage alla
stazione di Bologna (2 agosto 1980, 85 morti e 200 feriti).
La matrice degli attentati: l’eversione nera e la criminalità organizzata,
quella stessa che il 27 maggio 1993 mise a segno, l’attentato di via dei
Georgofili, a Firenze, a due passi dalla Galleria degli Uffizi, che provocò la
morte di cinque persone e il ferimento di altre 48.
E poi ci sono le stragi ai mercatini di Natale. A Berlino, il 19 dicembre 2016,
(12 morti e 56 feriti) e quello recentissimo a Strasburgo, città simbolo
dell’Unione Europea (11 dicembre di
quest’anno: 5 morti ed oltre 10 feriti). Fra le vittime, un giornalista italiano
di 29 anni, Antonio Megalizzi, che lavorava per un network di radio
universitarie. Le sue passioni: il giornalismo
radiofonico e l’Europa che lui raccontava quotidianamente
alla radio. Colpito da un proiettile di pistola conficcatosi tra la base
del cranio e il midollo spinale, era stato dichiarato inoperabile dai sanitari
di Strasburgo e, dopo alcuni giorni di coma, si è spento.
Ai funerali, nel Duomo di Trento gremito all’inverosimile, l’arcivescovo ha
definito l’assassinio di Antonio “una violenza assurda che ha tramortito una
comunità” ed ha aggiunto che il giovane “sognava un’Europa senza confini”.
Megalizzi ha sempre contestato quel vento antieuropeista che sempre più
frequentemente soffia in alcuni paesi come il nostro. Mutuando da Dante, si
potrebbe definire Megalizzi “colui che la difese a viso aperto”.
Un altro episodio da Natale di Sangue è avvenuto ai primi del mese, durante il
ponte dell’Immacolata, a Corinaldo, in provincia di Ancona, il paese che dette i
natali a Santa Maria Goretti.
Cinque ragazzini tra i quattordici e i sedici anni e una mamma che accompagnava
la figlia ad un concerto sono morti travolti nella calca nella discoteca
“Lanterna azzurra”. Una tragedia che ha dell’assurdo. Alla sua origine,
l’avidità dei gestori del locale che, stando alle prime indagini, avrebbero
consentito l’ingresso ad un numero di persone
eccessivo rispetto alla capienza dell’impianto, e la stupidità di un
ragazzino che avrebbe spruzzato dello spray al peperoncino forse con l’intento
di rubacchiare qualcosa. Al chiuso, in un’atmosfera già satura di anidride
carbonica
per la presenza di così tante persone, l’aria è divenuta irrespirabile sì da
spingere molti ragazzi a cercare di uscire dal locale. Qui il dramma dovuto alla
calca, all’insufficienza delle uscite di sicurezza, al cedimento di una
balaustra che ha provocato la rovinosa caduta di molti giovani.
Ha detto il presidente Mattarella: “E’ una tragedia che lascia impietrititi. Il
pensiero di tutti è di vicinanza e solidarietà alle famiglie delle giovanissime
vittime, al loro dolore lacerante e alle condizioni dei tanti feriti con
l’augurio di pronta guarigione. Si dovrà fare piena luce sull’accaduto,
accertando eventuali responsabilità e negligenze. I cittadini hanno diritto alla
sicurezza ovunque. Nei luoghi di lavoro come in quelli di svago. La sicurezza
deve essere assicurata con particolare impegno nei luoghi di incontro affollati,
attraverso rigorose verifiche e controlli. Non si può morire così”.
Gli ha fatto eco il Papa che ha
ricordato le giovani vittime all’Angelus.
Fra le cause della strage, anche quella psicologica, il cosiddetto “effetto
gregge”, come spiega in questa nota Emiliano Cristiani dell’Iac-Cnr (istituto
applicazione al calcolo – consiglio nazionale delle ricerche).