Microplastica:

i potenziali danni per l’uomo

 

di Bartolomeo Buscema

 

Dislocazione delle isole di immondizia negli oceani

“Disseminare il mondo di rifiuti, costruire strutture mostruose, consumare e sprecare per distrarsi dalla noia, non è semplicemente illegale, immorale o antisociale, oltre che nocivo alla salute. E’ anche vergognoso e offensivo nei confronti del mondo”. (James Hillman).

La frase, appena citata, dello psicanalista statunitense ci colpisce per la sua aderenza alla realtà: stiamo per essere sommersi da una lunga lista interminabile di rifiuti, la maggior parte dei quali è tossica per l’uomo e per l’ambiente. E la plastica sembra proprio essere tra i primi in elenco. Nel mondo, ogni anno, si producono circa 300 milioni di tonnellate di plastica di cui, oltre il 40 per cento, è usato una volta soltanto, a volte per meno di un minuto. A livello mondiale, una minima quantità finisce nei cassonetti per essere riciclata; la maggior parte, purtroppo, si disperde nell’ambiente causando non pochi problemi all’uomo e agli ecosistemi.

Qui, vogliamo puntare i riflettori su quell’ammasso  di plastica che galleggia sull’Oceano Pacifico (fra il 135º e il 155º meridiano Ovest e fra il 35º e il 2º parallelo Nord), la cui estensione  oscilla tra circa 700.000  fino a più di 10 milioni di chilometri quadrati. Anche l’oceano Atlantico, vicino al Mar dei Sargassi, ha la sua discarica flottante: un’isola di frammenti plastici di piccole dimensioni che si è formata negli anni Cinquanta ed è continuamente alimentata dagli scarti che provengono per il 20% da navi e dalle piattaforme petrolifere e per l'80% direttamente dalla terraferma. Per ora non ci risulta che ci siano altre significative isole galleggianti di plastica nell’oceano Indiano. Un caso che ogni tanto riempie le pagine dei giornali è quello di Tilafushi, un’isola di spazzatura lunga sette chilometri e larga 200 metri collocata a circa otto chilometri dalla capitale delle Maldive.

Un quadro globale non certamente roseo se si pensa che dagli anni 50 a oggi sono stati prodotti in tutto il mondo oltre 8,3 miliardi di tonnellate di plastica e che tali manufatti rimangono nell’ambiente per secoli.

Ma, oltre al fatto visivo, quello che preoccupa molti addetti ai lavori e che tali ammassi con l’azione del mare si frantumano generando microfibre di plastica, più piccole di un millimetro, che vengono mangiate dai pesci entrando così nella catena alimentare e finendo nel nostro organismo con conseguenze potenzialmente disastrose.

Purtroppo, il Mediterraneo sembra essere il mare più colpito al mondo dalla presenza di microplastiche. Come ci conferma un recente studio, pubblicato su Scientific Reports, effettuato dall’Ismar Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche di Lerici) in collaborazione con l’Università di Ancona, del Salento e dell’Algalita Foundation californiana.

La Grande chiazza di immondizia che si è formata nella zona di convergenza del Vortice subtropicale del Nordpacifico

Purtroppo, le microfibre di plastica sono presenti anche nell’acqua che sgorga dai rubinetti. Ad informarci  sono gli esiti di una ricerca   congiunta  tra Orb Media, un sito di informazione non profit di Washington, e le Università statali di New York e del Minnesota. Su 159 campioni di acqua potabile di città grandi e piccole nei cinque continenti, è stato riscontrato che l’ottantatré per cento di questi campioni, compresa l’acqua che esce dalla sede dell’Agenzia americana per la protezione dell’ambiente (EPA), contiene microscopiche fibre di plastica. Non se ne conosce ancora l’esatta provenienza, anche si ci sono alcuni sospetti che la microplastica potrebbe provenire dai filtri di addolcimento dell’acqua tramite il processo di osmosi inversa e dal lavaggio di vestiti sintetici. Un problema che, comunque, è all’attenzione dei grandi marchi dell'abbigliamento che stanno intensificando la ricerca per migliorare i loro tessuti sintetici in modo da ridurre l'inquinamento da fibre. Anche i costruttori di lavatrici sono alle prese con filtri particolari da inserire nel cestello per ridurre le emissioni di fibre durante i lavaggi che inevitabilmente finiscono nelle acque di scarico e quindi nell’ambiente. Bisogna rilevare, purtroppo, che l’EPA (l’Agenzia americana per la protezione dell’ambiente), non le ha nemmeno inserite nella lista delle possibili sostanze contaminanti rinvenibili nell’acqua di rubinetto. Mentre l’Unione Europea impone agli Stati membri di garantire che l’acqua potabile sia libera da sostanze contaminanti, non specificando, però, quali. Sta di fatto che gli effetti sull’uomo della contaminazione da microplastica sono oggetto di molti studi in diverse parti del mondo. Gli scienziati temono possibili fenomeni di bioaccumulo di agenti patogeni, trasportati proprio dalla microplastica, che potrebbero influire negativamente anche sulla formazione delle cellule umane. Ma che cosa può fare ciascuno di noi per limitare tale inquietante fenomeno? Ecco, tra i tanti, tre comportamenti virtuosi.

1) Per fare la spesa, non utilizzare i sacchetti di plastica preferendo l’uso delle borse riutilizzabili. Un sacchetto di plastica per degradarsi biologicamente impiega fino a 500 anni nell’acqua degli oceani. Un tempo lunghissimo che aumenta la probabilità di finire negli stomaci di tartarughe e altri animali marini.

2) Rinunciare alla cannuccia di plastica preferendone un’analoga riusabile di metallo o di legno.Ogni giorno nel mondo si utilizzano, per circa una ventina di minuti, un miliardo di cannucce di plastica che inevitabilmente vanno a finire nel cassonetto.

 3) Limitare l’uso di “pile”, un tessuto sintetico ricavato dal poliestere, preferendo la lana, consapevoli che in un solo lavaggio un indumento in “pile “ può perdere fino a 1900 fibre sintetiche che inevitabilmente finiscono in mare per trasformarsi in microplastica.

Il Galileo