ODIO ERGO SUM

 

CRISI ETICA E MORALE

AL TEMPO DEI SOCIAL

 

di Sabrina Scollica

 

Giorni fa facendo zapping alla Tv in una mattinata uggiosa di inizio autunno, la mia attenzione è stata attirata da una nuova campagna promossa da una nota giornalista e conduttrice Tv dal titolo #odiolodio, volta a smascherare individui che con la scusa dell'anonimato da tastiera vomitano sui principali social insulti sgrammaticati verso chicchessia, solo perché ha espresso un opinione.

Logo della campagna "odio l'odio" (http://www.la7.it/sites/default/files/lanci/img/LACT%20odiolodio.jpg)

Mi sono ricordata allora di un articolo di Umberto Eco, letto un paio d'anni fa, quanto mai attuale nell'era dei cosiddetti haters, coloro per cui odiare via web è assurta a vera e propria professione a tempo pieno.

«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli» [http://www.lastampa.it/2015/06/10/cultura/eco-con-i-parola-a-legioni-di-imbecilli-XJrvezBN4XOoyo0h98EfiJ/pagina.html], diceva Eco. I cosiddetti "scemi del villaggio", immagine proposta nella TV generalista di anni fa, ora, sosteneva il premio Nobel, sono stati promossi dal web a portatori di verità.

Cercando di fare un passo in più nella visione pur ineccepibile di Eco, amplierei la panoramica alla società nel suo complesso, alle sue dinamiche non solo nella realtà virtuale, ma anche fuori dal gorgo dei social e del web in generale.

Non solo è vero che l'anonimato che offre la rete, la totale esclusione della prossimità e del non verbale, consente di parlare senza filtri scaricando tutte le frustrazioni tipiche del nichilismo delle attuali società contro chicchessia, ma è vero anche il contrario. Se sminuiamo le nostre azioni sul web perché, solo virtuali,  non crediamo abbiano una conseguenza nella vita reale, è anche vero che condividiamo notizie che virtuali, parziali, spesso false, vengono viste come verità assolute, fatti reali e concreti.

Notizie reali vengono trasformate in spettacoli da social, non concentrandosi sul fatto in sé e sulla morale che se ne può ricavare, ma focalizzandosi su attori di seconda fila, immortalati incessantemente in una specie di reality show che alla fine dimentica le vittime della vicenda: pensiamo agli stupri avvenuti negli ultimi giorni, sintomo di quel modello culturale di fondo machista che sta ritrovando vigore sotto la coperta dei social; tutti parlano degli stupratori, condannandoli o purtroppo giustificandoli, ma chi parla delle vittime? Chi sente il loro racconto, si cala nel loro punto di vista? [http://www.repubblica.it/rubriche/l- amaca/2017/09/17/news/amaca_17_settembre_2017-175744680/]

Di più, l'odio e la mancanza di rispetto che vediamo, e che soprattutto i più giovani vedono, sono uscite dalla realtà parallela del web per riversarsi nella vita reale.

Pensiamo anche in considerazione degli ultimi fatti di cronaca sopracitati, a uno dei principali oggetti, insieme ai migranti, dell'odio on line: le donne. Secondo una recente ricerca internazionale dell'Inter-Parliamentary Union, oltre l'80% delle donne parlamentari di 39 paesi del mondo è stata minacciata di morte, stupro, rapimento e il 65% ha ricevuto osservazioni sessiste o profferte sessuali. [http://www.huffingtonpost.it/marco-chiesara-/la-piramide-d-odio-contro-le-donne-dai-discorsi-sul-web-alla-violenza-fisica_a_23215999/]

Offese virtuali si trasformano spesso in episodi di violenza verbale nel mondo reale, purtroppo non solo verbale, come ci ricordano tristemente i fatti degli ultimi giorni.

L'insulto online, tutt'altro che scevro di conseguenze nella vita quotidiana, ha portato a un peggioramento del modello culturale di donna, già in parte compromesso dalla Tv generalista italiana, che, ignara di conquiste, se pur parziali, delle lotte femministe, presenta modelli di donna oggetto, stereotipandola a cliché, corpo fisico alla mercé degli apprezzamenti maschili, spesso, per mio rammarico, ricercati dalle donne stesse come segno di considerazione e rispetto. Guardando ai programmi di punta delle nostre reti una delle prime immagini che ci vengono in mente, subito dopo quella del conduttore, è quella di una serie di veline, letterine, vallette,…

Per rompere questa spirale discendente bisogna agire intaccando alla base quegli stereotipi che ora viaggiano a velocità ultrarapida grazie al web e ai social, in particolare rivolgendosi ai più esposti ai messaggi parziali dei tweed e dei post, nonché agli adulti del futuro: i giovani e giovanissimi, nativi digitali indotti sempre più precocemente a crearsi un'identità virtuale.

Norme e sanzioni pecuniarie contro gli odiatori, come proposto nel "codice di condotta europeo dei social" sono misure necessarie ma non sufficienti. Bisogna educare e sensibilizzare ragazzi e ragazze a un valore alla base della civile convivenza, ma quanto mai dimenticato al giorno d'oggi: il rispetto verso se stessi e verso il prossimo. E perché non usare proprio un mezzo quale i social, in grado di raggiungere in poco tempo migliaia di persone, sì virtuali, ma con una vita al di là del monitor fatta di incontri, amicizie, amori, facce e corpi per nulla diversi in quanto a anima e coscienza rispetto alle persone odiate online? Perché non cercare di tramutarli da strumenti che disincentivano la riflessione a occasione per incentivare il pensiero critico, per "pubblicizzare" la moralità?

Un iniziativa in questo senso che trovo apprezzabile è proprio quella della campagna #odiolodio, che condivide a un più vasto pubblico i commenti a post e tweet degli haters, rendendoli persone reali e non più solo nicknames attraverso la diffusione di nome e cognome degli insultanti.

Il Galileo