Ce lo dice la crosta terrestre
Le sequenze sismiche in aree estensionali mediamente hanno una magnitudo più
bassa, ma durano di più rispetto a quelle in ambienti compressivi. A
dimostrarlo, uno studio condotto da Sapienza Università di Roma, Ingv e Cnr che
spiega anche l’imponente e persistente corteo di repliche dell’Appennino, 80.000
in 15 mesi. Il lavoro è stato pubblicato su Scientific Reports
Quanto durerà il terremoto? È una delle domande a cui i ricercatori spesso si
trovano a dover far fronte all’inizio di ogni sequenza sismica. Una nuova
analisi di repliche (aftershock) dei terremoti ha permesso di dimostrare che gli
ambienti estensionali hanno periodi più lunghi e numero di repliche maggiori
rispetto agli ambienti compressivi. Lo studio, Longer aftershocks duration in
extensional tectonic settings, condotto da un team di ricercatori dell’Istituto
nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), dell’Istituto per il rilevamento
elettromagnetico dell’ambiente del Consiglio nazionale delle ricerche
(Cnr-Irea), e Sapienza Università di Roma, è stato pubblicato su Scientific
Reports, https://www.nature.com/articles/s41598-017-14550-2.
“La ricerca”, spiega Carlo Doglioni, presidente dell’Ingv e professore della
Sapienza Università di Roma, “dimostra che nelle zone dove la terra si dilata le
sequenze sismiche, nonostante abbiano magnitudo mediamente più basse rispetto
agli ambienti compressivi, durano più a lungo, poiché il volume crostale si
muove a favore della forza di gravità. Le sequenze quindi terminano solamente
quando il volume collassato trova un suo nuovo equilibrio gravitazionale”.
Viceversa, negli ambienti compressivi, il volume si deve muovere contro la forza
di gravità e quindi l’energia in grado di continuare a sollevare il tetto delle
faglie si esaurisce più rapidamente.
“Da un’analisi comparativa di dieci sequenze sismiche”, afferma Pietro Tizzani,
ricercatore Cnr-Irea, “di cui cinque inserite in un contesto tettonico
estensionale e cinque in uno compressivo, è stato possibile dimostrare che, a
prescindere dalla magnitudo dell’evento sismico considerato, i terremoti
estensionali durano di più rispetto a quelli che si sviluppano in un ambiente
compressivo”.
Lo studio spiega perché i terremoti dell’Appennino, che sono in buona parte di
tipo estensionale, sono seguiti da un corteo di repliche così imponente e
persistente nel tempo. Ad esempio, sono passati 15 mesi dall’inizio della
sequenza sismica di Amatrice-Norcia e vi sono state circa 80.000 repliche.
Questa chiave di lettura della sismicità può avere significative applicazioni
nella gestione dell’emergenza post-evento, poiché in funzione del tipo di
ambiente tettonico si può avere già una stima approssimativa della durata degli
aftershock. Inoltre, conferma che l’energia accumulata nei secoli che precedono
la rottura cosismica è diversa a seconda dell’ambiente tettonico, cioè
principalmente gravitazionale per quelli estensionali ed elastica per quelli
compressivi.
“La comprensione dei diversi meccanismi e relative fenomenologie associate ai
vari ambienti geodinamici”, conclude Doglioni, “può portare a una più
approfondita e utile classificazione dei terremoti, passo indispensabile per
arrivare a comprenderne natura ed evoluzione temporale”.
------------------------------
Figura: (a) Modello geologico del possibile ciclo sismico (ossia periodi
inter-sismici e cosismici), associato a una faglia normale (sequenza
estensionale). (b) Modello geologico del ciclo sismico (ossia periodi
inter-sismici e cosismici), associato a una faglia inversa (sequenza
compressiva). In entrambi i modelli è stata assunta una velocità di deformazione
costante nella crosta inferiore all’interfaccia duttile/fragile. Le sequenze
tettoniche estensionali sono caratterizzate da una durata più lunga delle
repliche, in quanto il sistema si muove a favore della gravità e, in questo
caso, il volume di crosta interessato dalla fratturazione cosismica collassa
fino a raggiungere un nuovo equilibrio gravitazionale