150 anni fa la scomparsa di Gioacchino Rosini

Stendhal: Un Napoleone della musica

Mazzini: Un titano di potenza e audacia

 

di Magali Prunai

 

Il Busto di Rossini al Teatro alla Scala

 

“Lo invidio più di chiunque abbia vinto il primo premio in denaro alla lotteria della natura. Dopo la morte di Napoleone non si trova un altro uomo di cui si parli tutti i giorni a Mosca come a Napoli, a Londra come a Vienna, a Parigi come a Calcutta”. Con queste lusinghiere e ammirate parole Stendhal (foto a sinistra) parlava di Gioacchino Rossini, forse uno dei compositori più all’avanguardia e geniali mai esistiti.

Se quell’altro Napoleone era conosciuto “, dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno” e venne inondato di gloria per le sue battaglie di conquista, quest’altro Napoleone fu conosciuto, amato e invidiato per qualcosa di molto più piacevole e meno pericoloso della guerra: la musica.

Giovacchino Antonio Rossini, o più semplicemente Gioacchino Rossini, nacque a Pesaro nel 1792 ed è sicuramente noto per la sua opera più rappresentata, il Barbiere di Siviglia.

Ironia della sorte, la sua opera più conosciuta ed eseguita fu, alla sua prima rappresentazione nel 1816, un fiasco colossale. Rappresentata col titolo “Almaviva, o sia l’inutile precauzione”, per non dare l’idea di aver voluto copiare in tutto o in parte il noto Barbiere di Siviglia di Giovanni Paisiello del 1782, fu comunque inondata di proteste e fischi. Proteste e fischi che, però, già alla seconda rappresentazione vennero sostituiti da applausi e acclamazioni.

E sì, perché al grande genio di Rossini accadeva spesso di essere fischiato a una prima, per poi essere applaudito e osannato alle rappresentazioni successive. I motivi? Un po’ perché artisti che non godevano della stessa fama pagavano appositamente degli spettatori per fischiare il loro rivale, un po’ perché spesso il compositore consegnava partiture e libretti ai suoi esecutori il giorno stesso della prima, saccheggiando spesso il suo stesso repertorio per essere più veloce. Ne nasceva, come è ovvio, un’esecuzione poco armoniosa e tentennante.

Ma il genio di Rossini non sta solo nell’aver copiato se stesso ingannando per secoli i suoi ammiratori, che continuano ad ascoltarlo ed eseguirlo nonostante overture o arie d’opera più famose siano tutte molto simili fra loro, ma, soprattutto, nella sua innovazione stilistica.

Brillantezza ritmica, uso del “crescendo” in modo da creare un pathos quasi frenetico tanto da chiamarsi “crescendo rossiniano”, una descrizione quasi visiva della scena attraverso la sola musica. Rossini, poi, fu il primo a scrivere in modo chiaro le fioriture dei cantanti, non un gorgheggio di Rosina, non un singhiozzo di Cenerentola non è stato previsto, studiato nella metrica e nella sua musicalità e messo nero su bianco per l’esecuzione. Un lavoro certosino e maniacale, soprattutto se si pensa che molte delle sue opere sono state scritte in poche settimane. Solo un genio poteva farlo.

Le sue due ultime opere liriche, “Guglielmo Tell” e “ Le Comte Ory”, scritte interamente in francese, presentano ulteriori innovazioni aprendosi di più al romanticismo, nel caso de “Le Comte Ory”, mentre nel “Guglielmo Tell” vengono sviluppate tematiche di stampo nazionalistico piuttosto inconsuete per un uomo legato alle regole imposte dalla Restaurazione.

Il Guglielmo Tell, “Guillaume Tell” nella versione originale francese, venne eseguito per la prima volta nel 1829 a Parigi sul libretto ispirato al racconto “Wilhelm Tell” di Friedrich Schiller. L’opera parla di come Guglielmo Tell condusse la Svizzera a liberarsi dagli austriaci, tema caldo e molto attuale che non starò a spiegare perché facilmente si intuisce a cosa e a chi l’autore si riferisse.

Dopo questo suo capolavoro non scrisse altre opere, si dedicò alla musica da camera, a quella sacra e alla cucina. Rossini era un buongustaio, un gran mangione che amava sperimentare piatti nuovi. Il suo ultimo capolavoro, però, non è stato un tacchino farcito o un cocktail che porta il suo nome, e che probabilmente non fu creato da Rossini, ma una messa, “La petite messe solennelle”, del 1863. Una messa piena di innovazioni armoniche, melodiche e timbriche che lasciò a bocca aperta anche i compositori più giovani. All’età di 71 anni il suo genio non era andato in pensione ed era ancora in grado, forse anche più che da giovane, di creare qualcosa che sarebbe rimasto per sempre nella storia della musica mondiale.

Gioacchino Rossini morì a Passy, comune annesso a Parigi, nel 1868, all’età di 76 anni.

Quest’anno la sua città natale, che ogni anno in un celebre festival osanna il suo concittadino più famoso, lo ricorderà in modo particolare nel suo 150esimo anniversario dalla morte. 

Anche alcuni programmi televisivi hanno cercato di ricordare questo genio dedicandogli alcuni spazi dopo la mezza notte, è un peccato che il tempio della lirica italiana, forse mondiale, non abbia approfittato della ricorrenza per proporre qualcosa di nuovo alla sua prima di stagione. Ma si sa, Rossini è un compositore di opere buffe, non deve avere l’aspirazione ad essere consacrato a qualcosa di più di quello. Del resto era solo un Napoleone della musica e, come disse Mazzini, “un titano di potenza e audacia”.

Il Galileo