la tomba del mitico Re Italo?
A quando la certezza sulla natura del “tumulo” della stretta di Catanzaro?
di Domenico Paravati
E’ la tomba di Re Italo? La collinetta (artificiale?) si trova nei pressi
dell’ipotetica città greca di Krotalla.
Lo dico chiaro e tondo: mi sono
stancato. Se la cosa non interessa a chi istituzionalmente
dovrebbe interessare, almeno per fugare dubbi, perché proprio io devo
ammattire? La storia la troverete anche saltellando sugli allegati a questo
articolo che mi sollecita il collega Guseppe Prunai; il quale - per
incoraggiarmi a non mollare - già in passato ha scritto sul mio (defunto)
Corriere di San Floro e della Calabria*, raccontando di una tomba etrusca venuta
alla luce nei dintorni di Roma grazie alla testardaggine del proprietario del
terreno, mentre le “istituzioni” avevano detto che lì non c’era niente di
antico.
E comunque provo a riepilogare, sul “tumulo”, dandovi qualche indicazione geografica. Calabria centrale, Stretta di Catanzaro, tra i due golfi, di Lamezia e Squillace, il punto più stretto d’Italia. La posizione della collinetta misteriosa: a due passi da Catanzaro Lido, a duecento metri dalla riva destra del fiume Coràce, poco prima della foce, due-tre chilometri dal Parco Archeologico della Roccelletta (dove è venuta a galla, finalmente, l’antica Nervia Minervia Augusta Scolacium, patria di Cassiodoro; e sotto di essa probabilmente c’è la magnogreca Skylletion, la cui origine è forse più antica perché mi fa pensare la radice - Skyll - tanto simile a quella dei Siculi, che i greci chiamavano Sykeloi, un popolo indo-europeo che poi attraversò lo stretto, come racconta Tucidide, e invase l’attuale Sicilia). A due-tre chilometri dai moderni complessi della Regione Calabria (durante gli scavi, alla luce varie tombe romane) e dell’Università Magna Graecia. Infine, la località Varrèa, comune di Borgia, al limite con quelli d San Floro (il mio paese), Caraffa, Cortale e Catanzaro; e forse nel territorio della pre-greca Krotalla, che doveva essere per forza qui vicino, visto che anche nelle carte geografiche antiche questo corso d’acqua è Crotalus flumen.
E dunque: da molti anni vado
dicendo e scrivendo che la collinetta solitaria in località Varrèa (in una vasta
piana, ora in parte coltivata ad ulivi) fa venire forti dubbi sulla sua natura.
E perché? Primo: perché
isolata, non è di dimensioni enormi, ha la conformazione dei tanti
“tumuli” presenti nell’area balcanica, soprattutto tra Bulgaria e Romania, dove
sono diffusi (ha una base di m. 60x40 circa, altezza m.16 circa - da “Ciao San
Floro Ciao Calabria - di Domenico e Feliciano Paravati- apr. 2003-ABC
Communication- articolo di Floro
Varano, insegnante di San Floro). Secondo: Tito Livio (XXVII
26,7), facendo riferimento allo scontro tra romani e cartaginesi di
Annibale per Petelia, scrive: “Tumulus erat silvestris
in valle inter punica et romana castra”. Terzo: tutta l’area intorno è
ricchissima di reperti archeologici, alcuni ormai “riconosciuti”, come il
grandioso Parco Archeologico della Roccelletta (orizzontalmente e
perpendicolarmente ad esso forse scorrevano, a lume di logica, due vie romane:
l’una da Taranto a Reggio; e l’altra, tutta da accertare, forse collegava
Scolacium al golfo lametino; entrambe testimoniate, secondo me, dai resti
di tombe che emergono in entrambe
le due direzioni, e che certamente hanno dato il nome alla Roccelletta (dove
sorge, all’interno del Parco, la misteriosa e incompiuta grande basilica in
stile arabo-normanno di Sancta Maria de Rocellis,
“rocellae” che sarebbero appunto le “rocchette”, le tombe romane che il
popolino nel medioevo e fino a pochi anni fa
scambiava per piccole torri semi-interrate, invece tutt’altra cosa).
Quarto: si dice che quando il popolo si inventa una leggenda, qualcosa di strano
in quella cosa oggetto della leggenda c’è. E dunque il popolo contadino di San
Floro e Borgia, che lavorava le terre intorno alla collinetta misteriosa
(‘U Timpunìaddhu de i Spartacumpàri”- La collinetta dei Dividicompari)
raccontava (v. originale in dialetto e in traduzione su “Ciao San Floro
Ciao Calabria”, come sopra) che due
compari coltivavano in comune a
grano quella terra. Uno dei due però era cieco. Così, quando venne il momento
del raccolto, l’amico sano misurava il grano da spartire
dalla parte giusta (per sé) della “menzalòra”, una sorta di tino unità di
misura; e invece misurava dal fondo
rivoltato per il socio cieco, dicendogli: metti la mano qui sopra e senti come
il grano c’è veramente. Il cieco obbediva, ma diceva dentro di sé: Si non mbìju
io, vida Ddio (Se non vedo io vede Dio). E Dio, che vede tutto, volle punire
l’imbroglione, trasformando il molto grano raccolto per sé in molta terra.
Per avere certezze e non più
dubbi sulla natura del monticello, ormai da più di trent’anni combatto una
personale
battaglia.
Si è unita a quella di Giovanni Gatti senior (da tempo defunto), titolare del
Motel Copanello. Gatti - con il quale ho avuto tante simpatiche
conversazioni sull’argomento - si batté anche perché si iniziasse a
scavare dove poi è sorto il Grande Parco Archeologico. Il 3 luglio 1977, in
occasione di una visita in Calabria dell’allora ministro dei Beni culturali,
Mario Pedini, gli consegnò una lettera nella quale, scrivendo del tumulo,
aggiunse che “qui è morto il console Marco Claudio Marcello nella trappola
tesagli da Annibale”; precisando: “Dagli studi che ho fatto e dalle mie ricerche
ritengo che con sessanta probabilità su cento in quel tumulus siano sepolti i
resti del famoso Re Italo. Cito Aristotele: (Politica VII, 10:
Raccontano i dotti che uno degli abitanti di quella terra, un certo
Italo, diventò re dell’Enotria,
Enotri che dal suo nome, mutato l’antico nome, si chiamarono Itali
e che da lui prese nome di Italia tutta quella penisola d’Europa compresa
tra il golfo scilletino e lametino...”. E anche Dionigi di Alicarnasso
(Antichità romane, 1° , 35):...Antioco Siracusano afferma che Italo, buono e
saggio, dopo aver persuaso alcuni con le parole e costretti altri con la forza,
sottomise quella terra che si trova tra il Golfo Nepetino e Skilletino, la quale
allora, per la prima volta, fu chiamata Italia da Italo...”.
Mi pare di essere stato più
lungo del promesso in quest’ultima tiritera sul misterioso tumulo o cos’altro
sia. E allora vi elenco le date delle lettere inviate alla Soprintendenza alle
antichità di Reggio Calabria nel corso degli anni perché chiarisse in maniera
definitiva il mistero sia in un senso che nell’altro, perché io - lo ripeto
all’infinito- non ho certezze, solo
dubbi. Dubbi che però le istituzioni
dovrebbero fugare, confermare o aprire una finestra inaspettata e
bellissima (sarebbe straordinario!). Ed ecco le date:
11 marzo 2003; 30 settembre 2008; 18 giugno 2010; 18 novembre
2010; 5 marzo 2011. E inoltre:
5 ottobre 2009, lettera alla Tenenza dei Carabinieri di Girifalco,
competente per zona; 16 luglio 2017 al direttore del Museo archeologico
nazionale di Reggio Calabria, Malacrino, solo perché
originario della mia San Floro per via di madre. Il 18 febbraio 2011
risposta sul negativo da parte della Soprintendente Bonomi perché il monticello
sarebbe stato ritenuto di “natura geologica” dall’architetto Arslan, che
condusse i lavori sugli scavi della vicina Roccelletta . (Alla Bonomi ho
controrisposto, non ritenendomi ancora soddisfatto, sul mio “Corriere di San
Floro e della Calabria”). Last but not least, lettera, il 23 gennaio 2016, con
tutto il materiale da me scritto o raccolto- al proprietario del terreno dove si
trova il supposto tumulo. Di questo proprietario - almeno così mi è
stato presentato nel corso di una cerimonia pubblica a San Floro - non
posso scrivere il nome per ovvi motivi di riservatezza. Comunque finora nessuna
risposta, come è suo diritto.
A sostegno della mia tesi riferisco che alla nota 537 dell'interessante volume
del professore tedesco Armin Wolf, "ULISSE IN ITALIA-
Sicilia e Calabria negli occhi di Omero- ediz.Local Genius-2017 - leggo,
tra l'altro: "Sulla questione se si tratti di un'altura naturale, mi ha scritto
così il 15 febbraio 1983 JURGEN BORCHHARDT, Ordinario di Archeologia a Vienna,
cui avevo mandato alcune foto del tumulo:""I rilevamenti topografici confermano
la presenza di un tumulo funerario di ragguardevole grandezza, artificialmente
innalzato. In alcune foto si crede di poter riconoscere nella fascia inferiore
un terrazzamento che forse potrebbe derivare da una krepis situata al di
sotto"".
Ce n’è quanto basta per
sentirmi stanco di lottare contro i mulini a vento. Anche se non mi ritengo
affatto un Don Chisciotte
dell’archeologia calabrese (soprattutto grazie alla battaglia giornalistica,
vinta, combattuta al Giornale Radio Rai nel lontano 1981, perché i Bronzi di
Riace tornassero in Calabria e non rimanessero invece a Firenze - dove erano
stati inviati per un restauro che non finiva mai - o al Quirinale del
burbero Sandro Pertini, che già li sognava piazzati lì per sempre,
nell’antico Palazzo dei Papi e dei Re d’Italia).
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“Il Corriere di San Floro e della Calabria” era un periodico diretto
dall’autore.