ORDINE DELL'IMPERATRICE: IMPARATE A LEGGERE E A
SCRIVERE
di Sergio Tazzer
Nata a Vienna il 13 maggio 1717, trecento anni fa, fu l'unica donna degli
Asburgo a divenire sovrana, grazie alla Prammatica Sanzione decisa da Carlo VI e
resa pubblica, come decreto imperiale, il 18 aprile 1713
Con essa, contenente il precetto della indivisibilità dei territori imperiali,
veniva stabilita la immutabilità, con un solo ordine, della successione,
modificando la fino ad allora vigente Disposizione Leopoldina, che si rifaceva
alla Legge Salica di Clodoveo: Carlo VI stabilì dunque che, in mancanza di eredi
maschi, la successione sarebbe spettata, in ordine di nascita, alla figlie
dell'imperatore regnante.
Per chiarezza storica, la Prammatica Sanzione è di quattro anni precedente alla
nascita di Maria Teresa, primogenita, cui seguirono le sorelle Maria Anna e
Maria Amalia. Leopoldo, nato nel 1716, morì quando aveva sette mesi.
All'età di 56 anni Carlo VI lo raggiunse, stroncato da una scorpacciata di
funghi velenosi, e così al trono salì la ventitreenne Maria Teresa.
Non fu un'ascesa pacifica: con il pretesto del non riconoscimento della
Prammatica Sanzione, si acuirono in Europa appetiti territoriali e rivalse
dinastiche.
Federico II re di Prussia diede inizio alla guerra, quella che poi passò alla
storia come guerra di successione austriaca, senza neppure dichiararla
formalmente, occupando nel 1740 il ducato di Slesia. Maria Teresa lo disprezzava
talmente da chiamarlo senza giri di parole «uomo malvagio» o più direttamente
«il brigante di Potsdam». In questo trovava concorde anche Versailles, se il
primo ministro di Luigi XV, il cardinale André-Hercule de Fleury, definiva il re
prussiano «un disonesto e un briccone».
Alla Prussia si accodarono i regni di Francia, di Spagna, di Napoli, la Baviera,
Genova e la Svezia.
Con l'Austria si allearono la Gran Bretagna, le
Province Unite (l'Olanda),
Hannover, Sassonia, Assia, il regno di Sardegna e poi anche la Russia. La
guerra, anche sul mare, durò fra alti e bassi dal dicembre del 1740 all'ottobre
del 1748, con giravolte di campo, battaglie sanguinose, inimicizie personali fra
sovrani che durarono a lungo.
Il lungo conflitto europeo si concluse con la pace di Aquisgrana, firmato
nell'ottobre del 1748: la Spagna rinunciava a Gibilterra e riconosceva a Londra
il monopolio del commercio degli schiavi; il regno di Sardegna si allargava nel
Novarese, acquisendo anche Bobbio, Vigevano e Voghera; la Francia restituiva a
Vienna i Paesi Bassi austriaci ed al re di Sardegna Nizza e Savoia;
l'Inghilterra restituiva alla Francia l'isola di Cap Breton in America, e
riceveva in cambio Madras, in India; Vienna cedeva a Filippo di Borbone il
ducato di Parma, come compenso della cessione a Francesco Stefano di Lorena
della Toscana; Francesco III d'Este rientrava in possesso del ducato di Modena;
ma soprattutto a Maria Teresa veniva riconosciuta la Prammatica Sanzione, mentre
il marito Francesco Stefano di Lorena venne riconosciuto imperatore del Sacro
Romano Impero.
Doveva però cedere alla Prussia ciò che essa aveva conquistato: la maggior parte
dei ducati di Slesia, eccetto il ducato di Teschen (Tešin), di Troppau (Opava),
di Carnovia (Krnov) a sud del fiume Oppa (Opava) e la parte meridionale di
quello di Neisse (Nysa), che diedero vita all'Österreichisch Schlesien (Rakouské
Slezsko), la Slesia Austriaca.
Vienna dovette dare alla piccola ma militarmente forte Prussia anche la contea
boema di Kladsko (Hrabstvi Kladské).
Erano tutti territori ricchi di miniere e caratterizzati da un'economia
sviluppata.
In quegli anni Maria Teresa, tenendo a freno il suo carattere irruento ed
accettando dalla vita lezioni di realismo, manifestò indubbie capacità
diplomatiche.
Per la sovrana, se non di trionfo, si può parlare di solido successo, con – tra
l'altro - il riconoscimento universale del valore della Prammatica Sanzione e
quindi dei suoi diritti ereditari, il motivo scatenante della guerra.
Da allora – non che non se fosse
occupata prima – pensò in maniera
pressoché totale agli affari interni del suo vasto impero.
Alla morte del padre, digiuna degli affari di stato, si era trovata con le
finanze quasi al collasso (il tesoro aveva in cassa solo 100 mila fiorini) ed un
esercito di soli 80 mila uomini, provati dalle campagne contro i turchi.
«Mi sono trovata senza denaro, senza credito, priva di un'armata, senza
esperienza e conoscenza di me stessa e, infine, anche senza consiglio poiché
ciascuno dei suoi membri, in un primo momento, voleva aspettare e vedere come si
sarebbe sviluppata la situazione», scrisse Maria Teresa nel Testamento Politico
del 1750.
Il suo regno all'inizio, come abbiamo visto, non fu facile, anche se incontrò
l'immediata simpatia dei sudditi viennesi, cui si aggiunse il 22 novembre
l'omaggio dell'Austria Inferiore. Il solenne evento fu illustrato da Georg
Christoph Kriegl.
Nel 1741, in piena guerra di successione, il 12 maggio ricevette la corona di
Boemia, quella di San Venceslao: cerimonia fastosa, descritta per la storia da
Johann Ramhoffsky.
L'incoronazione il 25 giugno a regina d'Ungheria avvenne nella cattedrale di San
Martino a Pozsony, o Preßburg, l'attuale Bratislava. Sul sagrato, come da
tradizione, era stata realizzata una collinetta con sacchi di terra provenienti
da tutti i territori dell'Ungheria. Avrebbe dovuto, a cavallo, scalarla,
sguainare la spada e puntarla in direzione dei quattro punti cardinali. Lo fece
con grande destrezza, giungendo al galoppo e bloccando il destriero in cima alla
collinetta. Un successo per lei, donna e sovrana.
Decise poi di incontrare la Dieta magiara, con i suoi turbolenti magnati che
voleva conoscere e convincere. Il pericolo era sempre la Prussia di Federico.
Era l'11 settembre 1741, giorno di vendemmia; si presentò vestita di nero, a
lutto, con in capo la corona di Santo Stefano, venendo immediatamente al sodo
per chiedere, parlando in latino, lealtà ed appoggio: «Si tratta del Regno
d'Ungheria, della nostra persona, dei nostri figli, della corona. Siamo state
abbandonate da tutti, cerchiamo ora il nostro solo rifugio nella fedeltà degli
ungheresi e nel loro celebrato coraggio. Nell'estremo pericolo in cui si trovano
i nostri figli, la corona e l'Impero, imploriamo un aiuto efficace e tempestivo.
La nostra missione è quella di restituire all'Ungheria e al suo popolo l'antica
prosperità e gloria. I fedeli sudditi ungheresi avranno la prova del nostro
benevolo affetto».
«Vivat Domina et Rex noster!» fu la risposta corale e chiassosa, cui i nobili
ungheresi aggiunsero enfaticamente: «Moriamur pro rege nostro Maria Theresia».
Non si limitarono a lanciare i copricapi in aria gridando «Eljen Király», evviva
il re, ma deliberarono di mettere a disposizione della regina 20 mila uomini
armati, saliti poi a 40 mila, pronti a morire in loro rappresentanza.
Federico II, che era un militare, si rese conto che non poteva tirare
ulteriormente la corda: 15 mila cavalieri ungheresi lanciati alla carica erano
un'iradiddio da non trovarsi di fronte. E quindi frenò la sua condotta
bellicosa.
La cifra di Maria Teresa era anche il suo vezzo: non nascondere la sua femminile
fragilità, accompagnata poi da un ferreo decisionismo, temperato dalla saggezza.
Come accadde davanti ai magnati ungheresi.
Al maresciallo Ludwig Andreas Khevenhüller, comandante dell'armata del
Danubioin, nel 1742 scrisse una illuminante missiva.
«Caro e Fido Khevenhüller! Vedi qui una regina abbandonata dal mondo intero,
sola con il suo erede: che ne sarà, secondo te, di questo bambino? La tua
sovrana si rivolge a te come a un leale servitore», incitandolo così: «Agisci,
mio buono e fedele vassallo, come ti ordina la tua coscienza davanti a Dio e
agli uomini. Fatti scudo della giustizia e fai ciò che ti sembra giusto; sii
risoluto nella condanna dello spergiuro, segui l'esempio del tuo signore
Eugenio, che riposa in Dio, e delle sue imprese immortali, e sii certo che tu e
la tua famiglia riceverete, oggi e per l'eternità, dalla Nostra Maestà e dai
nostri discendenti grazia, favore e gratitudine, e dal mondo la gloria. Te lo
giuriamo per la Nostra Maestà».
Davanti ad un messaggio del genere anche la scorza dura del militare si
ammorbidì e s'inorgoglì riuscendo a far miracoli: Ludwig Andreas von
Khevenhüller, conte di Aichelberg-Frankenburg, in pochi giorni cacciò dal
territorio patrio i franco-bavaresi, invadendo poi la Baviera e occupando la
stessa capitale, Monaco.
Questa era Maria Teresa, che non esitava a mostrare la sua (inesistente)
fragilità accompagnata da una ferrea determinazione. Per gratitudine, insignì
Khevenhüller dell'Ordine del Toson d'oro, il più alto simbolo della fiducia e
della distinzione asburgica.
Carlo VI, sperando sempre in un erede maschio, aveva tralasciato di impartire
istruzioni e dare suggerimenti sugli affari di stato, consentendo però alla
figlia di presenziare alle sedute del suo consiglio: non era molto.
La sovrana, in poco tempo e consigliata molto dal marito (come le aveva
suggerito il padre), scelse alcuni personaggi che risultarono pedine chiave per
la difesa ed il consolidamento dell'impero.
«Il compito più importante di un monarca - sentenziò – è la scelta dei suoi
consiglieri».
Uno di questi, forse più importante di ciò che rappresentò per la dinastia
Klemens von Metternich in seguito, fu il dottor Kaunitz, o meglio: sua altezza
serenissima il conte Wenzel Anton
principe von Kaunitz-Rietberg.
Di famiglia boema, a Slavkov u Brna, paesino noto come Austerliz, esiste ancora
il castello di famiglia, nel cui salone d'onore fu stilato l'armistizio tra la
Francia di Napoleone e le potenze avversarie (Austria, Russia, Gran Bretagna,
Regno di Napoli e Svezia) dopo la battaglia del 2 dicembre 1805, la più
brillante vittoria di Napoleone.
Kaunitz, figlio del governatore della Moravia, iniziò la sua lunga carriera di
potente come ambasciatore di Maria Teresa alla corte sabauda, dove intesse
l'alleanza con il Piemonte.
Dopo un paio d'anni a governare il Paesi Bassi austriaci, rappresentò l'Austria
al Congresso di Aquisgrana, che si concluse con la pace la tremenda guerra di
successione.
Al rientro a Vienna Maria Teresa lo chiamò a far parte del consiglio privato ed
in quella sede, 5 maggio 1749, egli espose la necessità, se si voleva recuperare
la Slesia, di allearsi con la Francia contro la Prussia ed il suo espansionismo
militare.
Un'idea che la sovrana assunse, nominandolo ambasciatore a Versailles.
Kaunitz vi restò tre anni, durante i quali costruì l'alleanza tra Francia ed
Austria, in cui rientrò nel 1753.
Maria Teresa lo nominò cancelliere di Stato e ministro degli Affari esteri,
raggiungendo in breve a rapporti stretti con Francia, Russia e Svezia in
funzione anti-prussiana.
L'Austria teresiana emerse, grazie al grande tessitore diplomatico Kaunitz,
sulla scena internazionale, che mantenne fino al declino di Francesco Giuseppe.
Maria Teresa ascoltò, valutò, pensò
e diede l'avvio ad un progetto d'organizzazione statuale del tutto rinnovata: lo
Staatrat, il consiglio di Stato (una specie di consiglio dei ministri), la
cancelleria di corte (ministero degli Interni e degli Affari esteri), il
consiglio militare aulico (ministero della Guerra), la camera aulica (ministero
delle Finanze), varò – alla luce di un illuminismo temperato – riforme
scolastiche fondamentali per l'elevazioni sociale dell'impero a cominciare dalle
scuole popolari, diffuse quello che è noto come catasto teresiano, mise mano al
Codex Theresianus e alla Constitutio Criminalis Theresiana.
Abolì la tortura, la caccia alle streghe fu posta fuorilegge, e limitò i casi
dei delitti puniti con la morte.
Dal feudalesimo portò il suo impero alla modernità dei tempi attraverso riforme
basate sull'ordine, la forza e la cultura e che impose con tatto e con fermezza.
In questi sforzi organizzativi varò organismi autonomi per il governo della
Boemia e dell'Ungheria.
I contadini vennero alleggeriti di alcuni aggravi medievali, la borghesia fu
favorita nel suo sviluppo.
Pur essendo cattolica praticante, limitò con fermezza i privilegi del clero,
respingendone le intromissioni, applicò le sue prerogative nella selezione degli
arcivescovi, dei vescovi, degli abati e decise addirittura di sopprimere
l'ordine dei gesuiti. Fu assai chiara, nella decisione: «I limiti del potere
della Chiesa sono definiti dalla santa missione della stessa: missione che è,
esattamente come il suo scopo finale, puramente spirituale, e consiste nella
diffusione della fede e della dottrina morale cristiana, nell'impartire i
sacramenti, nell'ordinamento delle funzioni religiose e della disciplina interna
alla Chiesa. Ogni altro potere che al di fuori di questi ambiti spirituali sia
attribuito o esercitato dalla Chiesa, dai responsabili della stessa e in
particolare dal suo capo supremo, il Papa, non deriva dall'originaria
investitura divina, ma dal libero conferimento o dalla pia concessione dei
sovrani secolari e quindi può essere da questi limitato, modificato a anche
revocato ove il bene comune dello Stato lo richieda, in considerazione del
mutamento dei tempi e di altre circostanze».
Maria Teresa, conscia di dover disporre di un braccio armato forte, affidò la
riorganizzazione dell'esercito ad un altro personaggio di grande valore, il
feldmaresciallo Leopold Joseph von Daun.
Quando il militare morì, Maria Teresa sul monumento funebre nella chiesa
viennese degli agostiniani fece scolpire la lode con cui riconosceva von Daun
«il più saggio dei suoi comandanti».
Il ritratto eseguito nel 1759 dal pittore di corte, lo svedese Martin van
Meytens, ci propone una signora in carne, occhi azzurri, sguardo deciso, sorriso
appena accennato; mano destra saldamente aggrappata al pomolo dello scettro, le
sue diverse corone posate su un tavolino, gioielli sul capo e pendenti dalle
orecchie.
Dall'Italia giunsero opere a lei dedicate, firmate tra gli altri da Rodolfo
Coronini, Bonifazioni Finetti, Daniele Florio, Giovanni Marinoni, Carlo Morelli
de Schonfeld. La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, illustrata da Giovanni
Battista Piazzetta, pubblicata a Venezia nel 1975, le venne dedicata dallo
stampatore ed editore Giovanni Battista Albrizzi.
Maria Teresa fu molto attenta ed attiva nello sviluppo delle università,
favorendo le facoltà scientifiche e sviluppando le scienze economiche. Non solo:
unicamente le università potevano garantire il titolo di laurea.
Obbligò tutti i sudditi a mandare a scuola i loro figli, affinché fossero
alfabetizzati, manifestando così, massima esponente del potere assoluto, un
barlume di illuminismo al passo con i tempi.
Era persuasa che l'obbligo della scuola, che doveva essere pubblica, gratuita e
sotto il controllo statale, fosse di importanza basilare per l'impero moderno
che lei voleva.
Chiamò dalla Slesia ormai prussiana il frate agostiniano Johann Ignaz von
Felbiger, un pedagogo di alta classe e di grande apertura, al quale diede
l'incarico di sovrintendere alla riforma delle scuole normali ed elementari.
Nel suo testo, amato e detestato, il Methonebuch del 1775,
von Felbiger fra l'altro aveva proposto l'uso del sistema delle iniziali,
noto anche come metodo
letterale-tabellare che era stato inventato da Johann Friedrich Hähn e che lui
aveva sviluppato: gli scolari dovevano ricordare, trascrivendo le sole iniziali
di ogni parola, l'intero testo.
Ogni bambino fra i sei e i dodici anni doveva frequentare la scuola, una novità,
e l'insegnamento si basava su tre facoltà da sviluppare: memoria, intelletto,
volontà.
La riforma all'inizio venne accolta con ostilità in alcune zone ed ambienti
dell'impero.
Maria Teresa non si curò dei freni: «Il popolo va tolto dall'ignoranza, ad esso
va data istruzione al fine di poter migliorare la propria condizione, essere
utile a sé stesso, allo stato, alla prosperità comune».
Nel 1774 entrò in vigore il Regolamento Scolastico Generale per l'Austria,
scritto dall'agostiniano.
Venne stabilito che i maestri dovevano uscire dalle Normalschulen nelle quali
essi venivano formati, divenendo funzionari dello stato.
Von Felibiger era convinto che il nodo della riforma fosse costituito dalla
formazione dei maestri, ai quali si pretendeva «una vera e solida pietà e
probità», poiché solo un loro miglioramento culturale e tecnico avrebbe fatto
progredire l'educazione popolare.
Il Regolamento chiedeva ad essi di manifestare paterno affetto, diligenza,
versatilità nell'adattare le spiegazioni alle capacità degli allievi: non sui
migliori o sui più lenti ma su «quelli di mezzo». Con gli «ottusi» il maestro
doveva facilitare le spiegazioni limitandole all'essenziale e facendosi aiutare
dagli scolari migliori.
Riprendendo concetti apparsi nel suo Methodenbuch für Lehrer der deutschen
Schulen, il libro del metodo per insegnanti delle scuole tedesche, che era di
ben 508 pagine, nel 1777 fece stampare il Kern des Methodenbuches, un manuale
riassuntivo di sole 124, pensando soprattutto ai maestri di campagna.
Sarebbe lungo elencare raccomandazioni, precetti, avvertenze e suggerimenti del
von Felbiger, il quale rifuggiva alle ornate metafore del barocco allora
imperante per giungere direttamente al nocciolo delle cose.
L'alfabetizzazione fu efficace ed esemplare, modificata e modernizzata in
seguito da studiosi e da pedagoghi, quali Anton Gall che propose una didattica
dialogante con gli scolari.
Tuttavia rimanevano in vigore le punizioni corporali, che furono proibite quando
al trono salì il figlio di Maria Teresa, Giuseppe II.
Bacchetta e verga vennero sostituiti dal libro dell'onore e dal libro della
vergogna (ricorda tanto la lista dei buoni e dei cattivi alla lavagna), indicati
dl primo professore di Erziehungskunde, pedagogia, della praghese Università
Carlo, Karl Heinrich Seibt.
Era stata Maria Teresa a volerlo professore straordinario nell'università
praghese nel 1763, in cui divenne in seguito direttore della facoltà di
filosofia, e infine rettore.
Ebbe un grande influsso sul padre degli studi slavistici cechi, Josef Dobrovský,
autore della monumentale
Institutiones linguae slavicae dialecti veteris.
Paradossalmente, la diffusione della scuola popolare, gratuita ripeto, avviò
processi di coscienza nazionale fino ad allora sopiti se non soffocati: fu
questo, ad esempio, il caso dei cechi.
Dopo la morte di parto della sorella Maria Anna, l'attenzione della sovrana si
rivolse anche alla sanità pubblica.
Nominò medico personale il dottor Gerard van Swieten, olandese di Leida, ossia
della Repubblica delle Sette Province Unite, e lo incaricò di riformare il
rudimentale sistema sanitario.
L'inizio fu con la fondazione di un ospedale a Vienna, per l'epoca
all'avanguardia, seguito dall'ordine di studiare e mettere rimedio alla
mortalità infantile.
Autorizzò, su suggerimento di van Swieten, l'ospedale di Graz ad eseguire
autopsie, in modo da garantire una adeguata ricerca alla medicina.
Contrastando parte delle opinioni di accademici, nel 1797 fece vaccinare contro
il vaiolo i propri figli.
L'impero si mosse dal torpore e dai timori della guerra, l'amministrazione
divenne precisa e fondamentalmente corretta.
La sovrana, nella sua visione di ricostruzione amministrativa e di edificazione
di un ideale stato del benessere (per quei tempi), si affidò Friedrich Wilhelm
von Haugwitz.
Commissario in Carinzia e Carniola, quindi in Boemia, e poi presidente del
Directorium in publicis et cameralibus (gestione finanziaria e politica), nel
1453 era cancelliere boemo quando Maria Teresa lo chiamò a Vienna.
Nella capitale Haugwitz mise in piedi un nuovo sistema amministrativo, quello
teresiano, che portò alla centralizzazione, alla separazione del potere politico
da quello giudiziario, alla responsabilizzazione delle autorità periferiche.
Conoscendo alla perfezione il sistema fiscale che faceva acqua da tutte le
parti, lo riformò da cima a fondo, tagliando i privilegi e facendo pagare le
imposte anche ai nobili e al clero.
Gli introiti fiscali raddoppiarono
Le riforme centralizzatrici di Maria Teresa paradossalmente, pur determinando un
ulteriore restringimento dell'autonomia boema, favorirono una ripresa culturale
ceca, dopo le tragiche vicende seguite alla sconfitta della Montagna Bianca del
1620, spingendo nuovamente gli spiriti più nobili a sognare un risorgimento
nazionale.
Odiosa comunque fu la Robotpatent che nei territori tedeschi, galiziani e
soprattutto boemi introduceva il lavoro obbligatorio dei contadini a favore dei
nobili proprietari terrieri.
Per la sovrana, Haugwitz, la mente di tutto questo movimento, modesto nel
portamento e piatto rispetto al brillante Kaunitz, fu un perfetto servitore di
alto rango che introdusse ogni tipo di norma con un unico fine: tutto doveva
trovare una conclusione nelle mani del monarca.
Nel 1753 egli divenne il primo cancelliere austriaco.
Fu quello l'anno dell'accordo internazionale con cui il tallero di Maria Teresa
fissava il contenuto d'argento, facendo sì che molti stati germanici e la stessa
Repubblica di Venezia lo riconoscessero.
Il tallero non era stato inventato dalla zecca della sovrana, ma traeva origine
e tradizione dal Joachimstaler, proveniente da Jáchimov, la Sankt Joachimthal,
in Boemia, ove vide la luce nel 1518, per iniziativa dei conti di Schlick, sulla
base del grosso praghese di
Venceslao II.
Le riforme di Haugwitz, fatte proprie dalla sovrana, gettarono le premesse per
lo sviluppo economico di alcune parti dell'impero, come la Lombardia e la
Boemia, in cui esso si concretizzò nella prima parte del secolo successivo.
Da aggiungere che, nel 1784, sotto Giuseppe II, Staré Mesto, Nové Mesto, Malá
Strana e Hradcany furono riuniti in una unica città, Praga. Lo stesso sovrano
che abolì la Robotpatent.
Haugwitz morì nel 1765 a Knönitz, Miroslavské Knínice, in Moravia meridionale.
La Moravia era diventata il buen retiro dell'aristocrazia e dell'alta
burocrazia: tranquilla, pingue, non lontana da Vienna.
Per tutti, anche oltre i confini, era divenuta la Kaiserin Maria Theresia,
arciduchessa regnante d'Austria, regina apostolica di Ungheria, regina regnante
di Boemia, regina di Croazia e Slavonia, duchessa regnante di Parma e Piacenza,
duchessa regnante di Milano e di Mantova. Era anche granduchessa consorte di
Toscana e imperatrice consorte del Sacro Romano Impero, essendo moglie di
Francesco I, ossia Francesco III Stefano duca di Lorena.
Aveva adottato il motto Justitia et Clementia, giustizia e clemenza, che furono
il suo tratto di persona seria, riservata, riflessiva. E non dimenticò mai
l'avvertimento che al padre Carlo VI dette il grande condottiero Eugenio di
Savoia: «Die Monarchie wie ein Totum», la monarchia un tutto unico. A questi
punti cardinali rimase coerente.
Carlo VI, come conveniva all'epoca per rafforzare rapporti dinastici, aveva
valutato tutte le opzioni fra i principi ereditari europei, giungendo alla fine
alla scelta, che alla fine risultò indovinata, di Francesco Stefano di Lorena.
Il matrimonio con Maria Teresa fu celebrato il 12 febbraio 1736.
Fu un'unione duratura, dal 1736 al 1765, caratterizzata dalla gelosia della
sovrana che, pur possessiva, dovette chiudere gli occhi sul comportamento
sentimentale del marito.
Il consorte, infatti, della fedeltà mostrò sempre un concetto assai elastico. La
sua amante più duratura fu la contessa Maria Wilhelmina von Neipperg, sposatasi
poi con il principe von Auersper, pur continuando nel legame affettivo con il
consorte della sovrana.
Maria Teresa, assieme al marito, risultò figlia del tempo e dunque assai
prolifica: ben 16 figli., 5 maschi e 11 femmine.
Fu molto attenta a come sistemarli.
La rete dinastica che creò fu vasta.
Giuseppe, che ereditò il titolo e trono di Maria Teresa, sposò una principessa
di Borbone-Parma, poi una Wittelsbach di Baviera, ma non ebbe eredi.
Maria Amalia sposò Ferdinando I di Borbone-Parma, duca di Parma, Piacenza e
Guastalla, e con lui ebbe 7 figli.
Pietro Leopoldo, granduca di Toscana, portò all'altare l'infanta di Spagna,
Maria Luisa: 16 figli.
Maria Carolina andò moglie di Ferdinando IV di Borbone-Napoli, re di Napoli e di
Sicilia, partorendo 18 figli.
Ferdinando sposò Maria Beatrice d'Este, duchessa di Massa e Carrara: 10 figli.
Maria Antonietta, che poi finì sulla travolta dalla rivoluzione, andò in sposa a
Luigi XVI, re di Francia.
A questi ed a queste aggiungiamo Massimiliano Francesco che divenne arcivescovo
elettore di Colonia.
Straordinariamente fertile, come s'è visto, Maria Teresa, la Landesmutter, amava
presentarsi come madre dei suoi tanti popoli: «Per quanto amore abbia avuto per
la mia famiglia e i miei bambini, non avendo risparmiato per loro né zelo, né
fatica, né attenzioni, né lavoro, lo ho sempre posposti al bene generale dei
miei paesi, perché ero persuasa in coscienza che tale era il mio dovere e che la
loro prosperità esigeva che io fossi la loro prima comune madre».
Tra il 1756 ed il 1763 l'Europa fu sconvolta dalla guerra dei sette anni,
combattuta in Europa, ma anche in Asia, in Africa Occidentale e nelle Americhe.
Evidentemente non era bastata la guerra di successione.
L'Austria di Maria Teresa, ormai dotata di un esercito forte, bene armato, bene
inquadrato e coeso, entrò nel conflitto con l'obiettivo primario di sconfiggere
la Prussia e ritornare in possesso della Slesia.
Le potenze europee si svenarono in quella guerra totale
A Kolín il 18 giugno 1757 gli austriaci, comandanti da von Daun, sconfissero i
prussiani di Federico il grande che assediavano Praga.
Per i prussiani fu un disastro che dissuase il loro re a marciare su Vienna,
convincendolo invece a togliere l'assedio a Praga e ritirarsi entro i suoi
confini, non prima di subire un'altra sconfitta a Zittau.
Lo stesso giorno della vittoria, per commemorarla, la sovrana istituì l'Ordine
militare di Maria Teresa.
Nonostante di sforzi bellici, per Vienna la guerra dei sette anni si concluse
con la perdita definitiva della Slesia, dovendosi accontentare dello status quo
di prima del conflitto.
Il 18 agosto 1765, ad Innsbruck dove si trova con la corte per il matrimonio
dell'arciduca Leopoldo, l'amato consorte morì lasciando Maria Teresa vedova
inconsolata.
La sovrana portò da allora il lutto stretto, vestiti neri, nessun gioiello, si
tagliò i capelli.
Il figlio Giuseppe divenuto automaticamente, alla morte del padre, imperatore
del Sacro Romano Impero, poco meno di un mese dopo, il 15 settembre, divenne
co-reggente.
Non mancarono i contrasti fra madre e figlio: Maria Teresa era una
conservatrice, anche se fiocamente illuminata, il figlio Giuseppe era un
riformatore aperto al mondo dei Lumi.
Pur nel suo lutto, Maria Teresa mantenne con i figli rapporti epistolari anche
severi.
Nell'Europa d'allora alleanze nascevano e morivano.
L'alleanza nata fra Austria e Francia, suggerita con enfasi da Kaunitz, venne
rafforzata con il matrimonio, il 16 maggio 1770, tra l'arciduchessa d'Austria
Maria Antonietta e il Delfino di Francia, il futuro Luigi XVI, destinati al una
fine disgraziata, entrambi sulla ghigliottina.
Fortunatamente, Maria Teresa non ebbe a conoscere la misera fine della figlia:
alle 2 di notte del 29 novembre 1780, dopo pochi giorni di malattia, riuscì a
chiedere l'estrema unzione e, circondata dai familiari, morì alle 9 di sera,
avvolta nella vestaglia del marito.
Venne rispettato il suo desiderio che una messa funebre a suo ricordo fosse
celebrata in trentadue città dell'impero.
A Praga si aggiunse al lutto il rabbino capo che espresse il cordoglio della
comunità ebraica per «la tristissima dipartita della buonanima di Maria Teresa,
Altezza Reale Imperiale Apostolica».
La donna aveva raccolto un impero prostrato, l'aveva lasciato forte e rispettato
al figlio Giuseppe.
Nel 1754 aveva fatto costruire la Maria Theresien Gruft nella Cripta dei
Cappuccini, ordinando allo scultore Balthasar Ferdinand Moll la monumentale
doppia tomba, nella quale ancora le sue spoglie riposano accanto a quelle
dell'amato consorte. Il cuore invece fu trasferito, ed è ancora conservato,
nella Herzgruft, la cripta dei cuori, che conserva 54 urne con i cuori di
altrettanti Asburgo, nell'Augustinerkirche, la chiesa di S. Agostino, chiesa
parrocchiale del palazzo di corte, la Hofburg.