Recensioni a cura di Mario Talli
Un noir che profuma di '800
Renzo
Martinelli (1888-1964) è stato un grande giornalista a tutto campo:
corrispondente dal fronte per il giornale “La Nazione” durante la prima guerra
mondiale, poi inviato speciale per lo stesso e altri giornali in Africa, America
Latina e Medio Oriente. Ma poiché il giornalismo
non esauriva i suoi molteplici interessi e la sua inesauribile curiosità,
fu anche commediografo e autore di racconti e romanzi.
Da qualche anno alcuni editori, per lo più fiorentini, che ne hanno
conservato la memoria ripropongono ad una ad una le sue opere. Ora è la volta
del libro forse più singolare di tutti, un noir dal suadente profumo
ottocentesco, uscito la prima volta a puntate sul Nuovo Giornale di Firenze.
Una notte
di pioggia è il titolo di una storia che ha come principale protagonista un alto
magistrato in pensione sulla cui coscienza grava la consapevolezza, acquisita a
posteriori, di aver condannato a
molti anni di carcere un uomo di umile condizione sociale per un omicidio di cui
invano si era dichiarato incolpevole e che in effetti era stato commesso da
altri. Su questo primo canovaccio s'innesta un altro presunto delitto, comunque
un episodio dai contorni misteriosi cui fa da contrappunto la difficile
acquisizione della maturità sentimentale da parte di una fanciulla oppressa
dalle consuetudini di una borghesia prigioniera di molti e consolidati
pregiudizi. Il tutto costruito su una struttura narrativa nella quale i dialoghi
tra i vari personaggi hanno una parte
rimarchevole, forse addirittura
prevalente, a conferma dell'interesse dell'autore anche verso il teatro.
Storia e memoria in Corte d'Assise
Il pretesto è la ripubblicazione, anche come rimembranza di un periodo di
storia sociale, politica e del
costume ormai tramontato, di alcuni casi giudiziari maturati nella Torino dei
“favolosi” anni '60, di cui
l'autore del libro che li raccoglie fu testimone e resocontista attento
nella sua qualità di cronista di Corte d'Assise. Sebbene il titolo del
libro - L'uomo tagliato a pezzi –
intenda chiaramente sollecitare l'attenzione del lettore su uno qualunque di
quei “casi”, probabilmente il più efferato,
Antonio De Vito (foto a destra), essendo uomo esuberante e
appassionato, si propone in realtà qualcosa di più ambizioso,
precisamente una rilettura, con lo sguardo
di oggi, di eventi che hanno le loro radici addirittura negli anni
Quaranta e Cinquanta, quando egli era un bambino e poi un fanciullo a
Torremaggiore nella Puglia ove nacque e dove vide spuntare i primi soldati
“mericani” sbarcati da poco che risalivano lo Stivale diretti verso il
Nord, un itinerario che una ventina di anni dopo avrebbe intrapreso anche lui
sul treno “Lecce-Torino carico di migranti pugliesi poveri e disperati con
destinazione Malàno o Turìno...”.
A
differenza però di quei suoi conterranei “poveri e disperati”, De Vito aveva
frequentato le scuole, aveva studiato legge ed era diventato avvocato e poi, per
una coincidenza fortuita, giornalista, professione che avrebbe esercitato fino
alla pensione non limitandosi a scrivere articoli ma anche assumendo incarichi
dirigenziali negli organismi di categoria. Che la scrittura fosse la sua vera
vocazione non possono esserci dubbi di sorta. Basta scorrere questo e gli altri
libri che ha scritto per convincersene. La sua prosa è come un torrente in
piena: quando esonda, l'acqua produce una serie di ruscelli che si diramano in
varie direzioni, a volte convergenti, altre volte no. In questo suo ultimo libro
i casi giudiziari si mescolano con alcune esperienze di inviato all'estero per i
due giornali in cui ha lavorato: la
redazione torinese dell'Unità e La Stampa e con tutta una serie di notazioni e
riflessioni pertinenti e stimolanti
su aspetti, vicende e protagonisti della vita nazionale, fino a formare un
amalgama variamente sfaccettato ma al tempo stesso miracolosamente compatto e
unitario.