IL 1917 IN GAVETTA
Fu la fame a determinare le sorti
della prima guerra mondiale?
Dal blocco navale inglese che affamò gli imperi centrali all’imboscamento delle
navi mercantili in Italia
di Sergio Tazzer
Vorrei proporre uno sguardo particolare, soggettivo, diverso sul 1917, che fu
definito l'anno della guerra (come se gli altri fossero stati anni di
trastullo). La mia proposta è di osservare piatto (dei civili) e gavetta (dei
militari).
Die Seeblokade, il blocco navale dell'Intesa, e sarebbe meglio dire: del Regno
Unito, funzionò, nonostante la batosta della Royal Navy subita nella battaglia
dello Jutland: si parlò poi di vittoria tattica della marina tedesca, ma alla
fine sui mari Londra conseguì ciò che cercava: la vittoria strategica.
Che cosa significò per gli Imperi Centrali il blocco navale? Immaginiamo
l'assedio di un castello nel Medio Evo, che finiva con la capitolazione per
fame. Qualcosa del genere accadde anche per Germania, Austria-Ungheria, Bulgaria
e Impero Ottomano. E pensare che, dopo la sconfitta della Serbia, gli Imperi
Centrali avendo conquistato il passaggio via terra senza soluzione di continuità
verso Istanbul contavano sull'aiuto alimentare turco. Invece lo stesso Impero
Ottomano era alla fame.
Pieve Soligo. forni da pane tedeschi
La Germania decise dunque di intensificare la guerra sottomarina nell'Atlantico
e nel Mediterraneo, danneggiando i commerci americani con l'Intesa, tanto da
fare entrare gli USA in guerra il 6 aprile.
Il 2 marzo lo zar Nicola II, dopo la cosiddetta rivoluzione di febbraio, aveva
abdicato: era nata la repubblica il cui governo provvisorio aveva deciso di
continuare la guerra, ma le truppe erano indebolite e non motivate. I tedeschi
riuscirono a penetrare nel territorio russo e dopo la rivoluzione d'ottobre, che
portò al potere i bolscevichi di Lenin, la Russia uscì dalla guerra.
Germania e Austria-Ungheria poterono così rafforzare la prima il proprio fronte
occidentale, la seconda il fronte meridionale.
Pola, assaggio del menate (il rancio austriaco) bordo di una nave austriaca
Insieme sferrarono il 24 ottobre la dodicesima battaglia dell'Isonzo, che per
gli italiani fu la disfatta di Caporetto. La battaglia si concluse il 12
novembre: gli attaccanti ebbero 50 mila tra morti e feriti, ma per l'Italia fu
una catastrofe, con 15 mila caduti, 30 mila feriti, 275 mila prigionieri, 350
mila soldati sbandati e oltre mezzo milione di profughi, senza contare lo
straordinario bottino di guerra in armi pesanti e leggere, viveri, mezzi di
trasporto e tantissimo altro abbandonato dal regio esercito nella sua ritirata.
L'unico aspetto positivo fu l'accorciamento del fronte.
Il capo di Stato maggiore, generale Luigi Cadorna, fu rimosso e sostituto dal
generale Armando Diaz.
R
La prima battaglia del Piave, battaglia di resistenza dal Grappa alle spiagge a
nord di Venezia, vide i resti dell'esercito respingere tedeschi e
austro-ungarici. In dicembre giunsero rinforzi britannici e francesi.
Il paese comprese che sulla nuova linea si decidevano le sorti dell'Italia.
Ma era un'Italia diversa da quella delle “radiose giornate” del maggio 1915.
Un paese chiuso in se stesso, pieno di problemi, il primo dei quali era
rappresentato dalla pura e semplice sussistenza.
Alcune cifre per quanto riguarda i soldati. Nel 1915, all'entrata in guerra, il
rancio del combattente era di 4.082 calorie: una razione alimentare adeguata e
ricca, se si pensa che in Italia solo nella metà degli anni Sessanta di
raggiunse la media pro capite di 3.600 calorie.
Le razioni erano di tre tipi che variavano dal fronte di combattimento (razione
normale di guerra e razione invernale di
guerra)
alle retrovie, dove veniva distribuita la razione territoriale modificata con un
numero inferiore di calorie. C'era poi la razione di riserva, costituita da un
pacchetto con 400 grammi di galletta ed una scatola di carne bovina in conserva
da 220 grammi: poteva essere aperta e consumata solo su autorizzazione degli
ufficiali in comando.
La razione ordinaria in tempo di pace, secondo le direttive del servizio di
vettovagliamento, era composta da 700 grammi di pane e suddivisa in due parti:
fondamentale e completiva. La parte fondamentale era formata da 200 grammi di
carne, da 200 grammi di pasta (oppure 180 grammi di riso). Un quarto di vino
veniva distribuito tre volte la settimana. Quotidianamente il caffè: 25 grammi
di caffè tostato o 12 grammi e mezzo di caffè crudo, con 15 grammi di zucchero.
La parte fondamentale era uguale per tutti i corpi e non poteva essere variata o
ridotta per nessun motivo, salvo espressa disposizione del ministero della
Guerra.
La parte completiva comprendeva il sale, il lardo e altri generi di condimento
per un valore di 8 centesimi di lira (8 e mezzo quando si consumava riso).
Il vettovagliamento di guerra vide un aumento delle quantità: 750 grammi di
pane, 375 grammi di carne bovina fresca, 150 grammi di pasta o riso, 350 grammi
di patate oppure 250 di legumi secchi, oltre a 15 grammi di caffè, 20 di
zucchero e un quarto di litro di vino; poi 15 grammi di lardo, 15 di sale, mezzo
grammo di pepe. Avvertenza: patate, legumi e vino sarebbero stati distribuiti
quando si fosse presentata la possibilità di reperirli sul posto.
Fin da subito il servizio di vettovagliamento riscontrò grosse difficoltà fra
teoria e pratica, soprattutto nella macellazione dei bovini in montagna, ma
anche a ridosso delle linee dell'Isonzo. Del pane i soldati lamentavano la
cattiva qualità, causata da conservazione inidonea e da lunghi trasporti.
Nel 1917 la razione alimentare del combattente venne ridotta a 3.850 calorie, e
dopo Caporetto piombò 3.067, per
risalire a 3.850 nel giugno 1918 sotto il comando di Diaz, che ordinò anche la
distribuzione di un sigaro toscano al giorno. Nella razione alimentare a fine
1917 entrarono la verdura (200 grammi) e il formaggio (mezzo etto), mentre
diminuirono i legumi secchi. Aumentò il caffè e il rancio venne integrato, in
zona di operazioni, con mele, arance, castagne fresche o secche e fichi secchi.
Che cos'era accaduto? L'Italia non era autosufficiente dal punto di vista
alimentare e il governo Salandra dimostrò la sua insipienza non approfittando
dei dieci mesi di attesa (la guerra era scoppiata a fine luglio 1914) per
rafforzare le sue scorte alimentari.
Dichiarata la guerra all'Austria-Ungheria il 23 maggio 1915, seguirono alcuni
mesi prima di fare altrettanto con l'Impero Ottomano (21 agosto 1915).
La Turchia chiuse alla navigazione mercantile italiana Bosforo e Dardanelli, e
così venne a mancare l'importazione di cereali dalla Russia ed anche dalla
Romania.
Dall'America il governo di Roma diede la corsia preferenziale alle forniture di
armamenti e di materiali utili all'industria bellica e solo una quota inferiore
riguardò cereali e carne congelata, proveniente soprattutto dall'Argentina.
Di nostro, tutto italiano, ci fu il fenomeno dell'imboscamento delle navi da
parte degli armatori. Essi da un lato temevano che le loro unità potessero
diventare bersaglio dei siluri tedeschi, dall'altra speculavano sulla forbice
della domanda, tanta, e dell'offerta, poco, essendo i loro piroscafi tenuti nei
porti. Il presidente del Consiglio Paolo Boselli, succeduto a Salandra che si
era dimesso dopo la Strafexpedition della primavera, chiamò a Roma capitan
Giuseppe Giulietti, carismatico capo del
sindacato della gente di mare. Questi si scatenò come una furia, incurante delle
minacce, e riuscì a debellare il ben poco patriottico raggiro degli imboscamenti
delle navi.
Da considerare che via mare, tra il 1915 ed il 1918, con 11 mila trasporti via
mare giunsero ben 51 milioni di tonnellate di merce, dei quali 49 via Gibilterra
e 2 via Canale di Suez.
Le campagne, con la chiamata alle armi dei maschi, pur lasciate al lavoro delle
donne, dei vecchie e dei bambini non riuscivano a produrre i quantitativi di
cereali prebellici. Mancava poi all'appello anche la gran parte della ricca
agricoltura del Nord Est, campo di battaglia e retrovie.
Si discusse allora di rendere produttivi i terreni incolti, ma l'idea trovò una
dura opposizione da parte degli agrari, soprattutto nel Meridione.
Nel marzo 1917 gli agrari fondarono l'Associazione per la difesa
dell'agricoltura nazionale per «combattere la propaganda sovversiva che mira a
separare e a rendere antagonisti gli elementi della produzione», trovando
orecchie attente nel ministro dell'Agricoltura Giovanni Raineri. L'interventismo
dal canto suo coniò lo slogan della «terra ai combattenti».
Il governo studiò un pacchetto di provvedimenti tesi a stimolare le produzioni
agrarie, fra i quali c'erano la coltivazione coattiva e la requisizione
temporanea delle terre abbandonate con il loro affidamento ad associazioni
agrarie. Ma venne Caporetto e non se ne fece niente.
Il governo, quelle sì, fu costretto a varare misure volte al risparmio
alimentare.
Così, ad esempio, nel dicembre 1916 i prefetti avvisarono i sindaci che un
decreto luogotenenziale obbligava a vendere il pane solo raffermo, vietando il
pane fresco: «Nessuno potrà produrre pane di frumento se non sia preparato a
norma delle vigenti disposizioni ed in forme lisce del peso non inferiore a 250
grammi. Il pane deve essere venduto a peso e non può essere messo in vendita o
somministrato, se non nel giorno successivo a quello della cottura. Non può
essere sottoposto a provvedimenti speciali di conservazione tendenti a
mantenerlo o a farlo diventare fresco».
Il 12 dicembre un altro decreto diede un giro di vite agli alberghi, ristoranti
ed in tutti i pubblici esercizio disciplinando il consumo degli alimenti. In
Francia, tanto per precisare, il 25 gennaio il governo impose a ristoranti,
bistrò, locande eccetera di servire non più di due portate per pasto.
In primavera nel nostro paese i prefetti ordinarono la denuncia obbligatoria del
grano, anche delle giacenze per autoconsumo. La denuncia valeva anche per avena
e orzo. Venne anche varata la requisizione dei cereali. La misura non valeva per
il farro, considerato mangime per il bestiame.
A marzo fu vietata la produzione di dolciumi; ne venne normata la vendita delle
giacenze, che poteva avvenire così: confetti in sacchetti da 200 grammi;
caramelle e cioccolatini in confezioni da 100 grammo. Il 25 per cento del
ricavato doveva andare alla Croce Rossa Italiana.
A luglio venne vietato di esportare tra una provincia e l'altra formaggi e altri
generi alimentari.
Dopo Caporetto, altro giro di vite. Nelle trattorie, nelle pensioni, negli
alberghi ed in altri esercizi di ristoro il pane doveva «essere somministrato in
fette sottili non abbrustolite, dello spessore non superiore a 2 centimetri e
non più di 80 grammi a persona».
A dicembre entrò in vigore la denuncia obbligatoria delle conserva di pomodoro.
Anche la carta venne razionata, permessa solo «quando trattasi di generi
alimentari, drogheria, medicinali, restando vietato l'uso per tutti gli altri
generi».
Questo nel 1917, perché nel 1918 venne limitato il consumo dell'olio,
disciplinandone produzione e vendita, mentre negli esercizi pubblici due giorni
la settimana non poteva essere servita la pasta.
Tutti furono chiamati alla sobrietà: ci fu chi rispettò, volente o nolente,
l'invito; chi invece non ne tenne conto e avendone i mezzi visse alla grande; ma
la maggioranza strinse la cinghia, perché i prezzi erano saliti e le
disponibilità di salario o di stipendio erano rimaste ai livelli di prima della
guerra.
Il rispetto dei decreti e delle proibizioni non fu omogeneo sul territorio
nazionale: vi furono sprechi, ruberie, incuria.
In generale diminuirono le produzioni del grano, delle patate, del vino e del
latte; aumentarono invece quelle del riso, del mais e dell'olio d'oliva.
L'autosufficienza alimentare rimase un traguardo irraggiungibile.
I sacrifici si sommarono ai sacrifici e lo stesso ex presidente del Consiglio
Giovanni Giolitti, il 13 agosto parlando a Cuneo, denunciò la «disuguaglianza
dei sacrifici» affrontati per la guerra, la quale aveva rivelato non solo «le
eroiche virtù del nostro esercito e del nostro popolo» ma aveva fatto vedere
anche «la insaziabile avidità di danari, disuguaglianze nei sacrifici,
ingiustizie sociali».
Il filosofo Benedetto Croce scrisse all'amico Vittorio Emanuele Orlando,
presidente del Consiglio dopo i fatti di Caporetto, che la gente a Napoli covava
«propositi di rivolta» aggiungendo: «Ne è cagione soprattutto la lunga e spesso
vana attesa presso le botteghe dei panettieri e dei pastai».
Le rivolte, soprattutto nel 1917, in Italia non mancarono, con le donne
protagoniste (essendo gli uomini al fronte). La rivolta più nota e più cruenta
fu quella di Torino dell'agosto 1917.
Dopo Caporetto la parola d'ordine generale fu quella di resistere e la
Confederazione generale di lavoratori, sindacato unico, chiamò a «raccogliersi
in un supremo sforzo di volontà, per respingere gli assalitori» aggiungendo
senza giri di parole che «quando il nemico calpesta il nostro suolo, un solo
dovere si ha, quello di resistergli».
Grazie ai convogli, realizzati finalmente nel maggio 1917 (gruppi di mercantili
scortati da navi da guerra), la minaccia dei sommergibili tedeschi ebbe un freno
significativo.
Nell'aprile 1917 gli alleati persero, silurato dai sottomarini nemici, quasi un
milione di tonnellate di naviglio mercantile.
Winston Churchill ammise che «in aprile la grande direttrice di accesso
all'Irlanda sud-occidentale stava diventando un vero cimitero di navi inglesi».
Senza contare le navi che battevano altre bandiere; ma anche che nel
Mediterraneo si ebbe un quarto degli affondamenti di mercantili: 3 milioni e 700
mila tonnellate sui 12 milioni e 500 mila di tutto il conflitto.
Dall'altra parte del fronte, nonostante la guerra sottomarina, la situazione da
critica divenne drammatica a causa del blocco marittimo.
La sola Germania alla fine del conflitto denunciò 762 mila morti di fame.
Si aggiunse alla Seeblokade il crollo dell'agricoltura.
I prezzi dei generi alimentari aumentarono.
Fu introdotto un rigido razionamento ed apparvero i surrogati più fantasiosi.
Il pane, il K-Brot, ossia il Kriegsbrot, il pane di guerra, poté essere
confezionato con l'aggiunta del 30 per cento di patate (anche per questo molti
interpretarono K-Broot, im Kartoffelnbrot, pane di patate).
Emerse lo Schleichhandel, il mercato nero, che si diffuse rapidamente anche in
Austria-Ungheria, dove alla pasta del pane fu aggiunto di tutto: a Trieste ci si
lamentò dell'immangiabile pan de paja, pane di paglia.
La carestia in Germania spinse già nel 1915 il governo di Theobald von
Bethmann-Hollweg a prendere il controllo assoluto di tutte le derrate e di tutte
le forniture militari.
A Vienna il primo ministro Karl von Stürghk il 26 gennaio, sempre del 1915,
cinque mesi prima della guerra contro l'Italia ma con l'esercito duramente
impegnato sul fronte russo, ordinò la requisizione generale di tutte le
granaglie e di tutte le farine.
L'anno dopo fu proibito per tre giorni la settimana il consumo della carne
(quando la si poteva trovare).
A Vienna si registrò un picco di 800 morti di fame in una settimana: la
situazione era veramente durissima, aggravata dalla mancanza di legna da ardere
e di petrolio per le lampade.
Si scatenò la caccia a tutto quanto era commestibile e dignitose signore ed
anziani cittadini si sparsero nelle campagne circostanti la capitale a
raccattare le patate rimaste nei campi dopo il raccolto.
L'inverno 1916-1917 fu molto rigido: passò alla storia come lo Hungerwinter,
l'inverno della fame. In Germania fu anche chiamato Kohlrüberwinter, l'inverno
della rape, che prima della guerra erano usate come foraggio per il bestiame, e
che invece furono razionate in sostituzione delle patate. Furono anche
soprannominate Hindenburg-Knolle, tuberi di Hindenburg, dal nome del comandante
militare supremo tedesco.
Alla tragedia della fame ci fu qualche funzionario tedesco che aggiunse il
comico del suggerimento di come farvi fronte: da razione (teorica) poteva essere
suddivisa in trenta bocconi per un totale di 2.500 masticazioni da effettuarsi
in mezz'ora.
A Vienna i caffè non avevano caffè e davanti ai negozi ancora aperti si
formavano file interminabili.
Karl Kraus commentò: «Si vive per mangiare, ma si fa la fame».
Già nel 1915 in Germania si era assistito alle prime Hungerkrawalle, le sommosse
della fame, che si allargarono all'alleata Austria-Ungheria.
In Boemia e Moravia scoppiarono le hladové demonstrace, le dimostrazioni della
fame, nelle quali si innestarono le rivendicazioni nazionali predicate da Tomáš
Masaryk.
Il 26 ottobre 1916, mentre pranzava in un ristorante di Vienna, il primo
ministro von Strürgkh fu assassinato da colpi di rivoltella da Friedrich Adler,
al grido di «Abbasso l'assolutismo! Vogliamo la pace!»; neanche un mese dopo, la
sera del 21 novembre, nella sua brandina da campo nel Castello di Schönbrunn
moriva Francesco Giuseppe. L'imperatore aveva 86 anni e da 68 regnava.
Gli succedette il nipote Carlo, persona mite; bandì dalla mensa di corte il pane
bianco, che doveva – disse – andare agli ospedali. Forse non si rendeva conto
che mancava anche il pane nero. Per far fronte alla carenze, il giovane sovrano
nominò un generale, Ottokar von Landwehr-Pragenau, a capo della commissione per
il vettovagliamento; questi trovò i depositi vuoti.
Da Postumia, dove aveva il comando del fronte dell'Isonzo, Svetozar Boroevic
tempestava di richieste di viveri l'AOK, il comando supremo di Baden.
Lì il colonnello Theodor von Zeynek, gran quartiermastro dell'esercito, non
aveva molto da dargli e le Nachschub-Abteilungen, i reparti di trasporto e di
rifornimento, portavano alla Isonzo Armee straordinariamente di meno di quanto
necessitasse.
La Eßnapf, la gavetta smaltata del soldato austro-ungarico rimpiangeva i
gloriosi tempi di prima della guerra, quando la volle Portion, la razione
giornaliera di rancio era lussuosa, se paragonata ai grami tempi del 1917 in
guerra.
La volle Portion ai bei tempi prevedeva 400 grammi di carne, 140 di patate, 700
di pane (oppure 400 grammi di Zwieback, una specie di galletta), come condimenti
30 grammi di sale, mezzo grammo di pepe, i grammo di estratto, 5 di aglio o
cipolla, 2 centilitri di aceto, ma anche 36 grammi di tabacco, mezzo litro di
vino e 46 grammi di caffè.
Già nei primi mesi del 1914, dopo la batosta in Serbia e le sanguinose battaglie
in Galizia, i rifornimenti non furono in grado di rispettare le tabelle, e con
il blocco navale le cose peggiorarono di giorno in giorno. I Gulaschkanonen, le
cucine da campo mobili, bollivano di tutto, ma sempre meno nutriente.
Esisteva anche la Normalportion, che era simile alle volle Portion, ma che era
più limitata nelle proporzioni, con 40 grammi in meno di patate, metà tabacco,
niente cipolla, aceto e vino: competeva alle truppe territoriali.
La Reserveportion, la razione da combattimento, aveva carne in scatola
(confezioni da 200 o 400 grammi, in questo caso per due soldati), 200 grammi di
Zwieback, due pacchetti di caffè da 46 grammi, 18 grammi di tabacco e 30 grammi
di sale.
L'imperialregio soldato, se aveva soldi, poteva integrare il rancio nella
Merketenderei, lo spaccio reggimentale, dove trovava anche l'immancabile rum.
Quando l'Austria-Ungheria, anche per disperazione, attaccò il fronte italiano il
15 giugno 1918, raschiò il barile per fornire ai combattenti una dotazione
alimentare più ricca.
Nonostante questo e nonostante il valore delle sue truppe, l'imperialregia
armata fu respinta e attese che la guerra finisse.
I soldati che riuscirono a tornare alle loro case trovarono miseria e
rivolgimenti non solo sociali, ma anche politici e territoriali.
L'antica nemica Italia si accollò il fardello della fornitura di viveri e di
medicinali ad un'Austria nella miseria. A
Assieme alle truppe addestrate nel nostro paese offrì alla neonata
Cecoslovacchia convogli ferroviari di viveri, scortati da militari armati
nell'attraversamento del territorio austriaco.
L'euforia della vittoria, da noi, si dissolse ben presto nella delusione per le
disparità, le ingiustizie e le privazioni di un paese percorso dalla crisi
economica più grande dopo l'unità.
L'indice del costo della vita, stando agli indici registrati dall'Istituto
centrale di statistica, sono illuminanti: fatto 100 nel 1914, il costo della
vita aumenta di 7 punti (107) nel 1915; di 33,9 (133,9) nel 1916 fino a quasi
raddoppiare nel 1917: 189,4.
La lira perse valore e fra la fine della guerra ed il 1921 valeva un quindo del
1914.
Nel 1918 i salari reali diminuirono di circa un terzo e gli studiosi scrissero
di iponutrizione, ossia di insufficiente assunzione di elementi nutritivi in
grado di soddisfare il fabbisogno energetico quotidiano.
I ceti medi, proprio quelli che più avevano sostenuto l'interventismo,
risultarono i più bastonati e delusi.
Il vecchio regime liberale non fu più in grado di dare risposte concrete,
spalancando così le porte al fascismo. Ma questa è altra storia.