Un parlamentare socialista in lotta per l’emancipazione della donna

Salvatore Morelli e la sua legge

 

Approvata nel marzo del 1877 ammetteva la testimonianza della donna negli atti pubblici e privati – La Legge Morelli aprì la strada verso il riconoscimento alla stessa della capacità giuridica allora soffocata da quel “giogo” che era l’istituto dell’autorizzazione maritale

 

di Silvia Talli

 

Il 26 marzo 1877 la Camera dei deputati del giovane Parlamento italiano si riunì alle due del pomeriggio sotto la presidenza di Francesco Crispi (foto a destra). Fra le attività all’ordine del giorno ve ne era una particolarmente spinosa che molti degli occupanti i banchi dell’Assemblea in cuor loro non avrebbero voluto affrontare: si trattava della discussione sul disegno di legge diretto ad ammettere la testimonianza della donna negli atti pubblici e privati la cui approvazione avrebbe aperto la strada verso il riconoscimento alla stessa della capacità giuridica allora soffocata da quel “giogo” che era l’istituto dell’autorizzazione maritale.

Il suo proponente, Salvatore Morelli, (foto a sinistra) era assente e non certo perché sopraffatto da un atteggiamento di rassegnazione né tantomeno per un minor interesse verso una causa per la quale aveva speso l’intera esistenza pagando, fra l’altro, prezzi altissimi come l’emarginazione, la povertà e il dileggio che sfociò in una crudele satira politica. La tenacia e la fedeltà ai suoi ideali non erano venuti meno neanche ora. Nessun ripensamento dunque da parte sua, nessun passo indietro; come sempre. Documentandosi sulla sua figura non si fa fatica a credere che la mancata partecipazione al dibattito e alla votazione finale di quel disegno di legge avesse dovuto arrecargli una sofferenza sicuramente maggiore dei malanni che lo affliggevano al termine di una vita di stenti e di battaglie ideali, trascorsa per un decennio nelle dure carceri borboniche; eventi, questi, che ora presentavano il conto finale. Fece comunque in tempo a partecipare, appena il 1° febbraio dello stesso anno, alla Relazione introduttiva del disegno di legge che presentò in un clima tutt’altro che accomodante.

Salvatore Morelli, pugliese di Carovigno, in provincia Brindisi, fu un importante protagonista del Risorgimento italiano, periodo che attraversò pienamente come patriota, giornalista e uomo politico. In quest’ultima veste, fu eletto dapprima nel Consiglio Comunale di Napoli, città molto importante nella sua formazione e poco dopo, nel 1867, entrò a far parte del Parlamento italiano quando l’Assemblea aveva sede a Firenze, allora capitale d’Italia; nell’Aula parlamentare sedette fra i banchi della sinistra storica. Nello stesso anno Morelli aderì all’Associazione napoletana Libertà e Giustizia sostenuta nelle sue battaglie ideali dal quotidiano mazziniano “Il Popolo d’Italia”. Proprio Mazzini (e con lui Garibaldi) nutrì una profonda stima e ammirazione verso questo pugliese appassionato e tenace. Fra i banchi del Parlamento del Regno d’Italia, trasferitosi a Roma nel 1871, Morelli sedette per quattro legislature, fino all’anno della morte. 

La figura del pensatore e politico italiano, tanto grande quanto poco conosciuta, ci è stata finalmente consegnata nella sua potenza e interezza dalla penna di Emilia Sarogni, Consigliere parlamentare dal 1976, scrittrice e saggista che per Daniela Piazza Editore ha scritto un’interessante biografia, giunta ormai alla sua terza edizione “L’Italia e la donna. La vita di Salvatore Morelli. (A sinistra, il frontespizio del libro di Morelli)

La lotta che egli condusse per la creazione di un’Italia unita, libera e indipendente, condivisa personalmente con altri importanti protagonisti del Risorgimento, portava con sé molto di più, un bagaglio di rivendicazioni ideali e di principi talmente innovativi da porsi di per sé come il germe di una vera e propria rivoluzione culturale e sociale: il riferimento va al suo strenuo impegno per l’emancipazione femminile ed in particolare alla rivendicazione, portata fin dentro il Parlamento, del principio della parità di diritti fra uomo e donna.

Leggendo il libro di Sarogni, non ci si può non sorprendere, nel vero senso della parola, per la capacità di Morelli di precorrere i tempi e ciò non solo relativamente a tale questione. Emerge così la figura di un politico moderno e lungimirante, nonché di straordinaria dirittura morale, che intendeva la politica nel suo senso più nobile. Non meno trascurabili sono gli aspetti privati della vita di Morelli che ci offre l’opera; in particolare quelli inerenti il rapporto che lo legò a due donne: la madre Aurora e Giovanna, l’amore della sua vita, corrisposto ma non vissuto. Si trattava di donne di spessore, illuminate che tanta influenza ebbero sul pensatore e politico pugliese a completamento della sua sensibilità umana.

Morelli credeva fermamente che la creazione di una nuova società democratica dovesse passare attraverso la liberazione della donna da ogni forma di soggezione culturale, sociale ed economica. Nella sua straordinaria modernità, capì da subito che il progresso e il livello di civiltà di una comunità si misurava attraverso il grado di emancipazione femminile che questa poteva assicurare. A suo parere, il cammino di liberazione e di crescita della donna doveva partire dal nucleo familiare all’interno del quale alla stessa andava riconosciuto un ruolo attivo e primario che la valorizzasse come individuo a tutti gli effetti, in ragione delle peculiarità morali ed intellettuali che la contraddistinguevano e che le doveva essere consentito far emergere.

Lungi dall’essere un figura di contorno, considerata soltanto per la sua capacità di procreare, essa era chiamata a svolgere in prima persona un ruolo di grande valenza sociale teso al miglioramento della società e destinato a dispiegarsi innanzitutto nell’educazione della prole al cui fine la trasmissione del sapere rivestiva un ruolo fondamentale.  La famiglia, infatti, non doveva essere un luogo di sottomissione ma di valorizzazione della donna che già in quella prima cellula della società doveva essere parificata all’uomo.

Nell’ottica di Morelli l’emancipazione femminile doveva attuarsi non solo attraverso un nuova concezione della maternità ma anche in una dimensione più ampia ovvero nella possibilità di accesso delle donne all’istruzione fino ai livelli più alti del sapere e per questa via alle professioni più importanti e alle cariche pubbliche, esattamente al pari dell’uomo.

Non a caso, fin dagli esordi nella sua attività di politico, egli si adoperò tanto per la promozione del sapere e per favorire l’accesso all’istruzione quale strumento di riscatto non solo per le donne ma anche per le classi più disagiate.

Già nel 1861, Morelli pubblicò il primo libro che teorizzava la necessità di liberare la donna da una condizione di sottomissione e di assicurarle gli stessi diritti civili e politici di cui godeva l’uomo; il saggio, nella sua ultima stesura data alle stampe nel 1869, avrà come titolo definitivo “La donna e la scienza o la soluzione del problema sociale”.

Nella sua attività di parlamentare, Morelli si adoperò senza sosta per dare effettività e concretezza alle sue idee tanto da essere il primo in Europa a chiedere il riconoscimento del principio di parità di diritti fra uomo e donna. Anche in questo senso la biografia scritta da Emilia Sarogni ci offre un quadro completo quanto sorprendente (il sentimento di sorpresa è proprio inevitabile) della lungimiranza di questo politico del neonato Regno d’Italia. Si viene allora a sapere che nel 1874 il deputato di Carovigno presentò ben sette disegni di legge riguardanti la parificazione dei coniugi nel matrimonio, la doverosa assunzione da parte della famiglia di entrambi i cognomi o almeno la possibilità di scegliere l’uno o l’altro con la conseguenza che la famiglia poteva assumere anche il cognome della moglie. Oltre a ciò propose l’abolizione della patria potestà, l’equiparazione dei figli illegittimi ai figli nati all’interno del matrimonio e l’introduzione del divorzio come rimedio necessario nel caso in cui la convivenza fra i coniugi fosse divenuta impossibile, sostenendo, fra l’altro che ciascun coniuge dovesse provveder al sostentamento della prole secondo le proprie sostanze. Come se non bastasse, si mostrò favorevole alla comunione dei beni tra i coniugi quale strumento di tutela economica della donna.

Appare chiaro come queste proposte anticipassero di un secolo la legge sul divorzio introdotta in Italia nel 1970 e la stessa riforma del diritto di famiglia del 1975; ma c’è di più. Basti pensare al fatto che solo recentemente si è pervenuti, grazie al D.Lgs. 154 del 2013 (con cui è stata data attuazione alla delega contenuta nell’art. 2 della L. 219/2012), all’effettiva e completa parificazione dei figli naturali ai figli legittimi. Quanto all’attualità della questione  relativa al cognome, vale la pena ricordare che solo un anno fa, con la sentenza 8 novembre 2016 n.286, la Consulta ha dichiarato incostituzionale la norma che prevede l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo in presenza di una diversa volontà dei genitori.

L’attività di Morelli a favore del riscatto femminile continuò incessante, tanto che nel 1875 propose l’estensione alle donne del diritto di voto sia politico che amministrativo da esercitarsi secondo il medesimo sistema, quello censitario, previsto per gli uomini.

La sua sensibilità priva di sterili pregiudizi e l’attenzione verso le classi più povere e disagiate lo portò anche a proporre misure a favore delle donne sedotte e abbandonate, emarginate dalla società insieme ad una prole spesso frutto di sopraffazione e violenza. Morelli si occupò anche dello sfruttamento sessuale della donna e del fenomeno della prostituzione quale frutto del degrado sociale ed economico.

Si prospettava, in buona sostanza, una rivoluzione prima di tutto culturale, che attraverso  un nuovo modo di considerare la figura femminile rovesciava le prospettive mettendo in discussione idee vetuste ma ben radicate che mal si conciliavano con le recenti riforme istituzionali ottocentesche e con i valori affermati nel secolo precedente in Francia.

Quella di Morelli non fu la sola voce che nel panorama culturale del tempo si era levata a favore dell’emancipazione femminile (basti pensare in Italia alla figura di Anna Maria Mozzoni, foto a sinistra)) ma di certo quella che si era spinta più avanti degli altri; anche rispetto a John Stuart Mill (foto a destra) (con cui peraltro fu in contatto), che pure è da sempre considerato il padre dell’emancipazione femminile. L’esponente del liberalismo inglese che condivise questa causa con la moglie Harriet Taylor (a riguardo, vale la pena segnalare una raccolta di saggi dei due coniugi inglesi sul tema a cura di Nadia Urbinati per Einaudi), pubblicò il celebre saggio “The subjectio of women” nel 1869 vale a dire otto anni dopo il libro dell’italiano il quale, come già anticipato, fu il primo politico in Europa a presentare una proposta di legge finalizzata al riconoscimento della parità dei diritti fra uomo e donna.

Per vedere concretizzate, almeno in parte, le sue battaglie ideali si dovrà attendere proprio il dibattito svoltosi quel 26 marzo 1877. A riguardo, la lettura degli “Atti Parlamentari della Camera dei deputati, sessione del 1876-77, tornata del 26 marzo 1877”, è a dir poco illuminante.

La discussione generale del progetto di legge fu aperta dall’onorevole Filopanti che si dichiarò favorevole all’approvazione del progetto in esame sostenendo che esso rappresentava “un passo nel progresso della giustizia e della civiltà”. Inizialmente sembrava che il dibattito per l’approvazione della legge dovesse riguardare soltanto emendamenti relativi alla mera formulazione del progetto, questioni puramente formali, insomma. Poi però la discussione si animò in un crescendo in cui le argomentazioni tecnico-giuridiche si mischiavano a concetti stereotipati che fra l’altro trascendevano i diversi schieramenti politici.

Iniziò timidamente l’onorevole Catucci: “Io, per principio generale, voto questa legge. Ripeto, ho domandato la parola per uno scrupolo, e mi dirigo all’onorevole ministro guardasigilli ed alla Commissione per essere chiarito e tranquillizzato”. Già, la questione di per sé stessa non era “tranquillizzante” e non solo per motivi legati alle modifiche da apportare al codice civile del Regno. Lo scrupolo (parola, questa, che il deputato ripeterà più volte) riguardava il pericolo che la donna, priva dell’autorizzazione maritale nello svolgimento di questa attività, potesse essere esposta a responsabilità civile; senza contare, aggiungeva Catucci, che in fondo non c’era alcun bisogno di questa legge.

Meno titubante fu l’onorevole Muratori il quale, pur avendo proposto un emendamento alla formulazione del testo, si augurò espressamente che la Camera non approvasse la proposta di legge presentata da Morelli.“ E’ mio convincimento” – sosteneva – “che il distogliere la donna, vuoi direttamente, vuoi indirettamente, dalla elevata missione della conservazione e miglioramento della famiglia sia un atto contrario alla civiltà, ed alla libertà”.

I toni del dibattito si fecero più accesi quando, dichiarata chiusa la discussione generale, si passò a quella sull’articolo 1 del progetto in questione come se alla fine fosse crollato un argine che a stento conteneva un fiume in piena. Spesso gli interventi dei deputati venivano interrotti da urla, esclamazioni e  ilarità soprattutto quando si faceva cenno alla donna.

Nel suo intervento l’onorevole Spantigati fu ancora più esplicito ponendo l’accento su argomenti che toccavano direttamente l’indole femminile: “Se non dubito dell’intelligenza della donna, io devo dubitare e dubito che sia nella donna la energia e la saldezza del carattere necessaria a potere adempiere bene questo uffizio nuovo, a cui la si vuole chiamare. Per me è nella donna più facilità ad essere aggirata ed ingannata che non l’uomo”. Ne conseguiva, a suo parere, il rischio che la pubblica fede fosse compromessa.

Per fortuna non mancarono voci favorevoli al progetto di legge, sostenute da principi e considerazioni che rigettavano un certo modo di considerare la natura femminile. Innanzitutto quella dell’onorevole Varé secondo il quale l’argomento della debolezza della donna era un “luogo comune” e una “figura rettorica la quale ha oramai fatto il suo tempo, e sulla quale non è più lecito di ragionare”; aggiungeva infatti: “Nelle nostre condizioni di civiltà è odioso il fare delle distinzioni ingiuste tra esseri che sono per natura ugualmente morali, ed ugualmente responsabili per la legge”. Anche l’onorevole Nocito rifiutò sdegnosamente le argomentazioni sostenute da Spantigati esprimendosi con queste parole: “Mi pare fare un’onta all’umanità della quale le donne sono parte nobilissima, dichiarandole incapaci di testimoniare come i bambini e gli imbecilli, e privandole così del diritto naturale della intelligenza e della coscienza umana”.

La voce più autorevole a favore del progetto di legge di Morelli fu quella del Ministro della Giustizia Pasquale Stanislao Mancini ( foto a destra) il cui intervento concluse la discussione generale.

Alla fine la legge venne approvata con 136 voti favorevoli e 68 contrari.

La legge 9 dicembre 1877 (Legge Morelli) approvata dalla Camera dei deputati e dal Senato, conteneva un unico articolo il quale recitava: “Sono abrogate le disposizioni di legge che escludono le donne dall’intervenire come testimoni negli atti pubblici e privati”.

Un passo importante era stato compiuto, per il resto si sarebbe dovuto aspettare un secolo.

Per il completamento di un’evoluzione culturale riguardante il modo di percepire la donna nella sua dignità di persona, siamo ancora in cammino.

Il Galileo