Mario Talli: “Il ragazzo del secolo breve – Da Giovinezza a Bella Ciao in
Toscana: diario sentimentale di una generazione in guerra nei ricordi di un
giornalista fiorentino che c’era e ha visto” – Prefazione di Renzo Martinelli –
Stampeditore
Recensione di Giuseppe Prunai
Un diario? Qualcosa di più. Un’autobiografia? Qualcosa di più. Forse una
confessione laica di una persona che ha
attraversato
un lungo arco di storia, dagli anni Trenta ai nostri giorni: da Figlio della
Lupa a Partigiano. Scrive nella prefazione Renzo Martinelli, uno dei dirigenti
dell’Istituto storico della Resistenza in Toscana, che Talli ha vissuto “il
periodo 1943-44 come un’esperienza profondamente formativa che ha poi
influenzato, sul piano morale ed esistenziale, tutta la sua vita successiva”. A
quei tempi, aveva 15-16 anni. Fu senz’altro
uno dei più giovani, se non il più giovane, fra i partigiani italiani.
L’azione si svolge principalmente a Montaione, un comune della provincia di
Firenze, ad un passo dall’Empolese e della Valdelsa, dove Talli è nato ed ha
vissuto per lunghi anni. Si dilunga
su quel periodo, lo analizza e non nasconde l’ironia suscitata dalle parate, con
i tamburini che, per mantenere il ritmo del loro rullare, ripetevano una
filastrocca scurrile: “Porca sumà, porca sumà, porca sumà sul càntero/ con le
peté, con le peté al culo”. (Sumà è sua madre e il càntero è il vaso da notte.)
E poi gli inni patriottici: l’Inno a Roma, il cui testo è un’indecente
traduzione del Carmen Saeculare di Quinto Orazio Flacco, adattata ad un brano
musicale di Giacomo Puccini, non certo il migliore che abbia scritto.
Ma Talli ripercorre il periodo della pubertà con i primi turbamenti alla vista
delle ragazze, i primi innamoramenti, le prime delusioni, il primo bacio.
Poi, la guerra. Evento lontano che a Montaione, come nel resto d’Italia, la
gente seguiva con le enfatiche notizie pubblicate dai giornali e tramesse dal
Giornale Radio che parlavano inizialmente di mirabolanti operazioni militari, di
vittorie di conquiste e, in seguito, di ripiegamenti tattici, di perdite
contenute insomma di sconfitte. Intanto i generi alimentari erano stati
razionati, era sorto il mercato nero e gli “orti di guerra” cioè la
trasformazione di qualsiasi giardino in un pezzo di terra per coltivare
soprattutto patate. Ma fu un’iniziativa fallimentare.
Per fare fronte alla mancanza di personale, richiamato alle armi, il comune di
Montaione assunse alcuni studenti, fra i quali Talli. Quello fu il suo primo
lavoro.
Di lì a poco, il 25 luglio e l’8 settembre, l’Italia divisa in due, i tedeschi
che spadroneggiavano e i repubblichini dediti soprattutto ai rastrellamenti di
renitenti alla leva della RSI e dei primi nuclei di Resistenza. E qui Talli si
sofferma sulla
differenza tra guerra civile e Resistenza. Dice testualmente: “Perché si possa
parlare legittimamente di guerra civile bisogna che esista fra le due parti una
reciproca volontà di combattersi e nel nostro caso, almeno all’inizio, la
volontà di aprire le ostilità contro altri italiani appartenne ad una parte
sola”.
Nell’autore maturò velocemente il sentimento antifascista e antinazista che lo
portò ad aderire ad una formazione di partigiani nascosti nei boschi che
circondavano il paese. E qui la storia diventa quella di una banda di persone
mal nutrite, vestite in modo non adeguato per la vita alla macchia, e male
armata se non di qualche pistola e fucili da caccia. Poi, arrivarono un po’ di
moschetti e delle pistole. A Talli fu assegnato un revolver, di fabbricazione
spagnola, con due soli proiettili.
L’operazione più significativa della banda fu un’incursione in paese per aprire
il magazzino dell’ammasso dei generi alimentari che vennero distribuiti alla
popolazione affamata prima che venissero rubati dai tedeschi.
Dopo la Liberazione, in un clima quasi da Restaurazione, Talli riebbe il suo
posto in comune (ne era stato allontanato durante il periodo della RSI), si
iscrisse al partito comunista e cominciò a pensare a cosa fare da grande. Il
resto della storia è comune a molti giovani che lasciano il proprio paese o la
loro piccola città per trasferirsi in centro più grande e tentare la fortuna. La
tentazione letteraria fu forte: scrisse un racconto che, insperatamente, fu
pubblicato dal quotidiano fiorentino “Il nuovo corriere”, diretto dallo
scrittore Romano Bilenchi. Con Bilenchi ebbe in seguito un colloquio e Bilenchi
lo assunse come corrispondete da Siena.
Ma il cammino di Talli nel giornalismo proseguì in altri quotidiani (ricordiamo
Paese Sera) per concludersi nella redazione fiorentina de “La Repubblica”.
Questa è la storia di Mario Talli, partigiano e giornalista. Un collega venuto
su dalla gavetta e non da quelle scuole che sfornano sgrammaticati scribacchini
che cercano le notizie su Internet e le trasferiscono in pagina con il
copia-incolla senza preoccuparsi di verificarne la veridicità. Talli appartiene
a quella generazione ormai tramontata di cronisti che cercavano le notizie
facendo il “battone” sui marciapiedi della città.