Teatro dei drammatici eventi la Lucchesìa
La descrizione in una lettera del poeta Giuseppe Giusti ad un suo antico
professore
di Giuseppe Prunai
Si sciolgono le nevi, si gonfiano i torrenti che riversano metri cubi
su metri cubi
d’acqua nei fiumi. Intanto piove e gli alvei non ce la fanno a contenere
tutta quell’acqua che straripa, invade le campagne, i paesi, le città e con la
sua violenza provoca danni irreparabili e, in alcuni casi, miete delle vittime.
In
una lettera di Giuseppe Giusti (foto a sinistra) ad Andrea Francioni, suo
indimenticato docente al collegio Zuccagni Orlandi di Firenze, datata “Pescia,
20 ottobre 1836” (181 anni fa) il Giusti
descrive gli effetti devastanti dell’esondazione della Lima, un torrentaccio che
nasce nei presi dell’Abetone, sull’Appennino Pistoiese. e dopo 40 km di
corso si getta nel fiume Serchio in Lucchesìa.
Giuseppe Giusti (1809 – 1850, accademico
della Crusca) fu una delle intelligenze più vive della Firenze granducale. Fu
poeta giocoso, satirico e patriottico anche se nei suoi versi si percepisce una
vena di malinconia e di delusione per il comportamento dei “Signori d’Italia”
che tradendo gli auspici dei fautori dell’unità non si coalizzarono contro il
dominio austro-ungarico. Un problema di poltrone, forse. Ma qui il discorso ci
porterebbe lontano.
Oggi, incomprensibilmente, le sue poesie non sono molto note e raramente vengono
lette nelle nostre scuole. Ma c’è poco da stupirsi visto che gli italiani sono
ormai un popolo di analfabeti.
Delle sue composizioni ci piace ricordare “Sant’Ambrogio” in cui il Giusti
dichiara apertamente i propri sentimenti anti-austriaci, “Il Re Travicello”, “Il
brindisi di Girella” dedicato – scrisse l’autore – al signor de Talleyrand,
buon’anima sua, “Le memorie di Pisa”, città nella quale frequentò l’università e
si laureò in giurisprudenza, e la “Fiducia in Dio” una riflessione su una
bellissima statua di Lorenzo Bartolini conservata nel Museo Poldi Pezzoli di
Milano.
Il Giusti era in corrispondenza con il fior fiore dell’intellighenzia italiana
del suo tempo con cui scambiava, con lettere affidate ai procaccia e ai
corrieri, notizie, impressioni e giudizi di natura politica e soprattutto
culturale così come facciamo noi oggi con le e mail e i post sui social network.
La differenza è che i nostri messaggi impiegano pochi minuti a giungere a
destinazione, a quei tempi, invece, impiegavano
alcuni giorni.
Nei due volumi dell’Epistolario, ordinato da Giovanni Frassi e pubblicato a
Firenze per i tipi di Felice Le Monnier nel 1863, si trovano lettere indirizzate
ad Alessandro Manzoni, del quale era un grande amico e del quale fu più volte
ospite a
Milano, al poeta Aleardo Aleardi, a Massimo d’Azeglio e a sua moglie, la
marchesa Luisa, a Giovanni Berchet, a Pietro Fanfani, ad Antonio Guadagnoli, a
Giuseppe Montanelli, ad Alessandro Poerio, a Pietro Thouar, a Nicolò Tommaseo,
ad Atto Vannucci, a Giovan Pietro Viesseux per citar solo i più noti.
Ebbene, nella lettera al Francioni
(Vol. I, p. 125) il Giusti scrive:
“Caro Francioni,
“La notte della prima domenica d'ottobre, cadde una pioggia tanto dirotta, che
le più piccole fosse doventarono torrenti: tuoni e lampi e saette che pareva la
fine del mondo. Qui da noi il guasto fu poco o niente, e con quattro
rabberciamenti di mura o di cigli, n'uscimmo come Dio volle. A chi toccò il
male, il malanno e l'uscio addosso, fu a' poveri Lucchesi, a danno de' quali
congiurarono, sul gusto della Santa Alleanza, la Lima e altri quattro o cinque
torrenti. Corse subito voce dei guasti orribili che questi fiumi avevano fatto,
mettendo desiderio in molti di correre a vederli. Questa smania, che ci spinge
sul posto della sventura, è condannata da molli, come una barbara o insensata
curiosità…..
“Con questi ed altri sentimenti, quindici giorni dopo quel rovescio, andai
pedetentim ec., in compagnia di un caro amico, alla volta dei Bagni di Lucca.
Attraversammo per cinque ore di cammino selve e montagne, e per un
continuo saliscendi giungemmo al paese suddetto. Per tutto i segni della
burrasca; da tutte le parti il racconto più o meno malinconico di quella notte,
secondo che aveva più o meno offeso il raccontatore. Ai Bagni, campi divorati
dalla Lima; case, edifìzi, piazze, muraglie, passeggi smozzicati e guastati. I
luoghi di delizie che pochi giorni innanzi formicolavano di tutta la quìnt'
essenza del mondo elegante, ingombrati adesso di rena, di rottami e di ceppi
voltolati dalla corrente. Era nostro Cicerone un merciaiolo del luogo, il quale
portando tutto il suo patrimonio ambulante nella cassetta, ci mostrava duro duro
e dinoccolato tutto questo fracasso. Dal Ponte a Serraglio (uno dei due che
ricongiungono le rive del paese) ammiravamo ora l’amenità del sito, ora l'
orrore di quella devastazione, quando il nostro buon peripatetico additandoci la
casa che serve ad uso di Gabinetto Letterario, e facendoci osservare che ne era
sprofondata la strada in modo da renderne impossibile l'accesso, disse con un
mezzo sospiro: - Eh quello è un
gran fatto ..... ci si vede proprio la mano di Dio.
…..
“Al ritorno si prese un' altra via; quella postale che dai Bagni porta alla
capitale dell'Impero di tutte le Lucche. Bellissima via, che per lungo tratto
rasenta le acque della Lima, e sulla quale queste perdono il nome nel fiume
maggiore, che entra nelle veci di lei a far da compagno al pellegrino che
percorre quelle campagne. Dal lato sinistro, rocce quasi nude e sporgenti sul
capo, e combinazioni di luce e di prospettiva, da incantare pittori e non
pittori, purché abbiano occhi da vedere e animo che accompagni la vista. Questa
bella strada nella notte terribile era stata corsa quant'era lunga e larga dai
cavalloni del fiume, che avea
traboccato nei campi di là,
portando travi e capanne e cadaveri di uomini e di bestiami, sorpresi
miseramente dalla furia delle acque. A Fornoli un ponte portato via di netto;
poche miglia sotto rotta e ingoiata la strada per un quarto di miglio: per tutto
poi scassinati i muraglioni, e scamozzate le spallette degli argini e dei ponti.
Il solo ponte di Decimo, nuovo, assai bello ed elegante, intatto; quello a
Moriano invaso e danneggiato insieme al paese dello stesso nome, nel quale ci fu
fatto notare, dove aveva portato via uno sporto di bottega, dove una porta di
casa; qua fracassata una mezza finestra, là un pian terreno allagato e vuotato
di utensili e masserizie. Il ponte della Maddalena, famoso per antichità, per
costruzione e per favole, provò anch' esso che molti secoli di vita non
assicurano una povera opera mortale dall' insulto delle intemperie.”
…..
Ma il racconto del Giusti si fa drammatico dopo l’incontro, in un’osteria dove
si sta rifocillando, con un abitante del luogo.
“In questa entrò un uomo sulla quarantina, e a mala pena disse: felice sera.
L'oste, al contrario, lo abbordò: - O compar Bastiano , è passata ormai, non ci
pensate più. Sanità a chi resta.
- Avete un bel dire (rispose); potete stare allegro voi che siete sempre lo
stesso. Sapete la nuova '?
Quell' altro pezzo di muro che c'era rimasto, è finito di rovinare oggi alle
tre.
- Che? il fiume vi ruppe la casa? (domandò l'amico al nuovo venuto.)
- La casa e il podere, e poi e poi ..
- Come anco di più? - L'uomo non
rispondeva, e col capo basso dondolava una gamba come sopra a pensiero.
- Povero Bastiano vi compatisco
(riprese quella specie d'oste). Raccontate a questi signori come andò, che ve li
portò via l'acqua. Poi quasi pentito, riprendendosi, seguitò a dire a noi:
quella mattina della piena, questo pover uomo era andato a "vedere per i campi,
se il fiume rompeva. Veniva allora la prima piena, quella .... perché i fìumi
non vennero insieme, ché se Dio guardi venivano all' ìstess' ora, non c' eramo
più nessuno. Era dunque nel tempo della prima piena, e quantunque si vedesse che
in su dovea aver fatto del male, per noi non c'era paura. Cotest' omo, vero,
Bastiano? sentì suonar la messa, e andò senza pensare a altro. Entra la messa, e
quando tutti erano per uscir di chiesa, si cominciò a sentire un rumore, un
fracasso, che era uno spavento, e correva gente da tu te le parti, e gridavano
il fiume, il fiume, salvatevi, porta via ogni cosa. Uscì la messa, e si vidde
allagato tutto il piano. Vede? l'acqua prendeva di là mai più lontano di quella
casa, e arrivava qui dov' è il segno della mota quasi a mezza finestra.
Quest'uomo va per tornare a casa, e tutto a un tratto non vede più né la casa né
il podere, che erano stati portati via. Povera Catè , chi a quest' ora dove sarà
colla bimba ....
- Mio Dio (gridammo) che c'era
gente in casa ? ..
- Purtroppo, signor sì, la moglie e una bambina d'otto mesi che aveva al petto.
“Quell' uomo non parlò mai, e preso non so che dall' oste se n'andò con quel
canterellare rotto e sospiroso che manìfesta il dolore, lo sgomento e lo stupore
d'una disgrazia accaduta di fresco.
“Si seppe poi per il solito canale, che il disgraziato fino dai primi anni della
sua giovinezza soleva andare a vendere le fìgurine di stucco (commercio curioso
ed esclusivo di quei paesi), oppure in Corsica al lavoro dei campi o al taglio
dei boschi. Quella casa, quel poderetto eran il frutto di questa vita nomade e
penosa, e di quella po' di dote portatagli dalla Caterina (che l'abbreviano in
Catè). Il fiume l'ha fatto nuovamente mendico, solo e ramingo sulla terra.
…..
“Si seppe da quest' oste medesimo: un vetturale essendosi fermato ad uno
stallaggio sulla via, e visto il tempo un po' meno rotto, si risolvé di
riprendere il cammino. Tirò fuori il barroccio, menò il cavallo, e, sul punto
d'attaccarlo, eccoti la piena che, crescendo mezzo braccio ogni ondata, non
lasciava luogo a fuggire. Prima gli fu portato via di mano il cavallo, poi
tramutato e subito dopo travolto il barroccio nella corrente. Egli intanto si
salvava a fatica sopra uno degli altogatti di sulla strada. Vedeva il fiume
rovesciare ad uno ad uno gli alberi della fila, ed egli lassù aspettava la morte
guardando al fondo del tronco, già già lambito dalla corrente. Intanto un prete
da un' altura vicina l'esortava a morire santamente, e il pover'uomo riceveva
l'assoluzione in articulo mortis, e gridando faceva testamento: - Sono del tal
luogo, avanzo venti scudi dal tale, ne ho in tasca altri quattro, lascio tutto
il mio ec (debiti, o non ne aveva,
o in quel frangente se gli scordava.) Fortunatamente quell'albero non fu
abbattuto, ed egli poté salvarsi rimettendoci gli arnesi e il compagno della sua
professione.”
Nove anni più tardi, nel 1845, troviamo il Giusti di nuovo alle prese con un
fiume in piena. In una lettera ad Alessandro Manzoni, di cui era stato ospite a
Milano, descrive il suo viaggio di ritorno via Genova e La Spezia.
Incoscientemente, attraversò il fiume Magra in piena “a risico di lasciarci il
legno e il cavallo”. Pochi chilometri più in là, trovò il paese di Montignoso
completamente allagato i cui abitanti erano fuggiti sulle montagne.
Nulla di nuovo sotto il sole. Ma in 181 anni altre alluvioni si sono susseguita
nella zona. Cosa si è fatto per porre rimedio a queste calamità?