non sono gli untori
Una riflessione di
Luisa Monini
L’Italia è oggi la terra sognata vista come Paese dalle mille promesse e
possibilità dai molti stranieri provenienti dal sud del mondo e dall’est
europeo, esattamente come per noi italiani è stata l’America quando dall’Italia
emigrarono tra il 1876 ed il 1910 più di 14 milioni di persone ad un ritmo via
via crescente, molte delle quali non fecero più ritorno. Più della metà erano
dirette negli Stati Uniti d’America, il resto in Canada, Argentina, Brasile ed
Australia. Nel loro cuore portavano il Paese che lasciavano, nella loro mente il
progetto di un futuro migliore. Tra le loro mani il “passaporto rosso” che
veniva a quei tempi rilasciato agli emigranti dalla Regia Prefettura. Oggi come
ieri il migrante fugge da guerre e
privazioni con negli occhi le immagini di ciò che ha visto in tv: le luci delle
nostre città, la loro ricchezza, la salvezza e la speranza di una nuova vita. Il
migrante, senza più punti di riferimento, si confronta presto con una mentalità
diversa dalla propria, spesso ostile, con usi, costumi e religioni differenti.
Problemi che sono gli stessi della popolazione che lo accoglie e che deve
confrontarsi con qualcosa di nuovo e di diverso dalla propria cultura e
abitudini di vita. L'Italia, piattaforma naturale nel bel mezzo del
Mediterraneo, è sempre stata disponibile all’accoglienza dello straniero ma, in
questi ultimi anni, ha dimostrato
tutta la sua incapacità nell’affrontare e controllare la piena delle nuove
ondate migratorie. I recenti episodi di violenza avvenuti
nelle nostre città, devono far riflettere su ciò che l’ accoglienza
significa per una Nazione in termini di impegno umano, socio-sanitario,
economico, politico. I mass media ancora una volta funzionano da grancassa per
eventi che vedono gli extracomunitari vittime di episodi di intolleranza e
razzismo o primi attori di storie di violenza e di emarginazione. Perseguitati o
carnefici. Malati o sani. Sembra proprio che del fenomeno migratorio si esaltino
soprattutto le dimensioni conflittuali o quelle patologiche. Ma chi è in realtà
il migrante? Quali malattie esotiche porta con sé? In realtà la figura del
migrante “tipo” è quella di un giovane uomo in buono stato di salute
con voglia di lavorare per migliorare la propria condizione di vita e
quella della famiglia di origine. E’ il così detto “effetto migrante sano” che
fa riferimento ad un’autoselezione che precede l’emigrazione, operata nel Paese
d’origine. L'immigrato di prima generazione normalmente non è portatore di
malattie esotiche, non è un “untore” dal quale difenderci, piuttosto è da noi
che si ammala di malattie da degrado legate alle
scarse condizioni igieniche dell’ambiente in cui vive, al clima e alle
abitudini alimentari diverse, alla mancanza di lavoro e reddito, alla
discriminazione nell’accesso ai servizi sanitari. Ma se questa è una realtà
innegabile, ne esiste un'altra, altrettanto inconfutabile che vede l' origine di
malattie ormai scomparse da anni nel nostro Paese da attribuire al gran flusso
incontrollato migratorio degli ultimi anni e ai migranti che rientrano sul
territorio italiano dopo una visita ai parenti nel loro Paese d'origine.
E' questa una delle ipotesi più accreditate dagli esperti per spiegare
come la piccola Sofia abbia potuto contrarre la malaria, nella variante più
tremenda che esiste e mortale. La storia di Sofia è una storia tragicamente e
doppiamente significativa perché se da un lato ha portato alla luce un grave
problema di sanità pubblica che gli esperti del settore conoscono da tempo senza
per altro che i decisori politici abbiano mai messo in atto sino ad oggi i
dovuti controlli sanitari alle frontiere, dall' altro ha un risvolto
profondamente umano, ignorato sia dai media che dalle autorità competenti scese
in campo per individuare le ragioni di questa morte così fuori tempo e luogo:
questo piccolo corpicino infestato dal plasmodium falciparum è stato
letteralmente espropriato dalle uniche persone che avrebbero dovuto decidere per
autorizzarne l'autopsia, piangerne la morte prematura, vivere il loro immenso
dolore in silenzio. Niente di tutto ciò: Sofia è diventata la bandiera di chi,
da anni, denuncia, a torto o a ragione, il pericolo socio-sanitario ed economico
delle invasioni degli extracomunitari nel nostro Paese segnalando l'
inappropriatezza delle misure messe in campo per contrastare il fenomeno e le
sue derive più estreme e pericolose: tra queste le malattie trasmesse dalle
zanzare, di cui oggi tanto si parla e scrive. Il fenomeno è in realtà
multifattoriale e comprende l’importante aumento demografico e la massiccia
urbanizzazione, siamo in tanti e viviamo tutti più vicini. Ma anche gli
allevamenti intensivi di animali necessari per nutrire un pianeta sempre più
popolato con la possibilità di adattamento di infezioni dall’animale all’uomo e
viceversa, giocano un ruolo importante così come l’aumento del volume e della
rapidità dei voli internazionali con milioni di persone che si spostano da una
parte all’altra del mondo in poche ore e che fa sì che un piccolo focolaio
epidemico in qualche remoto angolo della terra possa rapidamente diventare una
minaccia. Per non parlare poi del riscaldamento del pianeta, soprattutto
importante per le infezioni trasmesse da zanzare che si possono diffondere anche
in zone in cui prima faticavano a sopravvivere. Non solo Malaria dunque ma anche
Dengue, West Nile e Chikungunya“ ed altre ancora. E'
di pochi giorni or sono la notizia di tre persone di Anzio ed altre di
Roma e nel Lazio colpite dalla Chikungunya: un'infezione che colpisce
soprattutto in Africa e in Asia. Le persone colpite non avevano viaggiato nelle
due settimane precedenti all'insorgere dei sintomi e dunque, con tutta
probabilità, sono state punte da una zanzara infetta presente nella zona. Lo
strano nome di questa malattia deriva dai dolori articolari che la stessa
provoca: chikungunya in lingua swahili significa "ciò che curva" o "contorce". A
trasmettere il virus sono in particolare
le zanzare tigre, Aedes albopictus, una specie originaria dell'Asia
sud-orientale. E allora viene da
pensare che sulla globalizzazione c’è ancora molto da scoprire. Come per esempio
che, pur avendo l'impressione di essere tutti più piccoli e vicini sul pianeta
Terra, dovremmo immaginare che le nostre azioni e i nostri stessi pensieri
possano in qualche modo influenzare le azioni ed i pensieri di chi vive agli
antipodi esattamente come finora è stato con i nostri vicini di casa. Perché
oggi più che mai, grazie al mondo globale, la teoria del caos secondo la quale
il battito delle ali di una farfalla in Brasile, può provocare una tromba d’aria
nel Texas piuttosto che far crollare la borsa di Londra, o un grattacielo di
Toronto, a piacere, è più vera che mai e rende bene l’idea. Come dire che la
globalizzazione ci unisce tutti nel bene e nel male e che, così come le guerre
sono oramai universali, allo stesso modo malattie, una volta endemiche nei paesi
più sperduti del mondo oggi, il tempo di un volo trans-continentale, entrano nei
nostri confini e si diffondono tra la popolazione aperta sorprendendone il
sistema immunitario e, spesso, anche i sistemi di sorveglianza internazionali.
Detto questo viene anche da pensare che molte delle nostre città sin dai primi
tempi del fenomeno migratorio hanno
tutelato la salute dei migranti attraverso una rete di sussidiarietà, creando
sinergie tra Istituzioni pubbliche e Comunità locali, facilitando
l’accessibilità ai servizi e promuovendo la fruibilità degli stessi. “La
Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’ individuo ed
interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Cita
all'Art. 32 la nostra Costituzione. Da anni invece uomini ombra vivono sul
nostro territorio senza diritto alcuno, neanche quello di ammalarsi e morire.
Questo perché il binomio immigrazione e
salute presenta lacune, anche sul piano normativo, che derivano dal fatto che le
scelte di politica sanitaria spesso
non hanno potuto o voluto tenere conto di quelle che regolano e controllano il
fenomeno migratorio. Ma oggi l’urgenza è massima e bisogna fare di più perché
mai i popoli del benessere sono
stati interpellati in modo così
drammatico dai popoli della fame e delle guerre.
Viene anche definita “baggage malaria” perché trasmessa da vettori che viaggiano
nel bagaglio di persone provenienti da zone del mondo dove questi insetti hanno
il loro habitat naturale ( Africa ed Asia ) e che, una volta sbarcati, e tornati
liberi nell'aria, possono pungere di nuovo sino ad arrivare ad uccidere se
infettati del plasmodio falciparum, come potrebbe essere accaduto alla piccola
Sofia. Ma questa è solo una delle ipotesi, se pur suggestiva, tra quelle prese
in considerazione dagli esperti per cercare di capire a fondo le origini del
dramma. In attesa di avere notizie certe che possano fare chiarezza su questo
grave episodio di fine estate e dunque tranquillizzare la popolazione, è
opportuno che i lettori sappiano che in Italia esiste un Sistema di sorveglianza
che fa capo al Ministero della Salute e che da decenni lavora alacremente con
interventi per il controllo dei vettori, abbattimento degli stessi con specifici
trattamenti, verifica dell' efficacia degli stessi e un sistema di monitoraggio
per individuare i focolai di infezioni emergenti come la Chikungunya, la Dengue,
la West Nile ed altre malattie esotiche trasmesse da zanzare.
L'identificazione rapida e la gestione appropriata delle patologie
esotiche di immigrazione prevede l' esistenza di un network di Centri Clinici
attrezzati a livello nazionale di cui invece, purtroppo, si va perdendo la
memoria. Da circa 30 anni è presente a Brescia presso l' A.S.S.T. Spedali Civili
di Brescia e la Clinica di Malattie Infettive e Tropicali dell' Università, un
Centro di Medicina Tropicale riconosciuto a livello nazionale ed internazionale
e che fa parte della rete di Sorveglianza Sentinella delle Patologie di
Importazione della Società Internazionale di Medicina dei Viaggi e dei Centers
for Diseases Control (CDC) di Atlanta (Geosentinel).