Intervista a Massimo Gandolfini*
neurochirurgo, neuropsichiatra, bioeticista
Neurochirurgia e dignità della persona
Se manca quest’ultima siamo al
livello dei medici nazisti Mengele, Racher e Brandt
di Luisa Monini
Massimo Gandolfini (foto a sinistra), neurochirurgo, neuropsichiatra,
bioeticista, è un uomo che ama la vita e la difende ovunque:
sul
tavolo operatorio così come negli accesi dibattiti in cui reclama i diritti dei
non ancora nati, di quelli non ancora morti e, ancora, i diritti della famiglia,
madre, padre e figli. “ In Italia stiamo vivendo l’inverno della natalità”
sostiene il neurochirurgo “non c’è più ricambio generazionale, andiamo verso una
popolazione di tanti vecchi e pochissimi giovani. Ci sarebbe dunque da dire ai
giovani moltiplicatevi e ai politici di fare scelte a sostegno della famiglia,
invece di inventarne tipologie diverse”. Gandolfini ha idee molto chiare sul
ruolo della famiglia e sul valore della vita che lui, da uomo e chirurgo,
difende con Coscienza e con tutto ciò che la Scienza oggi mette a disposizione.
A cominciare dalla Tecnologia in ambito diagnostico. “Il Neuroimaging con i suoi
innovativi strumenti di indagine consente di visualizzare il cervello dal vivo,
di conoscere com’è fatto e di capire come realmente funziona, orientando verso
scelte chirurgiche precise con la valutazione di possibili effetti collaterali.
“Per me - ricorda Gandolfini - vedere la prima TAC-encefalo, alla fine degli
anni ‘70, è stato come scoprire il volto oscuro della luna. Dopo si è aperta
anche tutta un’altra frontiera che è quella, lo dico tra virgolette, della
manipolazione cerebrale, come la Stimolazione Cerebrale Profonda”. Il
neurochirurgo spiega che la DBS, nata per la cura di forme particolari di
Parkinson, ha nel tempo ampliato le sue indicazioni e oggi è usata anche per la
cura di alcune forme psichiatriche. Questo, secondo Gandolfini, apre a un
importante tema etico: fino a che punto è lecito all’uomo manipolare un altro
uomo. “ Perché se l’elettrodo invece di inserirlo, come normalmente si fa,
nell’ansa reticolare, lo si posizionasse nell’amigdala si sconvolgerebbero la
vita emozionale e sentimentale di una persona. Questo impone ai medici un codice
di autoregolazione etica basato su due principi: il rispetto della vita e
il rispetto della dignità della persona”.
Altrimenti, spiega il neurochirurgo, avvengono gli obbrobri che annualmente si
celebrano nel giorno della Memoria. I medici nazisti Mengele, Racher e Brandt,
fecero sperimentazione umana in corpore vivo scavalcando ogni forma di dignità
della persona. “Solo se noi teniamo fermo il caposaldo della difesa della vita
umana, sempre, e quello della dignità della persona, sempre, possiamo fare una
vera Medicina”.
Cosa pensa lei della possibilità con i test genetici di conoscere il proprio
futuro? Qual è in questo caso il ruolo del medico?
“Penso che la soluzione è, ancora una volta, nell’eticità della classe medica.
Giovanni Paolo II ebbe a dire alla Società Italiana di Trapiantologia che tutto
ciò che è tecnicamente fattibile deve anche essere eticamente lecito. L’Hasting
Center, una delle cattedrali della bioetica laica, afferma che dobbiamo con
chiarezza porre dei limiti alla nostra potenza di ricerca e di tecnica. Qual è
il limite? Il limite è il rispetto della vita e della dignità umana. Siamo
sempre lì. Lei faceva l’esempio del genoma attorno al quale oggi è nato un
business enorme; numerosi siti americani assicurano, con il solo invio di una
goccia di sangue, il sequenziamento del genoma, consegnato poi a casa a fronte
di poche migliaia di euro. Dopodiché c’è il problema della lettura di ciò che è
stato mappato. Dell’Alzheimer per esempio si dice che è una malattia genetica ma
bisogna spiegare alla gente che nelle malattie plurigeniche o multigeniche, è la
combinazione del funzionamento di questi geni fra di loro che può determinare la
malattia, non la presenza dei singoli geni difettosi. Se non si spiega questo le
persone penseranno che, trovati i geni difettosi, non si fa altro che colpirli,
guarendo così dall’Alzheimer. No. Perché la soluzione non è nel trovare i dieci
geni, ma capire come interagiscono fra loro, condizionandosi sino a causare la
malattia. E’ anche importante dire
che esistono le malattie monogeniche, determinate cioè da un solo gene e che ci
sono i cosiddetti geni di suscettibilità. La suscettibilità non vuol dire che tu
ammalerai di quella malattia. Hai solo qualche probabilità in più. Bisognerebbe
poi spiegare bene alle persone che il genoma si modifica continuamente nel suo
funzionamento nell’arco della giornata. A sostegno di questa tesi Gandolfini
cita ad esempio Jimmy Fixx, il padre del jogging morto improvvisamente a 56 anni
dopo aver praticato una vita salutista e essersi fatto
fare la mappa genetica. Dall’altra parte il chirurgo ricorda Winston
Churchill: obeso, grande fumatore, bevitore, mangiatore, vita stressante, morto
a 90 anni. “Non è facendo la fotografia del nostro genoma che conosceremo il
nostro futuro” asserisce Gandolfini e consiglia prudenza nel fare questo genere
di equazioni “ Perché in Medicina 2 più 2 non fa sempre 4”.
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Presidente Associazione Medici Cattolici Regione Lombardia
Vice-presidente nazionale Associazione “Scienza & Vita”
Membro del Comitato Etico dell’ Ordine dei Medici di Brescia
Membro del Board Bioetico della Fondazione Poliambulanza
Perito Neurochirurgo presso la Santa Sede
Membro del Gruppo di Neurobioetica, Pontificio Ateneo “Regina Apostolorum” ,
Roma
Membro della Società Italiana Bioetica e Comitati Etici (SIBCE)