Salute per tutti

Dovrebbe essere un diritto,

a volte è una chimera

Questa la principale tematica trattata al convegno distrettuale N.O. della Sezione FIDAPA di Milano presieduta da  Luisa Monini

 

di Magali Prunai

Il giorno stesso in cui veniamo alla luce iniziamo già a invecchiare. Detta così è forse un po’crudele e poco poetica, ma è la verità. Ogni essere vivente inizia il suo processo di invecchiamento nel momento stesso in cui nasce e si esibisce nel suo primo vagito. Come invecchiare, però, cambia a seconda di come ci trattiamo per tutta la vita e per come veniamo considerati fin da subito. Una vita sana, priva di eccessi, di sostanze che possono intossicare il nostro organismo (fumo, alcool, droghe, abuso di medicinali), una corretta alimentazione accompagnata a dell’attività fisica aiuterà sicuramente il corpo a mantenersi più sano nel tempo.

Nel 2015, 193 paesi del mondo hanno sottoscritto un piano d’azione mettendo in luce 17 obiettivi per promuovere un miglioramento della vita. Gli obiettivi sono suddivisi in quattro grandi gruppi di azione: persone, pace, prosperità e pianeta. La salute è il terzo argomento di questa lista dato che le diseguaglianze mediche sono ancora troppo elevate. Non stiamo parlando solo di differenze fra mondo più sviluppato e meno sviluppato, ma, come è stato fatto notare nel corso del convegno FIDAPA dedicato alla salute per tutti e per tutte le età tenutosi lo scorso 5 maggio, anche di diversità fra regioni italiane. Secondo alcuni studi del 2017, hanno evidenziato alcuni relatori, esistono ancora gravi diseguaglianze nell’accesso alla sanità e nella qualità delle prestazioni offerte.

Fra gli obiettivi fissati dal piano d’azione vi è quello di eliminare alcune malattie entro il 2030, speranza abbastanza utopica mentre potrebbe essere realtà che alcune patologie si riducano e diminuiscano. Il problema non riguarda tanto le malattie trasmissibili, che possiamo tenere sotto controllo, ma quelle non trasmissibili, come tumore, infarto e ictus, di cui oggi giorno si muore nella maggior parte dei casi in tutto il mondo.

Una vita corretta, regolare, priva di eccessi permette di vivere meglio e arrivare a una vecchiaia più sana. Ma cosa vuol dire? Vuol dire che se a 20 anni siamo ubriachi e drogati ogni giorno difficilmente avremo una vecchiaia sana, sempre che si arrivi a raggiungere un’età considerata “âgé”. Se a 20 anni ogni tanto ci siamo concessi dell’alcool, del cibo cosiddetto spazzatura, ma allo stesso tempo ci siamo curati di noi stessi, potremmo dire nel corpo e nell’anima, allora l’età della vecchiaia potrà essere più mite.

Come curare il nostro corpo? Sicuramente l’abuso di sostanze nocive, medicinali compresi, non è di aiuto. I farmaci e il loro uso a sproposito o proprio abuso sono fra le piaghe della società moderna. Tanto che il concetto di malato e la sua relazione con i medicinali è cambiato man mano nel tempo. Se una volta il malato era chi soffriva e cercava un modo per eliminare la sua condizione di dolore attraverso l’assunzione di farmaci, che però creavano dipendenza, si è passati alla concezione di paziente cronico, un individuo che attraverso l’assunzione di un farmaco riesce ad avere lo stesso una vita come prima, fino ad arrivare al paziente sano, ovvero un soggetto che non ha nessuna patologia ma che, per paura di averne, assume farmaci. L’uomo moderno assume farmaci per qualsiasi cosa, un mal di pancia, un mal di testa. Ma i mali dell’epoca moderna non sono solo i medicinali presi inconsapevolmente come caramelline. L’alimentazione sbagliata è un altro grosso fattore di rischio che porterà in tarda età a l’insorgenza di patologie più o meno gravi. L’accesso a troppo cibo, non sempre di qualità e non in tutte le zone del mondo, ha progressivamente portato a percentuali elevate di soggetti, soprattutto giovanissimi, obesi. Così come le mode e la convinzione del bello identificato solo con l’estrema magrezza che comporta, sempre più in giovanissima età, l’insorgere di malattie quali l’anoressia. Obesità e anoressia: due facce della stessa medaglia.

Sempre più bambine sviluppano in età estremamente precoce consapevolezza del proprio corpo e sempre di più lo rifiutano. Una parte consistente del problema gira intorno all’immagine di sé, di come ci vediamo e di come ci sentiamo percepiti dagli altri. I primi mattoni del nostro futuro vengono posti dai nostri genitori nella nostra primissima infanzia: lo sguardo della mamma appena nati che ci dice chi siamo e che siamo amati, i comportamenti dei genitori che veicolano i valori che il bambino, per imitazione, riprodurrà nel suo essere. Se nella famiglia vedrà uguaglianza, pur mantenendo delle diversità, e vedrà anche fuori dalla famiglia i genitori affermarsi per come sono e non per quello che hanno, allora il bambino da adulto sarà alla ricerca più del suo essere che dell'avere. Il valore di un soggetto, infatti, non può ridursi al registro dell'avere. Se ho qualcosa posso perderlo, se sono qualcuno, nel senso che ho consapevolezza di me stesso, dei miei limiti e delle mie aspirazioni, possiedo tutti gli strumenti necessari per conquistare un posto nel mondo.

Quindi, appena nati abbiamo iniziato a invecchiare, guardandoci negli occhi della mamma capiamo chi siamo e imitando i comportamenti sociali dei nostri genitori avremo anche noi delle interazioni sociali consapevoli. Intanto cresciamo, il processo di invecchiamento progredisce e insorgono delle patologie tipiche dell’anziano. Malattie che non guardano in faccia nessuno e che, molto democraticamente, colpiscono sia uomini che donne, ricchi e poveri allo stesso modo. Fino a pochi anni fa si pensava che alcune malattie fossero esclusivamente maschili e altre esclusivamente femminili. Il tumore della mammella, ad esempio, può venire a una donna quanto a un uomo. Mentre un infarto, considerato tipico maschile, può venire anche a una donna, manifestandosi, e questa è la difficoltà vera per i sanitari che non subito riescono a identificarlo, in modi completamente diversi.

 

Tante patologie, comunque, sia che si tratti di uomini che di donne, che si potrebbero evitare con una buona prevenzione e una più corretta informazione in materia di screening preventivo, cura e diagnosi.

Ma una volta che si scopre, anche in anticipo, una malattia come curare la nostra anima durante il percorso medico? Molte ricerche identificano nell’attività sportiva la produzione di sostanze che, durante l’esercizio, ci fanno sentire più felici. Chi va a correre ogni mattina al parco, sia che piova, nevichi o faccia caldo, lo fa perché si sente felice. Felice come se avesse assunto delle sostanze stupefacenti. È drogato di corsa, con la sola differenza che in questo caso si tratta di una pratica sana. Un altro rimedio che cura l’anima e che provoca sensazioni tali da far stare bene è la musica. La musicoterapia è stata scoperta già nell’antichità, quando si pensava che le malattie indicassero una mancanza di armonia e che potesse essere ristabilita solo attraverso la musica. Studi più moderni hanno constato che chi ascolta musica è più efficiente nello svolgere un lavoro rispetto a chi non ne ascolta o ne ascolta poca. Così come si è scoperto, monitorando l’attività di un grande direttore d’orchestra durante un’esecuzione, che le emozioni provocate dalla musica per il fisico sono uguali a quelle di una forte sensazione di stress, uno stress che però invece di creare fastidio veicola altri tipi di sentimenti.

In fin dei conti ancora prima di nascere già possiamo sentire, ascoltiamo inconsapevolmente il battito del nostro cuore che è il primo suono ritmato che percepiamo, come se fosse una melodia. La musica altro non è che il battito stesso della vita.

Il Galileo