Laudator temporis acti

L’autunno di Duccio Demetrio

e il recupero della materialità della vita

 

di Mario Talli

 

    Lo so che rischio di apparire un inguaribile nostalgico dei tempi andati. Corro il rischio e vado avanti. Vado avanti anche perché c'è un libro uscito di recente che mi aiuta e sembra quasi che mi sproni a non demordere. Il libro è Foliage. Vagabondare in autunno. L'autore è il filosofo Duccio Demetrio. Un giornalista che lo ha intervistato ha scritto che il libro “è una dichiarazione d'amore per l'autunno”. Si, è vero, il libro è anche questo, ma non solo. “Lei scrive – chiede il giornalista – che questa stagione ci educa: in che senso?”  “Noi oggi – risponde Demetrio – abbiamo bisogno di educare i nostri figli e nipoti a qualcosa che hanno perso. In un mondo invaso dalla virtualità dobbiamo far loro riscoprire la materialità della vita e dell'esistenza. E l'autunno, proprio per la sua potenza sensoriale – gli odori, i sapori, le luci e le sensazioni che suscita – diventa un laboratorio per riscoprire il gusto della tattilità della vita”.

     Il libro è pieno zeppo di notazioni e ragionamenti che esaltano le virtù e i pregi dell'autunno fin quasi a ribaltare l'idea che tutti quanti più o meno ne abbiamo  di una stagione che induce alla malinconia e che – per chi è in tarda età – sembra contenere il presagio di una fine più o meno prossima, ma la riflessione che soprattutto mi pare interessante è proprio il riferimento all'autunno come annuncio della “materialità della vita”.

       Si potrebbe osservare che anche la primavera ha i suoi colori, così come l'estate quando esplode in tutto il suo fulgore, ma effettivamente sono colori meno incisivi e significanti rispetto a quelli autunnali. Ma è chiaro che al Demetrio non preme tanto il discorso sui colori quanto invece il recupero del gusto in gran parte perduto per le espressioni materiali, tattili,  della nostra esistenza. Una di queste espressioni fino a    venti-trenta anni fa era rappresentata al massimo grado dall'artigianato, attività in cui l'Italia eccelleva in virtù di una tradizione secolare e in conseguenza di un tardivo approccio, rispetto ad altri paesi europei, con la rivoluzione industriale.

     Chi ha un po' di anni sulle spalle non farà fatica a ricordare, nonostante gli effetti anestetizzanti provocati dalla travolgente rapidità dei mutamenti tipici della nostra epoca, il tesoro prezioso delle attività artigiane, alle quali potremmo aggiungere, non solo per analogia dimensionale, ma anche per l'impegno profuso nell'offrire ai propri clienti il meglio dei prodotti venduti,  i piccoli negozi commerciali al dettaglio, non di rado riconoscibili proprio per alcune loro prerogative e specificità dal punto di vista della qualità dell'offerta.

      Il mondo testé ricordato potrebbe costituire un esempio di ciò che Demetrio intende quando parla di materialità della vita. Sarà molto difficile in ogni modo che quel tipo di produzione artigianale e di distribuzione commerciale frantumate in una infinità di botteghe e negozi, possa riprodursi in una società come l'attuale in cui l'offerta è dominata dalle grandi concentrazioni monopolistiche globalizzate.

          A tale legge inesorabile non sfugge neppure la lingua, il nostro idioma, ma anche quello degli altri paesi non anglofoni. Una lettera apparsa alcuni giorni fa su un giornale fiorentino offre una dimostrazione lampante del punto in cui siamo arrivati per quanto riguarda l'imbastardimento della lingua. Il tema della lettera è stato riassunto dal titolista di quel giornale – e questo è già una dimostrazione involontaria della profondità del fenomeno – con due parole assai sintomatiche “Firenze smart...” .Ed ecco il florilegio di angloamericanismi da  cui è infarcita la lettera in questione: smart city, control room, smart utilities, bike sharing.

     Quanto ho scritto finora, affastellando in maniera un po' confusa temi assai diversi tra loro, potrebbe avvalorare l'eventuale imputazione di inguaribile nostalgico. A mia difesa concluderò questo articolo con un dato positivo. In questi ultimi due o tre anni la politica italiana è ringiovanita. Si tratta di un fenomeno che forse non è stato segnalato come avrebbe meritato. Nuove generazioni sono subentrate alle vecchie in modo, anche qui, piuttosto rapido. Rimane da stabilire quanto e se tutto ciò abbia giovato alla qualità della politica, ma qui il discorso diventa difficile anche perché soggetto alle inclinazioni politiche di ciascuno. L'autore di questo articolo in proposito è molto dubbioso, si limita per ora a registrare il fenomeno e sarebbe felice di essere smentito alla prova dei fatti.

    Il Galileo