Giorgio Caproni:

chi era costui?

Pensieri in libertà su una traccia

per il compito d’italiano della maturità

 

 

di Giuseppe Prunai

 

 

 

Giorgio Caproni: chi era costui?  Un misto di imbarazzo, preoccupazione e d’ironia: così hanno reagito gli aspiranti alla maturità quando è stata loro dettata la traccia per un’analisi del testo. Si trattava di una poesia di Caproni, intitolata “Versicoli quasi ecologici”, contenuta della raccolta “Res Amissa”, pubblicata postuma nel 1991. Caproni era scomparso nel ’90 all’età di 78 anni.

Giorgio Caproni ( a sinistra, la copertina di una sua raccolta di poesie, pubblicata postuma) è stato un personaggio estremamente complesso e poliedrico. Oltre che poeta, fu traduttore dal francese  di Marcel Proust, di Charles Baudelaire, di Guy de Maupassant, di Gustave Flaubert, di Guillaume Apollinaire e dallo spagnolo di Federico Garcia Lorca. Ma fu anche attore nell’ultimo film dell’amico Pier Paolo Pasolini  “Salò o le 120  giornate di Sodoma” in cui debuttò anche come doppiatore. Per lui, si dice sia stata un’esperienza insolita ed entusiasmante, legata ai suoi ricordi di partigiano in Val Trebbia.

Non è nostra intenzione scrivere la biografia di Caproni (troppe ve ne sono in rete e suggeriamo quella i Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Caproni) ma fare qualche considerazione. Caproni non è nel programma ministeriale della terza del liceo classico. Qualche studente l’ha addirittura confuso con  Caprotti, il fondatore di una fortunata catena di supermercati, recentemente scomparso. E questo la dice lunga sulla sua maturità culturale!  I maturandi degli anni Cinquanta (ricordi di gioventù) non avevano in programma Montale o Cardarelli, ma tutti avevano letto gli “Ossi di seppia” e “Villa tarantola” perché la tanto deprecata scuola di allora, soprattutto il liceo classico, il “liceone”, più che insegnare una serie di nozioni delle varie materie di studio, aveva lo scopo di dare allo studente gli strumenti per formarsi una cultura, più vasta possibile, indispensabile per formare l’uomo di domani. Nella scuola del passato, veniva privilegiato il collegamento fra le varie materie di insegnamento, anche se i programmi delle varie discipline procedevano senza una sincronia temporale (ad esempio, il programma di storia cominciava con la caduta dell’impero romano d’oriente e quello di filosofia dagli antichi greci). Oggi ci sembra che si proceda per compartimenti stagni, per tanti cassetti. In uno la letteratura italiana, nell’altro la filosofia, nell’altro ancora la fisica e la matematica. Un modo di procedere che favorisce l’insorgere di concetti astratti, fini a loro stessi, scollegati da altri, che finisce per segnare una divisione fra cultura umanistica e cultura scientifica (adesso c’è chi pretende esserci anche una cultura tecnologica) quando i grandi del sapere (Ludovico Geymonat in testa, foto a destra) ci hanno insegnato che la cultura è una sola, che esiste soltanto la cultura e l’ignoranza.  E quest’ultima prevale nella società contemporanea dove l’analfabetismo di ritorno, secondo le rilevazioni di  Tullio De Mauro, interesserebbe il 70 per cento della popolazione. Un fenomeno che affligge  tanti altri paesi, europei ed extraeuropei. Ma, in questo caso, mal comune non è mezzo gaudio.

De Mauro (nella foto a sinistra: de Mauro con  l'allora presidente della repubblica Napolitano) spiegava il fenomeno con quella che chiamava la “regola del meno cinque”: se le conoscenze acquisite a scuola non vengono tenute attive, si regredisce di cinque anni rispetto ai livelli massimi raggiunti in gioventù. Insomma, regrediamo se il cervello non si allena, non è continuamente in esercizio. Problema già noto fin dal ‘700 quando Jean Baptiste de Lamarck (1744-1829 immagine a destra), autore di una prima teoria evoluzionista, sentenziò che quando un organo non si usa si atrofizza (legge dell’uso e del non uso).

Ma lasciamo da parte le divagazioni e torniamo ai “Versicoli quasi ecologici”. La domanda che si sono posti in molti è se sia possibile l’analisi di un testo prescindendo dall’autore e dal contesto che lo ha ispirato. Pari e patta tra favorevoli e contrari. I primi sostengono che senza conoscere l’autore, le sue opere, il suo percorso culturale e la sua esperienza di vita, è impossibile analizzarne il testo. Gli altri (e chi scrive è fra questi) sostengono che, almeno in questo caso, la poesia (che qui non possiamo riprodurre integralmente per un problema di copyright) offre numerosi spunti di riflessione e di discussione. Insomma, quello che  Kant avrebbe chiamato atto puro. Ma forse stiamo esagerando.

Agli inizi di giugno, a Bologna, si è svolto il G7 dell’ambiente a pochi giorni di distanza dalla dichiarazione del presidente americano  Trump (foto a destra) che, servilmente e, forse, dietro corrispettivo, facendo gli interessi di petrolieri e proprietari di miniere di carbone, si è ritirato dall’accordo di Parigi sul clima.  Potrebbero anche riferirsi a lui i versi “E chi per profitto vile / fulmina un pesce, un fiume, / non fatelo cavaliere / del lavoro” dove quel “ non fatelo cavaliere del lavoro” potrebbe suonare come un “non premiatelo, non eleggetelo”. Ma si tratta di una proposizione che potrebbe adattarsi benissimo anche ad altri personaggi, tanto italiani che stranieri. Soprattutto ad uno che ora cerca di rifarsi una verginità come animalista. Insomma un verso da analizzare, da discutere soprattutto.

Ma se ne  potrebbe anche farne un’interpretazione politico-economica, visto che anche la Cina – che non fa parte dei 7 – guarda con interesse all’energia da fonti rinnovabili. E che Trump, con il suo intervento servile, miope e scriteriato, ha di fatto consegnato la leadership della green economy ad Unione Europea e Cina.

Ciò che ci è piaciuto di meno è la conclusione  abbastanza pessimista dei “versicoli: “….come / potrebbe tornare  a essere bella, / scomparso l’uomo, la terra”.

Bella per chi, allora?

Il Galileo