un problema sanitario di dimensioni epidemiche
Così l’OMS. Ma è soltanto un problema sanitario?
di Luisa Monini
Non gridò. Cadde dolcemente come cade un albero.
Non fece neppure rumore sulla sabbia.
[“Il piccolo principe” di Antoine-Marie-Roger de Saint-Exupéry]
Mai come in questo periodo storico, critico da molti punti di vista, i fatti
parlano da soli. Tuttavia gli ultimi episodi di violenza sessuale agita su donne
da giovani extracomunitari meritano di essere commentati e dunque bisogna
parlarne e scriverne per ricordare che la violenza contro le donne rappresenta
“un problema sanitario di dimensioni epidemiche” così com'è stato definito dall'
OMS che ha condotto il più grande studio mai fatto sugli abusi fisici e sessuali
subiti dalle donne in tutte le regioni del pianeta. Secondo il rapporto
dell'OMS, la violenza contro le donne rappresenta “un problema di salute di
proporzioni globali enormi”. Redatto in collaborazione con la London School of
Hygiene & Tropical Medicine e la South African Medical Research Council, il
rapporto analizza sistematicamente i dati sulla diffusione della violenza
femminile a livello globale, inflitta sia da parte del proprio partner, sia da
sconosciuti. Questi i dati più impressionanti emersi dall’analisi di 141
ricerche effettuate in 81 Paesi. Il 35% delle donne subisce nel corso della vita
qualche forma di violenza.
La violenza più comune è quella perpetrata da mariti e fidanzati. A esserne
vittime sono ben il 30% delle donne. E ancora: il 38% di tutte le donne uccise
muore per mano del partner.
Le donne vittime di violenza – quando l’episodio non sfocia in un omicidio –
risentono di gravi conseguenze sulla salute fisica, mentale, sessuale e
riproduttiva a breve e a lungo termine e spesso, ne sono vittima anche i figli.
Nel 42% dei casi si tratta di lesioni e infortuni, ma le donne vittime di una
violenza sessuale rischiano gravidanze indesiderate, aborti indotti, problemi
ginecologici, e infezioni a trasmissione sessuale, compreso l’HIV.
Non è il caso dunque di attendere Il 25 novembre, Giornata mondiale per
l’eliminazione della violenza contro le donne, per parlare di una delle più
diffuse violazioni dei diritti umani che colpisce donne di ogni età, etnia,
cultura e ceto sociale.
In tutto il mondo le bambine, a qualsiasi ceto sociale esse appartengano, sono
spesso vittime di abusi di vario genere, di atti di violenza inaudita inferti
loro proprio da chi dovrebbe tutelarne istruzione, salute e futuro. Il vero e
grande problema della violenza è di fatto legato a doppio filo alle complesse
dinamiche familiari che si consumano tra le mura domestiche e che vedono nel
ruolo del carnefice, lui: marito, fidanzato, padre, convivente, ex-coniuge,
comunque persona spesso amata da lei che incarna il ruolo della vittima. Nel
nostro Paese, negli ultimi anni, le violenze sessuali denunciate sono aumentate
perché finalmente le donne escono allo scoperto e segnalano i loro persecutori.
Nel periodo compreso tra gennaio e luglio 2017 le violenze denunciate sono state
2333, contro le 2345 nello stesso periodo dell'anno scorso. Dati recenti forniti
dal Ministero dell'Interno evidenziano che sono in aumento le violenze sessuali
commesse dagli italiani (1534 nei primi sette mesi di quest'anno contro i 1474
dello stesso periodo del 2016), mentre diminuiscono di poco quelle che vedono
gli stranieri responsabili dei 3/5 degli stupri (904 da gennaio a luglio di
quest'anno contro le 909 dello stesso periodo dell'anno scorso).
Dati questi che aiutano a fare chiarezza soprattutto sulle dinamiche che causano
gli atti di violenza, spesso frutto di una lucida e perversa strategia che mira
a stabilire domini e disuguaglianze. Per spingere le vittime a raccontare gli
orrori subiti occorre che tutta la società civile si impegni in un progetto
culturale di cambiamento e di accoglienza. Troppo facile voltare la faccia e far
finta di non sentire né vedere. È così che il silenzio delle vittime diventa
silenzio della società. E viceversa. “La Verità è tanto più difficile da sentire
quanto più a lungo è taciuta” così scriveva nel suo “Diario” Anne Frank circa 70
anni fa. Così è anche oggi! Quando le vittime incontrano qualcuno disposto ad
ascoltare: parlano. Quando incontrano chi sa vedere: mostrano. Quando incontrano
chi sa dare il giusto nome alle ferite loro inferte: riferiscono, anche ciò che
avevano rimosso e sepolto. Se partiamo da questi presupposti allora si potranno
finalmente trovare nuove e definitive soluzioni ai problemi legati alla
violenza. Ma, accanto alle cure delle differenti malattie psico-somatiche con le
quali la violenza subita si manifesta, occorre che ci sia un vero e proprio
rinnovamento culturale che miri ad educare i giovani, uomini e donne, a una
consapevolezza difficile ma necessaria e cioè che
accanto a un mondo in cui le relazioni umane sono
regolate dal reciproco rispetto ne esiste un altro, parallelo, abitato da
persone che abusano della disponibilità altrui al dialogo e alla comprensione
per meglio sfruttare e opprimere l’altro. Di questi individui che, in casi
estremi, la criminologia definisce perversi, dobbiamo imparare a riconoscere
l’esistenza e la pericolosità.