La travagliata storia di un vaccino
Harald zur Hausen, il ricercatore che mise a punto il vaccino, fu insignito del
Nobel per la medicina nel 2008
di Luisa Monini
Harald
zur Hausen Foto (a sinistra
Scattata da Prolineserver)
era già un ricercatore affermato quando, nel 1983, si presentò ad
una prestigiosa casa farmaceutica con il proprio brevetto su un nuovo vaccino.
Si trattava del risultato di una sua intuizione
riguardante l’ associazione tra il virus del papilloma umano e il tumore
del collo dell’ utero. Lo aveva anche pubblicato, quel lavoro, nel 1976 e quando
spiegò che fare il vaccino contro il cancro del collo dell’utero, sarebbe stata
cosa semplice perché il virus era un virus
a Dna non particolarmente complesso, sperava proprio che la sua proposta
fosse accettata. E invece no. Dopo solo una settimana
l’ Azienda rispose che non era interessata ad una proposta del genere
perché non riteneva ci fossero sufficienti dimostrazioni
sulla reale associazione tra papilloma virus e cancro della cervice
uterina. Una cantonata terribile
per l’Azienda ed una grande delusione per Harald zur Hausen
che mise così il suo sogno nel cassetto ed andò avanti
a lavorare come sempre.
Ma l’idea era nell’aria e circolava nei laboratori di ricerca di tutto il mondo:
il cancro del collo dell’utero era determinato da un virus, ma non quello
dell’herpes come si credeva, bensì dal
papilloma virus umano come scoperto da Harald zur Hausen ed era da
considerarsi a tutti gli effetti una malattia sessualmente trasmissibile. Il
vaccino poteva e doveva essere
fatto! Si deve a zur Hausen la
genialità di aver pensato a come fare il vaccino che avrebbe dovuto essere
libero dal Dna virale e quindi non infettante e non pericoloso ma al tempo
stesso con forte capacità immunogenetica, capace cioè di suscitare la formazione
di anticorpi contro il virus stesso. Così fu pensato e così fu presentato a due
multinazionali del farmaco che iniziarono subito tra di loro una lotta all’ arma
bianca per guadagnare il mercato internazionale. I vaccini furono allestiti
contro i genotipi 16 e 18 del papilloma virus umano, responsabili del 70% -75%
dei tumori invasivi del collo dell’ utero, però, una delle due case, decise di
associare a questi due tipi, anche il 6 e l’11 entrambi trasmessi sessualmente e
responsabili di una malattia infettiva molto diffusa e fastidiosa, i condilomi,
volgarmente chiamati anche creste di gallo per come si presentano. Per questa
sua scoperta a zur Hausen fu conferito il premio Nobel per la Medicina nel 2008.
Il vaccino non è obbligatorio e, con il consenso dei genitori, viene
somministrato alle adolescenti di 11- 12 anni d’età perché si presume che in
questa fascia d’età non ci sia
stato ancora contatto fisico e attività sessuale con un possibile trasmettitore
del virus. Ed oggi non c’è mamma che non sappia di cosa si tratti e che non sia
disposta a mettere in discussione paure e pregiudizi. Perché in fondo questa
vaccinazione ha quasi il sapore di un rito iniziatico, ed è forse proprio questo
l’ aspetto che coinvolge di più i genitori: il prendere atto che la loro
bambina, è da difendere oggi da un male che potrebbe insidiare il suo futuro di
donna e madre. Il cancro del collo dell’utero è il primo tumore riconosciuto
dall’ O.M.S. come totalmente riconducibile ad una infezione e
rappresenta, tra le giovani donne, la seconda causa più comune di morte
per tumore, dopo quello al seno.
Vale la pena ricordare che il
cervico carcinoma colpisce ogni anno 500.000 donne nel mondo e che circa 300.000
donne muoiono di questo male. In Italia si registrano ogni anno circa
3.500 nuovi casi e 1.700 decessi. La realtà nei Paesi emergenti, soprattutto in
quelli dell’Africa sub-sahariana, è tra le più tragiche: 80.000 donne ogni anno
ammalano di tumore del collo dell’ utero e circa 62.000 ne muoiono, per lo più
in giovane età.
E se anche oggi tutte le bimbe fossero vaccinate e se la vaccinazione potesse
coprirle tutte, dobbiamo già sapere in partenza che il risultato lo si potrà
raggiungere tra decenni. Ecco quindi che
una situazione di questo tipo va affrontata su due fronti: quello
umanitario e quello della prevenzione. La prevenzione costa e anche se presenta
enormi problematiche in questi Paesi, bisogna che si inizi
a vaccinare le nuove generazioni se si vuole pensare di liberare le donne
africane da questa condanna ad oggi senza appello.
Il vaccino, come tutti i grandi eventi che segnano in qualche modo la storia
dell’umanità, ha i suoi sostenitori ed i suoi detrattori. Questi ultimi, per
esempio, si chiedono se una pressione pubblicitaria così forte sulle malattie e
sui vaccini non sia creata ad arte dalle stesse industrie del farmaco per
ingigantire il bisogno e dunque per
promuovere l’ offerta e cioè il consumo del proprio prodotto: il vaccino. E’
indubbio che dietro la produzione di un farmaco ci sia chi ha fatto la ricerca e
chi, ovviamente, l’ha prodotto ed è altrettanto naturale che le Aziende debbano
rientrare dai costi. Questo però non ha nulla a che vedere con la
questione sociale da tutti condivisa e con un importante politica economica che
deve considerare da un lato la ricerca e, dall’ altro, la sua applicazione
pratica, quello che si chiama “ trasferimento tecnologico”: al primo posto, come
priorità, di qualunque Paese. Il grande interessamento e coinvolgimento che i
media continuano a mostrare nei confronti di questo vaccino è del tutto
giustificato. Stiamo parlando di un vaccino epocale perché è
la prima volta, nella storia della Medicina, che
c’è un vaccino per la prevenzione di un tumore che è il secondo tumore
della donna, dopo quello al seno, e
che combatte anche altre lesioni pre-tumorali della vulva e della vagina, oltre
ai condilomi genitali che
interessano milioni di persone nel mondo, con un costo sociale ed
economico enorme.
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Il vaccino, da un punto di vista bio-ingegneristico, è costruito come un
automobile.
Il motore è la parte pulsante, il Dna del virus, la carrozzeria è invece la
parte esterna che la rende esteticamente pregevole e che in termini tecnici, si
chiama “ capside”. Si deve cercare di immunizzare il corpo umano contro l’
automobile ma senza usare il motore, perché
pericoloso. Ed è ciò che è stato fatto per realizzare questo vaccino.
Grazie alle tecniche di biologia molecolare è stato preso un pezzo di involucro
del virus ( costituito da proteine codificate dal genoma virale) escludendo però
il Dna virale responsabile dell’ infezione e delle possibili conseguenze
tumorali. Si ha dunque a disposizione una struttura “simil-virale“ in grado di
ingannare il sistema immunitario dell’ organismo che produce anticorpi diretti
contro tutta l’ automobile cioè contro il virus, senza alcun pericolo per la
persona.
Il Pap test, entrato nell’uso clinico da oltre 50 anni, è l’ unico test di
screening approvato in Italia ed è, grazie ad esso, che i casi di mortalità per
il cancro del collo dell’ utero sono diminuiti nel nostro Paese così come in
tutti Paesi del mondo che l’ hanno adottato come strumento di screening
periodico per le donne di età compresa tra i 25 e i 64 anni. Il vaccino affianca
ma non sostituisce il Pap test ed è diretto a bambine tra gli 11 ed i 12 anni.
La somministrazione del vaccino, in questa fascia d’ età, è particolarmente
vantaggiosa perché induce una efficace protezione prima di un eventuale contagio
con il virus HPV che,di norma, si acquisisce dopo l’ inizio dell’ attività
sessuale. Il vaccino, offerto gratuitamente dalle ATS ( somministrato per via
intramuscolare con una dose iniziale e due richiami entro i sei mesi successivi
) produrrà negli anni, su tutto il territorio Nazionale, una progressiva
immunizzazione della popolazione giovane adulta esposta al rischio di infezione.
La finalità del programma vaccinale è quello di ridurre l’impatto delle
infezioni da parte dei genotipi più diffusi, tra quelli oncogeni e non oncogeni,
con una diminuzione dell’ incidenza di tumori e patologie dell’ apparato
riproduttivo femminile. Si ridurrà così l’ impatto socio-sanitario ed economico
di queste patologie ma, soprattutto, tante donne, nel mondo, avranno salva la
vita.