Laudator temporis acti?

Il mondo corre troppo velocemente

Una riflessione di Mario Talli

 

Quasi senza che ci se ne avveda il mondo cambia sotto i nostri occhi ad una velocità vertiginosa. Come se la rapidità insita nella rivoluzione digitale contagiasse senza rimedio tutte quante le faccende umane e le modificasse a sua immagine e somiglianza. I segnali del mutamento sono infiniti e non risparmiano nessun ambito della nostra vita. Contrastare questo andamento appare quasi illusorio: non rimane che chiedersi se nel mutamento prevalgono gli effetti positivi o quelli negativi.

I punti di osservazione sono infiniti, praticamente tutto ciò che si muove attorno a noi   - e dentro di noi – e che in modo diretto o indiretto ci coinvolge. Potremmo cominciare dalla vita nelle nostre città e nei nostri paesi dove appena pochi anni fa  il vivere quotidiano era scandito secondo procedure prestabilite e quasi immutabili. Oggi non è più così. Il processo di globalizzazione e di urbanizzazione  (i due fenomeni sono strettamente interconnessi) ha prodotto effetti dirompenti, anche se talvolta contraddittori. Gli abitanti dei centri storici delle città, ad esempio, tendono a spostarsi nelle periferie o nelle campagne circostanti e quelle che furono le loro case spesso diventano avamposti di un turismo mordi e fuggi, che si muove alla rinfusa senza distinguere ciò che è peculiare e interessante e ciò che invece non lo è. Firenze, la città in cui vivo, da questo punto di vista è un punto di osservazione quanto mai illuminante – e inquietante.

Firenze, per come la vedo io, non è più una città unica con una zona centrale e le periferie che le fanno da corona. Il centro, con i suoi palazzi storici, le sue architetture, le sue infinite bellezze oggi è una cosa a sé, meta di un turismo numeroso, rumoroso  e oggettivamente aggressivo, mentre le periferie dànno scarsi segni di vita propria come invece avveniva un tempo. Poiché i punti di aggregazione sociale e persino le più semplici e immediate occasioni di incontro (il ciabattino, il macellaio, il salumiere, il barbiere)  stanno scomparendo, i vecchi quartieri e rioni si stanno via via trasformando in dormitori. Via de' Neri, antica strada della Firenze di qualche secolo fa e di quella narrata da Vasco Pratolini, situata a due passi da Palazzo Vecchio, è una rappresentazione plastica del mutamento: comitive di turisti e no sono soliti consumare seduti sui marciapiedi e sul lastricato stradale le cibarie appena acquistate nelle botteghe dei pizzicagnoli. Percorrere quella strada, in tutte le ore, di giorno e di notte, è diventato piuttosto disagevole.

Dicevo prima che i segnali del mutamento del modo di vivere sono infiniti. Praticamente non c'è aspetto della nostra vita che si sottragga a questo destino. Non ci sarebbe neppure da meravigliarsi: è sempre stato così. Da che mondo è mondo nessuna cosa è rimasta per sempre uguale a se stessa. La differenza tra l'ieri e l'oggi è data dalla rapidità del cambiamento.

Non sempre, però, il cambiamento avviene all'insegna del nuovo. Probabilmente a causa della crisi e del progressivo dissolvimento di alcuni punti fermi (le ideologie, i partiti, ma anche di talune consuetudini come il gioco delle carte e del biliardo, il cinema almeno una volta la settimana – oggi le sale cinematografiche rimaste sono spesso semivuote) in moltissime città e paesi hanno riacquistato un insospettabile lustro e vigore le rievocazioni storiche di rispettiva pertinenza, con grande sfoggio di costumi medievali, di spade e balestre e di cibarie semplici ma dai sapori forti. E il tuffo all'indietro non si ferma qui, interessa e contempla perfino la fisionomia delle persone, il loro aspetto esteriore. Mi riferisco al trionfo, per me sorprendente e inspiegabile, ma che pare non abbia suscitato alcuna sorpresa o interrogazione nella generalità delle persone, dei baffi e delle barbe di memoria ottocentesca. Vorrei tanto essere uno storico del costume o, meglio ancora, uno scienziato di qualche disciplina connessa a questo genere di fenomeno, per cercare delle risposte plausibili e soddisfacenti.     

I rivolgimenti,  come è ovvio, non tralasciano la cultura in generale e la letteratura in particolare. Mai come in questi anni si è assistito in Italia ad una proliferazione così intensa e copiosa di romanzi e scrittori. In ragione anche delle nuove tecnologie che hanno enormemente facilitato e reso l'impresa abbordabile da chicchessia, quasi ogni giorno spuntano nuovi libri e nuovi scrittori. Un discorso a parte lo meriterebbero quei miei colleghi che si autodefiniscono giornalista e scrittore. Ricordo come fosse ieri quanto mi disse una volta lo scrittore (lui si, e molto bravo) e anche giornalista Romano Bilenchi , che a suo tempo fu mio direttore. “Pallino, non dar retta a chi dice che giornalismo e scrittura sono la stessa cosa. La similitudine è soltanto apparente. In realtà le due attività non vanno d'accordo. Anzi: si elidono a vicenda.”

Ciò non significa che un giornalista o qualsiasi altra persona non possa scrivere un libro bello e interessante. Solo che scrivere un buon libro non significa essere uno scrittore. Piuttosto bisogna intendersi su cosa si intende  davvero con la parola “scrittore”. Apparentemente scrittore indica uno che scrive. In realtà l'espressione ha un sottinteso ed ha acquistato nel tempo un significato ambiguo. Il sottinteso è che scrittore non vuol dire semplicemente “uno che scrive”, qualsiasi cosa egli scriva e de-scriva: dalla vita delle lucertole alle azioni e ai sentimenti degli uomini e delle donne. Uno scrittore ha delle specificità sue proprie e solo sue, magari differenti da un altro scrittore, che altri che scrivono non hanno. Specificità che attengono alla forma (lo stile), alla suggestione delle immagini evocate, alla funzionalità del tessuto   narrativo e alla profondità del contenuto. Il significato vero ed autentico della parola scrittore è di colui che crea personaggi, storie e situazioni che portano alla luce sentimenti e pensieri nascosti negli anfratti più reconditi del cuore e della psiche.   

Restando nell'ambito culturale e letterario non posso fare a meno di additare un caso, sempre in riferimento alla superficialità (faciloneria?) con cui si dà alle stampe un libro e si conferisce ad un ignoto qualsiasi l'appellativo di scrittore, che riguarda il supplemento culturale di un giornale importante, che da qualche settimana pubblica un romanzo a puntate scritto da più mani: ogni puntata un autore. Può darsi che il mio sbigottimento sia eccessivo o addirittura privo di fondatezza, ma non posso non accostare questo episodio alla generale “rilassatezza” del costume e del vivere civile di cui in precedenza ho citato alcuni esempi.    

 

In questo mondo farlocco un'altra cosa che risalta è la mediocrità dell'attuale ceto politico. Anche questa è un'opinione strettamente personale, che può essere condivisa oppure no. La velocità degli accadimenti gioca anche qui un ruolo fondamentale. Alcune decine di anni orsono chi intraprendeva l'attività politica si preparava a puntino ed erano gli stessi partiti a fornire ai propri aderenti gli strumenti necessari per fare il grande salto tra la militanza pura e semplice e la dirigenza e il funzionariato. Oggi invece l'elemento prevalente è l'improvvisazione, talvolta accompagnata dall'improntitudine.

Che Dio ce la mandi buona.

 

Il Galileo