La più grande opera ambientale

mai realizzata a Milano*

di Roberto Biscardini,

 Presidente dell’Associazione Riaprire i Navigli

 

La darsena su cui sfociano il Naviglio Grade e il Naviglio Pavese 

Da un recente articolo apparso sul Corriere della Sera, inserto Economia di qualche settimana fa, abbiamo potuto ricostruire che il complesso di edifici realizzati e ideati da Usa Hines per il quartiere di Garibaldi Repubblica sono iniziati intorno al 2007, dieci anni fa, esattamente quando in Facoltà di Architettura, esaminando gli aspetti macro e microurbanistici di quel progetto, ancora sostanzialmente in fieri, io e l’architetto Cassone abbiamo ipotizzato la riapertura dei Navigli in Milano.

L’idea partì dall’ipotesi di riaprire il Naviglio della Martesana in via Melchiorre Gioia proprio nella stretta connessione con il progetto di Garibaldi Repubblica, per poi proseguire lungo il loro antico tracciato di via San Marco, via Fatebenefratelli, la Cerchia dei Navigli, via Conca del Naviglio e la Darsena.

Due progetti di grande trasformazione urbana, assolutamente attigui e connessi, che avrebbero potuto essere parte di un unico progetto integrato ma che, per ragioni diverse, non maturarono insieme.

Il primo con i suoi grattacieli guardava verso l’alto; il secondo, il nostro, pensato fin dall’inizio come un intervento capace di indurre innumerevoli altri progetti di riqualificazione urbana, soprattutto alla quota zero, quella che evoca nuove pedonalizzazioni, usi alternativi di città, usi pubblici e non solo privati degli spazi stradali per un diverso modo di organizzare traffico e mobilità.

L'ingresso in darsena del Naviglio Grande

Due interventi che partendo da due diversi punti di vista, hanno marciato parallelamente non trovando finora un punto di contatto (men che meno un coordinamento a livello istituzionale): il progetto di disegno urbano di Garibaldi Repubblica e il progetto strategico di riqualificazione dell’intera città a partire dal ripristino dei Navigli.

Per certi versi un’occasione persa ma ancora recuperabile se, intervenendo con un coordinamento nuovo, si riuscirà a mettere a frutto gli straordinari investimenti privati già realizzati su quell’area con gli interessi pubblici impliciti nella riapertura dei Navigli.

Coordinamento che è mancato anche quando la Regione decise di costruire la sua nuova sede proprio in via Melchiorre Gioia, non per cattiva volontà, ma perché a nessuno è passato per la testa che lì sotto corrono coperti il Naviglio Martesana e il Seveso.

E’ questo solo un esempio per dimostrare che lungo tutto il loro percorso (otto chilometri dalla Cassina de’ Pomm alla Darsena), i Navigli rappresenteranno un momento di straordinaria occasione per la trasformazione della città e della sua qualità urbana. Per la realizzazione di progetti integrati, anche finanziariamente, finalizzati alla riorganizzazione delle funzioni e delle attività con ricadute economiche eccezionali per tutti, verso la costruzione di una nuova modernità.

Interventi che richiedono il coordinamento fra azioni pubbliche e azioni provate, tra risorse diverse, tra più istituzioni e, dentro le istituzioni, fra settori diversi della pubblica amministrazione.

L’obiettivo è la costruzione di una città più giusta e più vivibile, la città ambientale e più naturale, dopo quella industriale e terziaria.

Ecco cosa sono per noi i nuovi Navigli.

Non un’opera di imbellettamento della città, non un’opera di arredo urbano, non luoghi dove ci si dovrebbe affacciare per ammirare l’acqua dentro piccole vasche, ma una grande infrastruttura urbana e regionale espressione di un’eccezionale sfida generazionale.

Per costruire la Milano del futuro, insieme alla metropoli lombarda del futuro.

Ancora una veduta della darsena. Si noti in primo piano una vecchia bitta d'ormeggio sulla quale si è posatro un piccione

 

Un mix eccezionale di interventi di trasformazione alla scala urbana delle innumerevoli città che i Navigli attraversano e alla grande scala regionale.

Infatti, non avrebbe alcun senso riaprire gli otto chilometri in Milano (occasione di nuovo disegno urbano dentro la città) se non avessimo già chiari gli effetti della rigenerazione e riqualificazione dell’intera rete dei 140 chilometri della Lombardia.

Anch’essi espressione e opportunità per nuove economie, nuovo paesaggio e nuove opportunità di lavoro su tutto il territorio regionale.

Ecco il senso di investire sulla riapertura dei Navigli a Milano e ripristinare il tracciato navigabile da Colico a Venezia passando per la città.

La dimensione è questa.

Un itinerario navigabile nuovo, paesaggistico e ambientale, parte di un possibile sviluppo turistico della navigazione interna e dei territori circostanti.

Sono molte le città del mondo che, proprio in questi anni, stanno ricostruendo la propria immagine puntando su ingenti investimenti che riguardano l’ambiente, il miglioramento della qualità della vita e l’acqua.

Investimenti che riguardano complessivamente la qualità ambientale nella consapevolezza che la qualità delle grandi città sarà la chiave della loro competitività nel mondo. Il segno della loro attrattività. La misura della loro capacità di produrre nuova ricchezza.

Per avere città meno congestionate, con meno traffico, con minore densità nei centri urbani, meno conurbate al loro intorno e nelle periferie. Città più verdi e con nuovi paesaggi.

Il salto di qualità è il passaggio da una logica di miglioramento “effimero”, fatto di una moltitudine di interventi, pur importanti ma non strutturali, ad interventi strategici di notevole rilevanza. Quelli in grado di cambiare la qualità della città e del vivere nel loro insieme. La riqualificazione non è più segnata, come avveniva vent’anni fa, dalla piantumazione di qualche albero in più, dal miglioramento degli arredi urbani e da molti altri interventi complessivamente non rilevanti, ma dalla realizzazione di interventi strutturali per cambiare il volto stesso della città, il suo uso e la sua percezione.

Il Naviglio Grande

 

E’ in questa logica che proponemmo dieci anni fa la riapertura integrale dei Navigli a Milano, da Cassina de’ Pomm alla Darsena, chiusi tra il 1929 e gli anni ’60, ed è in questo spirito che il 95% dei cittadini milanesi votarono SI al referendum comunale del 2011. Non credo che il risultato sarebbe stato uguale se fosse stato sottoposto a referendum il progetto di una connessione idraulica (un tubo sotterraneo) per portare l’acqua da via Melchiorre Gioia verso il sud Milano, più cinque piccole tratte (vasche) non connesse tra loro, che rimandano ‘sine die’ la definizione di un programma di fabbricazione completo per la realizzazione dell’intero tracciato con la definizione dei tempi, dei costi e delle modalità di attuazione.

Se questo progetto dovesse perdere la sua unitarietà perderebbe la sua peculiarità.

Perché è nella continuità del percorso dell’acqua che attraversa la città da nord a sud che si manifesta l’elemento centrale della sua modernità.

Non è un’opera antiquaria, ancor peggio se trattata per pezzi, ma moderna per tutta la città, anche nelle sue forme, tecnologica persino. Un progetto che coglie in modo nuovo il  bisogno diffuso di nuovo paesaggio e il bisogno di vivere la città in modo diverso dall’attuale, altrimenti ci dobbiamo tenere la città che c’è.

 

*Articolo tratto dalla rivista MilanoAmbiente con il consenso dell’autore

 

 Il Galileo