Batteri che digeriscono la plastica
di Bartolomeo Buscema
Great Pacific Garbage Patch, così la chiamano gli anglofoni. E’ una raccolta
galleggiante di rifiuti di plastica che si trova in mare aperto tra le Hawaii e
la California. Una sorta di montagna che ha un’estensione di quasi il doppio
delle dimensioni stato del Texas e che pesa circa 90 000 tonnellate.
Scoperta per la prima volta all’inizio degli anni novanta, l’isola galleggiante,
non certamente la sola sulla superfice marina del nostro globo, si trova in
acque internazionali, motivo per cui nessun governo si è ancora fatto avanti per
cercare di risolvere il problema. L’unica speranza è che qualche fondazione
finanziata con soldi dei privati prenda l’iniziativa per porre rimedio a una
sconcezza ecologica figlia di un capitalismo selvaggio che martella, giorno e
notte, i consumatori inducendoli a un uso insensato dei prodotti di plastica usa
e getta. Oggi, tali isole galleggianti rappresentano una sorta di bomba a
orologeria che andrebbe disinnescata prima che la stessa plastica si sminuzzi in
dimensioni troppo piccole , pericolose per la vita marina e la conseguente
catena alimentare fino all’uomo.
Uno studio ,concluso nell'ottobre del 2016 e pubblicato sull’autorevole rivista
scientifica Nature nel giugno del 2017, dimostra che ogni anno finiscono in mare
tra 1,15 e 2,41 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, per la maggior
parte trasportate dai fiumi .E tra tale ingente massa di ci sono anche le comuni
bottiglie di polietilene che contengono l’acqua minerale che compriamo nei
supermercati, oggi sempre più megamercati. Per fortuna, per il tale tipologia di
plastica che pervade le nostre case, è in arrivo una soluzione che ci viene da
un gruppo di scienziati, coordinato da Harry Austin, dell'Università di
Portsmouth e del Laboratorio nazionale per l'Energia rinnovabile del
Dipartimento per l'energia americano. In tali laboratori, infatti, è stato
sviluppato un enzima artificiale capace di digerire il polietilene. Lo studio,
recentemente pubblicato sulla rivista dell'Accademia delle Scienze degli Stati
Uniti (Pnas),ci racconta anche il modo in cui è avvenuta la scoperta che, come
tante altre, è legata al caso. Gli scienziati americani stavano analizzando la
struttura molecolare di un conosciuto enzima che riesce a digerire la plastica
PET (polietilene tereftalato) , la resina termoplastica con cui sono prodotte le
bottiglie che contengono l’acqua minerale e altri contenitori per alimenti.
L’enzima, chiamato PETas, è stato scoperto negli ultimi anni in seguito
all’identificazione dell’Ideonella sakaiensis, un particolare tipo di batterio
che si mantiene proprio nutrendosi principalmente di plastica che digerisce e
metabolizza grazie proprio ad alcuni enzimi, compresa la PETasi. Sta di fatto
che durante lo studio i ricercatori americani, hanno inavvertitamente modificato
tale enzima scoprendo che la versione artificiale era molto più efficiente
,sotto il profilo temporale, di quella esistente in natura. E’ già un notevole
passo in avanti, anche se sono necessari nuovi studi per trovare le tecnologie
più adatte per un utilizzo su larga scala. E mentre aspettiamo
i futuri sviluppi di tale
promettente ricerca ,registriamo che ciascuno di noi ha la possibilità
di limitare il problema degli ammassi di plastica oceanici: bere l’acqua
del rubinetto di casa;non fa male ed è di gran lunga più economica e sostenibile
per l’ambiente.